Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7996 del 15/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7996 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Dello Iacono Ferdinando, nato a Palma Campania il 27.1.1944,
avverso la sentenza pronunciata in data 13.10.2011 dal tribunale
di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Carmine Stabile, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito per la costituita parte civile l’avv. Sergio Trani del Foro di
Salerno, che ha concluso riportandosi alla memoria depositata ed

Data Udienza: 15/11/2012

,

associandosi alla richiesta del pubblico ministro, depositando,
altresì, conclusioni scritte e nota spese;
udito per il ricorrente, l’avv. Andrea Ruggiero del Foro di Roma, in
qualità di sostituto processuale del difensore di fiducia, avv.
7.11.2012, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunciata in data 13.10.2011 il tribunale di
Salerno in composizione monocratica, in qualità di giudice di
appello, confermava la sentenza con cui in data 13.1.2011 il
giudice di pace di Salerno aveva condannato Dello Iacono
Ferdinando, imputato del delitto di cui agli artt. 81, cpv., 595,
c.p., commesso in Salerno, il 21.3.2008 ed il 21.4.2008 in danno
di Aufiero Francesco, amministratore del condominio in cui viveva
l’imputato, alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del
danno derivante da reato in favore della costituita parte civile, da
liquidarsi in separato giudizio.
Avverso la sentenza del tribunale di Salerno, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto ricorso, a mezzo del suo difensore di
fiducia, l’imputato, articolando tre motivi di impugnazione.
Con il primo il ricorrente lamenta i vizi di cui all’art. 606, co. 1,
lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all’art. 552, co. lett., c), c.p.p.,
per mancata dichiarazione di nullità, per genericità del capo
d’imputazione, del decreto di citazione diretta a giudizio innanzi al
giudice di pace, nonché per mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione del giudice di secondo grado
sul punto, non avendo il tribunale risposto adeguatamente, ma
solo in maniera generica, allo specifico rilievo difensivo sulla

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Agostino De Caro, del Foro di Salerno, giusta nomina depositata il

impossibilità di comprendere con esattezza quale fosse il
contenuto delle espressioni offensive addebitate all’imputato in
relazione alle quali articolare la propria difesa.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta í vizi di cui all’art. 606,

co. 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 595 e 51, c.p., in
ordine alla configurazione del reato di diffamazione e della
scriminante dell’esercizio del diritto di critica, nonché il
travisamento della prova in relazione alla sussistenza del dolo
della ritenuta fattispecie criminosa.
A suo avviso, infatti, le espressioni considerate diffamatorie,
contenute nelle due missive inviate dall’imputato alla persona
offesa ed ai condomini del condominio “Parva sed apta mihi”, non
lo sono affatto, rientrando nell’esercizio di un legittimo diritto di
critica nei confronti dell’Aufiero, che l’imputato riteneva essere
venuto meno ai propri doveri di amministratore di condominio;
peraltro anche dal punto di vista soggettivo appare evidente, ad
avviso del ricorrente, l’assenza di dolo posto che lo stesso Dello
Iacono, dopo l’invio delle prime missive dal contenuto giudicato
diffamatorio, successivamente aveva inviato, all’amministratore
ed agli altri condomini, due ulteriori lettere, redatte nel tardo
pomeriggio del 21.4.2008, dopo avere ricevuto un atto
stragiudiziale di diffida da parte della persona offesa, con cui si
scusava in ordine ad una delle sue precedenti affermazioni,
rivelatasi priva di fondamento (essere stato, cioè, l’Aufiero
nominato illegittimamente amministratore di condominio da
un’assemblea non validamente costituita), evidenziando, al
contempo, di non avere voluto perseguire alcun intento
diffamatorio con le sue precedenti lettere.

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7q-

Con il terzo il ricorrente eccepisce il vizio di cui all’art. 606, co. 1,
lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all’art. 133, c.p., per eccessivo
rigore del trattamento sanzionatorio, non adeguato ai parametri
fissati dall’art. 133, c.p., in quanto, nel fissare la pena il giudice

partendo dal minimo edittale e su di esso applicare la diminuzione
per le circostanze attenuanti generiche concesse in suo favore,
come prospettato dal ricorrente nell’atto di appello, senza
ricevere, tuttavia, alcuna risposta sul punto dal giudice di secondo
grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso presentato nell’interesse di Piodnno Rictardo è infondato 45?”
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e va, pertanto, rigettato.
Ed invero, va, innanzitutto rilevato, che correttamente il tribunale,
con motivazione affatto generica ed apodittica, ha respinto
l’eccezione difensiva sulla nullità del decreto di citazione diretta a
giudizio e, quindi, della sentenza di primo grado, per
indeterminatezza dell’imputazione, rilevando come dalla
formulazione del capo d’imputazione non sia derivato alcun
pregiudizio per l’esercizio del diritto di difesa dell’imputato, non
solo perché in esso si fa espresso riferimento, per relationem, al
contenuto integrale di due missive inviate dal Dello Iacono ai
condomini del condominio “Parva sed apta mihi”, di cui viene
parzialmente riportato e descritto il contenuto in termini
sufficientemente specifici, contenuto, peraltro, che l’imputato non
poteva non conoscere nella sua interezza, essendo pacifico e non
contestato nemmeno dal ricorrente il fatto storico dell’avvenuto

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avrebbe dovuto tenere conto dell’incensuratezza dell’imputato,

inoltr. da parte sua delle lettere in questione, ma anche perché
nel capo d’imputazione si afferma espressamente che in esse si
adombra “il sospetto di percezioni indebite da parte”
dell’imputato, nella sua qualità di amministratore del condominio,

nelle menzionate missive, ritenute, per tale motivo, dal giudice di
primo grado penalmente rilevanti, vale a dire di consistenza tale
da integrare gli estremi dell’offesa all’altrui reputazione (cfr. p. 3,
4 e 6 dell’impugnata sentenza).
Siffatto giudizio appare assolutamente conforme all’approdo
interpretativo cui è pervenuta la Corte di Cassazione, che da
tempo, con decisione condivisa da questo Collegio, ha affermato il
principio che non si ha insufficiente indicazione dell’enunciazione
del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono
comportare l’applicazione di misure di sicurezza, qualora si abbia
l’individuazione dei tratti essenziali del fatto di reato attribuito,
dotati di adeguata specificità, sicché l’imputato possa apprestare
la sua difesa. Infatti, in considerazione della centralità del
dibattimento, dei poteri conferiti al giudice sia in materia
d’integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante
ex art. 507 c.p.p., che in tema di ammissione di prove, e della
possibilità di procedere a contestazione suppletiva ed a
modificazione dell’imputazione ex art. 516 c.p.p., non sembra
necessaria una dettagliata imputazione..
Ciò, in aderenza con le novità del nuovo sistema processuale,
disancorato da visioni formalistiche e da valori epistemologici delle
radici letterali, e teso a considerare l’imputazione nel suo
complesso ed il fondamentale principio iura novit curia.

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che rappresenta l’accusa sottesa alle uniche espressioni utilizzate

In altri termini, il requisito della enunciazione del fatto in tanto
può ritenersi carente, in quanto in concreto possa affermarsi,
come nel caso in esame, che l’imputato non abbia potuto
conoscere i tratti essenziali della fattispecie di reato, attribuitagli

Cass., sez. I, 19/11/1999, n. 382, P., nonché in senso conforme
Cass., sez. IV, 10.6.2010, n. 38991, Quaglierini e altri, rv.
248847; Cass., sez. V, 16/09/2008, n. 38588, F. e altro, rv.
242027).
Allo stesso modo appare infondato anche il secondo motivo di
ricorso.
Ed invero per potere invocare a ragione la scriminante
dell’esercizio del diritto di critica da parte di un condomino nei
confronti dell’amministratore del condominio per le condotte dallo
stesso serbate nello svolgimento del suo incarico, occorre che la
critica, da un lato sia riconducibile al diritto di libera
manifestazione del pensiero ed, in particolare, allo specifico diritto
del condomino dello stabile di controllare l’operato
dell’amministratore e di denunciare le eventuali irregolarità
riscontrate, dall’altro venga espressa con modalità tali da non
concretizzare alcuna aggressione alla sfera morale
dell’amministratore (cfr. Cass., sez. V, 11/11/2010, n. 3372,
M .V.).
Ciò in applicazione del consolidato principio elaborato in sede di
legittimità, secondo cui si oltrepassano i limiti della sussistenza del
legittimo esercizio del diritto di critica ogniqualvolta non venga
rispettato il requisito della “continenza”, in forza del quale le
espressioni possono essere considerate penalmente illecite solo
nel momento in cui, per il loro carattere gravemente infamante o

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dall’accusa, sì da non potersene adeguatamente difendere (cfr.

inutilmente umiliante, trasmodino in una mera ed ingiustificata
aggressione del soggetto criticato, la cui persona ne risulti
denigrata in quanto tale (cfr.,

ex plurimis, Cass., sez. V,

11/04/2012, n. 21044, G.G.; Cass., sez. V, 11/11/2011, n. 3188,

Orbene, nel caso in esame, come evidenziato dalla corte
territoriale, non sussistono gli estremi della scriminante di cui
l’imputato chiede l’applicazione.
Nelle missive inviate il 21.3.2008 ed il 21.4.2008 alla persona
offesa ed agli altri condomini, infatti, il ricorrente non si è limitato
a criticare l’operato dell’amministratore del condominio, ma,
attraverso l’uso di espressioni interrogative di carattere dubitativo
(“Come mai tanta sollecitudine? C’entra qualcosa la percentuale
sui costi che si sopportano a causa dell’interessamento
dell’Amministratore?”) e di accorgimenti grafici, rappresentati
dalla sottolineatura della locuzione “percentuale sui costi”,
formulava di fatto nei confronti dell’Aufiero l’accusa di avere
privilegiato, nello svolgimento del suo mandato, l’esecuzione, a
preferenza di altri, di determinati interventi manutentivi, che
“richiedevano l’esborso di cifre consistenti”, ipotizzando che ciò
fosse finalizzato al conseguimento di indebiti fini personali di
carattere patrimoniale da parte dell’amministratore, che avrebbe
lucrato una percentuale sui relativi costi sostenuti dal condominio
(cfr. pp. 6-7 dell’impugnata sentenza).
In ciò, con motivazione coerente ed immune da vizi, la corte
territoriale ha giustamente ravvisato un’aggressione alla sfera
morale dell’amministratore del condominio, una denigrazione della
sua persona, ingiustificata perché fondata su di un fatto non vero
(cfr. Cass., sez. V, 11/10/2011, n. 47037, B.V.), che integra uno

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P.).

degli elementi costitutivi del delitto di diffamazione (l’altro, quello
della comunicazione con più persone non forma oggetto di
contestazione).
Inammissibile, poi, si appalesa la censura relativa al travisamento

quanto, come è noto, in tema di ricorso per Cassazione, quando ci
si trova dinanzi a una ipotesi di “doppia pronuncia conforme”, in
primo e in secondo grado, l’eventuale vizio di travisamento della
prova può essere rilevato in sede di legittimità, ex art. 606
comma 1 lett. e) c.p.p., nel solo caso in cui il giudice di appello, al
fine di rispondere alle censure contenute nell’atto di
impugnazione, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non
esaminati dal primo giudice – circostanza non verificatasi nel caso
in esame – ostandovi altrimenti il limite del devoluto, che non può
essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (cfr, ex
plurimis, Cass., sez. II, 09/07/2010, n. 28683, 8.)

Del tutto inconferente, peraltro, è il richiamo, da parte del
ricorrente, all’assenza di un intento offensivo nei confronti
dell’Aufiero,

poiché

in

tema

di

diffamazione,

ai

fini

dell’integrazione dell’elemento psicologico, non è necessaria
l’intenzione di offendere il soggetto passivo, essendo sufficiente il
dolo generico, consistente nella volontà di usare espressioni
offensive con la consapevolezza di offendere l’altrui reputazione
(cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 31/01/2008, n. 16420, R.).
Inammissibile, infine, è il terzo motivo di ricorso, perché generico
ed attinente a censure sul merito della valutazione in ordine alla
entità della pena irrogata, evidenziandosi, inoltre, che i giudici di
primo e secondo grado hanno tenuto in debito conto l’assenza di
precedenti penali a carico dell’imputato, fondando anche su tale

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della prova in relazione all’elemento psicologico del reato, in

dato fattuale il riconoscimento in suo favore delle circostanze
attenuanti generiche.
Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, il ricorso
presentato nell’interesse di Dello Iacono Ferdinando va rigettato,

c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla
rifusione, in favore della parte civile costituita delle spese e dei
compensi del presente giudizio di legittimità, che, ai sensi del
decreto del Ministro della Giustizia 20 luglio 2012 n. 140,
“Regolamento recante la determinazione dei parametri per la
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi
per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della
giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio
2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo
2012, n. 27”, si fissano in complessivi euro 2500,00, oltre
accessori come per legge.

P.Q.M .
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed alla rifusione alla parte civile Aufiero Francesco
delle spese e compensi di questo grado di giudizio, che liquida in
complessivi euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 15.11.2012

con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,

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