Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7997 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7997 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da :
CAMPANELLA FORTUNATA N. IL 20.06.1974
Nei confronti di :
MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE
avverso la ordinanza della CORTE D’APPELLO DI MESSINA in data 20 aprile 2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
lette le conclusioni del PG in persona del dott. Aldo Policastro che ha chiesto l’annullamento
con rinvio alla Corte d’appello di Messina per nuovo esame
RITENUTO IN FATTO
rigettava l’istanza di
1. La Corte di Appello di Messina, con l’ordinanza impugnata
riparazione presentata da Campanella Fortunata per ingiusta detenzione in regime di
custodia in carcere dal 26 aprile 2010 al 15 maggio 2000, perché sospettata dei reati di
cui agli artt. 416 bis, 610 c.p. e 2,4 e 7 L. n. 895/1967. La sentenza di assoluzione,
pronunciata dalla Corte d’appello di messina era divenuta irrevocabile il 31 ottobre
2006.
2. Avverso tale decisione ricorre Campanella Fortunata.
Il ricorrente censura l’ordinanza impugnata per violazione ed erronea applicazione degli
artt. 314 e 315 c.p.p. non sussistendo , ad avviso della ricorrente, la colpa grave,
impeditiva del riconoscimento del diritto all’equa riparazione.
3. Si costituiva il Ministero delle Finanze chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4.

Il ricorso è infondato.
l’ingiusta
per
riparazione
equa
diritto
a
che
il
la
Corte
Osserva
detenzione, regolato dall’art. 314 c.p.p., e ss., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso ingiusta.
Il quadro sistematico di riferimento è un quadro di diritto civile, ma non è quello
dell’art. 2043 c.c che appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un danno
ingiusto ad altri. Il principio regolatore è piuttosto quello della riparazione legata ad

Data Udienza: 12/11/2013

P.Q.M.

eventi che producono il sorgere, quali conseguenze di principi di solidarietà e di giustizia
distributiva, di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra responsabilità per danno
ingiusto ex art. 2043 c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass. SS.UU.
civ. 11/6/2003 n. 9341). È ben fermo, in materia, l’assetto delle regole generalissime
che disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento
relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del
giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con la conseguenza che
l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, la custodia cautelare
subita e la successiva assoluzione (Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630 02/04/2004 20/05/2004) della quale è talora ritenuta irrilevante la formula (Cass. Sez 4, 12/4/2000
n. 2365) e talora rilevante, nel senso che indefettibile presupposto del sorgere del
diritto sarebbe solo il proscioglimento con una delle formule di cui all’art. 314 c.p.p.,
comma 1. Peraltro il sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di una condotta del
richiedente che al tempo del processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare causa
a quella ingiusta detenzione.
L’operazione intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare solo l’eventuale
efficienza causale delle condotte dell’imputato che possano aver indotto, anche nel
concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione ragionevole e non congetturale il
giudice a stabilire la misura della detenzione (Cass. SS.UU. 13/12/95 n. 43, Sez. 4
10/3/2000 n. 1705).
Il giudice, pertanto, deve fondare la sua decisione su fatti concreti e precisi e non su
mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la
perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex
ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stato il presupposto
che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione
con rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent. n.34559/2002; Cass.,
Sez.4, Sent. n.17552 del 2009).
Tanto premesso si osserva che la Corte territoriale, con motivazione adeguata, ha
enucleato,con congrua verifica degli accertati elementi di riferimento, la condotta della
richiedente ostativa all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione.
Il provvedimento impugnato ha individuato quale comportamento addebitabile
all’indagata ed ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo, quanto alla
imputazione di detenzione e porto d’armi, l’atteggiamento tenuto dalla Campanella nella
immediatezza dell’accertamento di PG e nella accertata conoscenza da parte
dell’odierna ricorrente del luogo in cui il marito nascondeva la pistola e quanto alla
imputazione di cui all’art. 416 bis c.p. nelle aspre critiche (emerse nel corso delle
disposte intercettazioni telefoniche) alla scelta di “pentimento” operata dallo stesso
coniuge.
Il provvedimento impugnato, che definisce il procedimento per la riparazione
dell’ingiusta detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte che è limitato alla
correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare
o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle
esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e
logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa e
sull’esistenza del dolo. Il legislatore non ha infatti riconosciuto incondizionatamente il
diritto all’equa riparazione, ma l’ha esplicitamente escluso allorquando il
comportamento dell’indagato, come appunto nella fattispecie de qua, abbia indotto in
errore il giudice circa l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico (cfr. Sez, 4,
27 aprile 2006, n. 44116; n. 13714 del 17 febbraio 2005).
Il
ricorso deve essere pertanto rigettato e % ricorrente deve essere condannatq, al
5.
pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore del Ministero delle
Finanze delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 750,00

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla
rifusione delle spese sostenute dal Ministero dell’Economia per questo giudizio di cassazione,
liquidate in € 750,00.
Così deciso nella camera di consiglio del 12 novembre 2013

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