Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7993 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7993 Anno 2016
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da

ALGERI Leonardo, nato a Palermo il 21/05/1979
FERRARA Maria Carmela, nata a Palermo il 10/02/1982

avverso il decreto del 18 febbraio 2015 della Corte d’appello di Palermo;

letti i ricorso ed il provvedimento impugnato;
udita la relazione del consigliere Paolo Antonio Bruno;
lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Antonio
Gialanella, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

osserva:

1.

Con decreto del 24 marzo 2014, il Tribunale di Palermo applicava a

Leonardo Algeri, a sensi degli artt. 1 ss. d.legvo n. 159/2011, la misura di
prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di
soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni due, imponendo il
versamento di una cauzione. Disponeva, altresì, la confisca dell’immobile, del saldo

Data Udienza: 19/11/2015

attivo del conto corrente, del rapporto bancario e degli automezzi specificamente
indicati, intestati al proposto ed alla moglie Maria Carmela Ferrara.

2. Pronunciando sul gravame proposto in favore dei predetti, la Corte
d’appello di Palermo, con il decreto indicato in epigrafe, confermava l’impugnato
provvedimento.
Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dei coniugi Russo-Ferrara, avv.
Raffaele Bonsignore, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di

3. Con unico, articolato, motivo di ricorso si denuncia violazione di legge in
ordine al requisito dell’attualità della pericolosità sociale del proposto ed alla
ritenuta esistenza dei presupposti giustificativi della disposta confisca anche sul
rilievo che l’immobile confiscato era stato acquistato non già con danaro di
provenienza illecita, ma con un mutuo ipotecario erogato da un istituto di credito.

4. La prima ragione di censura è manifestamente infondata. Ed invero, non
può, di certo, reputarsi affetto da mancanza di motivazione il provvedimento
impugnato né, tantomeno, da mera apparenza di motivazione, dunque da patologia
motivazionale che, notoriamente, refluisce nel vizio di violazione di legge, che
tuttora, alla luce del comma 3 dell’art. 10 e dell’art. 27 comma 2 del d.lgvo n. 159
del 2011 costituisce il solo vizio di legittimità denunciabile in cassazione in materia
di misure di prevenzione personali e patrimoniali (ai sensi dell’art. 4, undicesimo
comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e dell’art. 3-ter, secondo comma,
della legge 31 maggio 1965 n. 575, ora art. 10, comma 3,ed art. 27 comma 2, del
d.lgs 6 settembre 2011, n. 159, c.d codice antimafia, il cui combinato disposto è
stato riconosciuto costituzionalmente legittimo dalla Corte Costituzionale, con
sentenza n. 106 del 15 aprile 2015).
Ed invero, il costrutto giustificativo del provvedimento impugnato rende
compiuta e pertinente ragione dei presupposti giustificativi della misura di
prevenzione personale.
Il collaudo della completezza e pertinenza dell’insieme motivazionale ha
esito favorevole anche sul versante dell’indefettibile correlato di attualità del
giudizio.
Con ineccepibile rilievo argomentativo, fondato su precise emergenze
processuali, il giudice a quo ha precisato che, dal 1997 sino al maggio 2013, alla
luce delle pronunce di condanna a suo carico per reati contro il patrimonio, a partire
da una rapina, il proposto aveva posto in essere attività delittuosa, da ultimo anche
forma associata e persino dopo un lungo periodo di detenzione sofferto. Riferimenti
questi che autorizzavano certamente la conclusione che egli fosse soggetto

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seguito indicate.

abitualmente dedito alla commissione di delitti contro il patrimonio e, quindi, di
traffici illeciti.
Il riferimento alle recenti attività delittuosa consentiva, quindi, di ritenere tanto più in mancanza di contrari elementi di valutazione – l’attualità del giudizio di
pericolosità sociale.
Si tratta, in tutta evidenza, di motivazione tutt’altro che di mera parvenza, il
cui, reale, tenore significativo non può, ovviamente, essere delibato in sede di
legittimità, dovendo il sindacato di questa Corte arrestarsi al riscontro di

Le superiori argomentazioni danno, poi, conto della palese infondatezza
anche delle censure relative alla legittimità della disposta misura ablatoria.
Sarà sufficiente, allora, osservare che l’impianto motivazionale offerto dalla
Corte distrettuale, in risposta ad articolate deduzioni difensive, è certamente tale da
integrare idonea motivazione, secondo ordinari

standards giustificativo, e non

risulta inficiato da alcuna violazione di legge. Anzi, ne va apprezzata la puntuale
conformità ai parametri normativi, quanto all’individuazione del requisito della
sproporzione e della verosimile provenienza dei beni da attività illecita.
In direzione del primo profilo, è certamente assorbente il rilievo che, al tempo degli
acquisti, nessuno dei coniugi svolgesse attività di lavoro o fosse, comunque,
percettore di reddito tale da consentirne l’acquisizione.
Il secondo profilo si riconnette, ovviamente, al pregiudiziale accertamento
della pericolosità sociale, che riguarda un lungo arco temporale, che va dal 1997
all’attualità e, dunque, al verosimile impiego, per gli acquisti dei beni sequestrati, di
proventi di attività illecita.
Secondo il recente insegnamento di questa Corte, nella sua più autorevole
espressione a Sezioni Unite, la possibilità di applicazione disgiunta della confisca
dalla misura di prevenzione personale, così come emerge dalle riforme normative
operate dalla legge 24 luglio 2008 n. 125 e dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, non ha
introdotto nel nostro ordinamento una “actio in rem”, restando presupposto
ineludibile di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale la pericolosità
del soggetto inciso, in particolare la circostanza che questi fosse tale al momento
dell’acquisto del bene (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv.
262604). Nell’occasione, si è rilevato che la pericolosità sociale, oltre ad essere
presupposto indefettibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale”
del suo ambito applicativo; sicché con riferimento specifico alla c.d. pericolosità
generica, come nel caso di specie, sono suscettibili di ablazione solo i beni
acquistati in un circoscritto arco temporale, quello in cui si è concretamente
manifestata la pericolosità sociale.
E’ opportuno, a questo punto, evidenziare che la ritenuta provenienza illecita
delle risorse finanziarie impiegate nell’acquisto dei ben confiscati, in stretta

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motivazione effettiva e pertinente.

connessione con l’accertamento della pericolosità sociale, è rimasta avvalorata dalla
mancanza di alternative giustificazioni da parte degli interessati.
Sempre le citate Sezioni Unite n. 4880, Rv. 262607, hanno statuito che la
presunzione di illecita provenienza dei beni ha natura di presunzione relativa e per
l’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico del soggetto inciso è sufficiente la
mera allegazione di fatti, situazioni o eventi che, ove riscontrabili, siano idonei,
“ragionevolmente e plausibilmente”, ad indicare la lecita provenienza dei beni (In
applicazione dell’anzidetto principio di diritto, la Suprema Corte ha precisato che, ad

prevenzione ai parametri costituzionali ed ai principi dell’ordinamento
sovranazionale, è il riconoscimento al soggetto inciso della facoltà di prova
contraria, che rende la presunzione de qua meramente relativa).
Ed infatti, se è vero – anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 2 ter,
comma terzo, primo periodo, I. n. 575 del 1965, dalla legge 24 luglio 2008 n. 125 che spetta pur sempre alla parte pubblica l’onere della prova della sproporzione tra
beni patrimoniali e capacità reddituale del soggetto nonché dell’illecita provenienza
dei beni, dimostrabile anche sulla base di presunzioni; è pur vero che è riconosciuta
al proposto la facoltà di offrire prova contraria (SU n. 4880 cit., Rv. 262606). Ed
una prova siffatta, neppure in base a plausibili allegazioni di fatto, è stata offerta
dagli odierni ricorrenti.

5.

Per quanto precede, i ricorsi sono inammissibili e tali vanno, dunque,

dichiarati, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento della somma di € 1000,00 ciascuno in
favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/11/2015

assicurare la conformità del sistema acquisitivo dei beni sottoposti a confisca di

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