Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7998 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7998 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Piccione Andrea Giovanni, nato a Marsala il 01/02/1951

avverso il decreto del 11/03/2015 della Corte d’Appello di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Paola Filippi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Con il provvedimento impugnato veniva confermato il decreto del Tribunale
di Trapani del 16/05/2014, con il quale era dichiarata inammissibile l’istanza di
revoca della misura di prevenzione della confisca disposta nei confronti di Andrea
Giovanni Piccione il 11/02/1994.
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Data Udienza: 25/11/2015

Il proposto ricorrente deduce violazione di legge; il rigetto dell’eccezione di
nullità del provvedimento del Tribunale per omessa acquisizione del parere del
pubblico ministero, fondato sulla ritenuta carenza di interesse all’impugnazione
sul punto, non avrebbe valutato la natura pubblicistica dell’intervento del
pubblico ministero nella procedura e la funzionalità dello stesso alla garanzia del
persone che accedono al sistema giudiziario, e quindi anche del proposto; la
motivazione del provvedimento impugnato sarebbe carente, nel riferimento
all’impossibilità di rivalutare la decisione definitiva sulla confisca in mancanza di

conformemente alla giurisprudenza anche comunitaria, per l’invalidità genetica
del provvedimento di confisca, adottato in mancanza dei relativi presupposti in
quanto fondato unicamente sulla rilevata sproporzione fra il tenore di vita del
proposto ed il valore dei beni nella disponibilità dello stesso, risolvendosi
nell’indiscriminata confisca dell’intero patrimonio del Piccione, senza distinguere
la provenienza lecita da quella illecita dei beni; non vi sarebbe inoltre
motivazione sui rilievi difensivi in ordine alla più recente evoluzione della
giurisprudenza nei termini della necessità di verificare l’esistenza di un rapporto
temporale e causale fra l’acquisizione dei beni da parte del proposto e l’attività
illecita allo stesso attribuita.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
La censura di illegittimità della ritenuta carenza di interesse del proposto
all’impugnazione del rigetto dell’eccezione di nullità del provvedimento di primo
grado, per la mancata acquisizione del parere del pubblico ministero previsto
dall’art. 666 cod. proc. pen. ai fini della pronuncia del decreto di inammissibilità
dell’istanza, è manifestamente infondata. La nullità derivante dall’omissione di
cui si tratta attiene infatti esclusivamente alla violazione del contraddittorio
cartolare alla cui costituzione è finalizzata l’audizione del pubblico ministero, ed è
pertanto deducibile solo da quest’ultimo, e non dalle parti private (Sez. 1, n.
2420 del 03/04/2000, Pischedda, Rv. 216032); essendo irrilevante in contrario la
natura pubblicistica dell’intervento del pubblico ministero, richiamata dal
ricorrente.
Altrettanto manifestamente infondata è la doglianza di carenza
motivazionale del provvedimento impugnato nel richiamo alla mancanza di
elementi sopravvenuti a sostegno dell’istanza di revoca della misura di
prevenzione. Nell’indirizzo giurisprudenziale, citato dal ricorrente nel senso della
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elementi nuovi, laddove l’istanza di revoca era stata invece proposta,

proponibilità dell’istanza anche per l’invalidità genetica della misura, con riguardo
all’esistenza di presupposti quali la sproporzione o l’illecita origine dei beni
confiscati, è invero precisato che anche detta invalidità debba essere accertata
sulla base di nuovi elementi di prova, non esaminati nel corso del procedimento
applicativo (Sez. 1, n. 1548 del 02/03/2012, Lipari, Rv. 252611). Ed
all’affermazione della Corte territoriale, in ordine all’omessa indicazione di siffatti
elementi nell’atto di appello, nessuna diversa allegazione è contenuta nel ricorso,
al di là del riferimento ad evoluzioni giurisprudenziali che non integrano elementi

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare
equo determinare in C 1.000.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 25/11/2015

di prova sopravvenuti.

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