Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7993 del 10/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7993 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PALMIERI SEBASTIANO N. IL 17/03/1971
avverso l’ordinanza n. 6/2010 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 04/10/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
lette/sentite lq conclusioni del PG Dott. ,
Q-4 memo;
44Atato m
tAt

Uditi d’ nsor Avv.;

Data Udienza: 10/10/2013

-1- Palmieri Sebastiano propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, avverso
l’ordinanza della Corte d’Appello di Caltanissetta, del 4 ottobre 2011, che ha respinto la
richiesta, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta, dal 1° marzo
2005 al 1° giugno 2006, in conseguenza di provvedimento restrittivo emesso a suo carico dal
Gip del tribunale di Gela per il reato di cui all’art. 73 del d.p.r. n. 309/90; reato dal quale è
stato successivamente assolto.
L’accusa a carico del Palmieri si basava, secondo quanto hanno sostenuto i giudici della
riparazione, su elementi indizianti tratti dai contenuti di diverse conversazioni intercettate nel
corso delle qualil’esponente ed i suoi interlocutorifacevano riferimento ad attività di
compravendita di generi di varia natura, indicati, talvolta, come “giubbotti” o “maglioni”,
talaltra, come “pomodori” e “ciliegino”. Conversazioni caratterizzate da riferimenti a soggetti
indicati in termini generici -“i napoletani”, “quello” al quale servivano i “giubbotti”, “quello
dei giubbotti”- che avevano ingenerato la convinzione, sia pure errata, che i conversanti,
attraverso un linguaggio in codice, trattassero in realtà la compravendita di sostanze
stupefacenti.
La corte d’appello, preso atto degli esiti del procedimento penale, ha ritenuto di individuare
nella condotta processuale dell’esponente, caratterizzata dal più assoluto silenzio in ordine ai
fatti medesimi, una condotta gravemente colposa, che aveva contribuito a determinare
l’adozione del provvedimento restrittivo.
-2- Avverso tale decisione viene proposto, dunque, ricorso dal Palmieri, che deduce il vizio
di motivazione dell’ordinanza impugnata, anzitutto rilevando come i giudici della riparazione
non avessero effettuato alcuna distinzione tra il momento dell’adozione e quello del
mantenimento del provvedimento cautelare e non avessero considerato come detto
provvedimento fosse stato chiesto ed emesso sulla scorta della semplice interpretazione, in
termini accusatori, dei contenuti delle conversazioni intercettate, in opposizione alla quale
l’indagato null’altro avrebbe potuto opporre che una diversa ed ininfluente interpretazione.
Errata sarebbe, quindi, la decisione del giudice della riparazione, che ha finito con il ritenere
la sussistenza della colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, da una
condotta, cioè la scelta difensiva di avvalersi della facoltà di non rispondere, che altro non
rappresenta che il legittimo esercizio del diritto di difesa.
-3- Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte il 5 ottobre 2013,
l’Avvocatura Generale dello Stato, costituitasi per il Ministero dell’Economia, ha
chiestodichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso.
Considerato in diritto.
Il ricorso è infondato.
-1- Secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione,
la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il
richiedente dato o concorso a dar causa, per dolo o colpa grave, all’adozione del
provvedimento restrittivo, deve manifestarsi con comportamenti concreti, precisamente
individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al
fine di stabilire, con valutazione “ex ante”, non se essi abbiano rilevanza penale, bensì solo se
si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di
custodia cautelare.

2_.

Ritenuto in fatto.

-2- Orbene, a tali principi si è attenuta la corte territoriale che, valutando ex ante la
condotta del Palmieri, cioè i suoi frequenti contatti telefonici con soggetti con i quali non
risultavano rapporti commerciali o di amicizia che potessero in qualche modo giustificare i
riferimenti ad accordi commerciali di beni, peraltro eterogenei, nonché l’ambiguità dei
dialoghi e dei riferimenti ad altri soggetti non meglio indicati, ha ritenuto chela stessa aveva
contribuito a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo, sia pure in presenza di
errore da parte dell’autorità procedente.
Legittimamente, inoltre, la stessa corte ha dato rilievo alla condotta processuale del
richiedente che, a fronte delle errate interpretazioni dei contenuti delle conversazioni che lo
riguardavano, ha preferito trincerarsi nel più assoluto silenzio.
Condotta certamente legittima, ma che altrettanto legittimamente è stata ritenuta dal
giudice della riparazione gravemente colposa, nei termini intesi dall’art. 314 cod. proc. pen,
che aveva contribuito al perdurare della condizione detentiva.
Se è vero, infatti, che l’imputato o la persona sottoposta ad indagine ha il diritto al silenzio,
alla reticenza ed anche alla menzogna, è tuttavia altrettanto vero che tale comportamento, di
per sé certamente legittimo, può, in sede di giudizio riparatorio, ritorcersi contro l’interessato.
Ciò non perché possa essere censurata la scelta difensiva, ma per l’omessa tempestiva
allegazione di spiegazioni e chiarimenti idonei ad eliminare il valore indiziante di elementi
acquisiti in sede di indagini. Dunque, nella sede riparatoria rilevano, secondo quanto già
affermato da questa Corte, non il silenzio, la reticenza o la menzogna in quanto tali, ma “il
mancato esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano dell’allegazione di fatti
favorevoli che, se non può essere da solo posto a fondamento dell’esistenza della colpa
grave, vale però a far ritenere l’esistenza di un comportamento omissivo casualmente
efficiente nel permanere della misura cautelare, del quale può tenersi conto nella
valutazione globale della condotta in presenza di altri elementi di colpa” (Cass. n.
16370/03).
Orbene, nel caso di specie, all’iniziale posizione del Palmieri rispetto all’ambiguo tenore di
conversazioni che giustificavano i sospetti degli inquirenti, ha fatto seguito un comportamento
altrettanto censurabile, caratterizzato dal sostanziale rifiuto di chiarire i termini della vicenda.
Condotta che legittimamente il giudice della riparazione ha ritenuto avere contribuito al
protrarsi della misura restrittiva disposta nei confronti dell’esponenteche, a fronte delle errate
interpretazioni dei contenuti delle conversazioni che lo riguardavano, ha preferito trincerarsi
nel più assoluto silenzio, laddove l’immediato chiarimento del senso delle conversazioni
intercettate, dell’oggetto delle stesse, dei rapporti esistenti tra i vari interlocutori e con gli altri

A tal fine egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla
condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di
stabilire se tale condotta abbia, o meno, determinato, ovvero anche contribuito alla
formazione di un quadro indiziario che ha provocato l’adozione o la conferma del
provvedimento restrittivo. Di guisa che non ha diritto all’equa riparazione per la custodia
cautelare sofferta chi, con il proprio comportamento, anteriore o successivo alla privazione
della libertà personale (o, in generale, a quello della legale conoscenza di un procedimento
penale a suo carico), abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Viceversa,
l’indennizzo deve essere accordato a chi, ingiustamente sottoposto a provvedimento
restrittivo, non sia stato colto in comportamenti di tal genere.
Ovviamente, nell’un caso e nell’altro, il giudice deve valutare attentamente la condotta del
soggetto, indicare i comportamenti esaminati e dare congrua e coerente, sotto il profilo
logico, motivazione delle ragioni per le quali egli ha ritenuto che essi debbano, ovvero non
debbano, ritenersi come fattori condizionanti e sinergici rispetto all’adozione del
provvedimento restrittivo.

-3- Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento
delle spese processuali. Nulla a titolo di rifusione delle spese del presente giudizio in favore
del Ministero resistente, tardivamente intervenuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

soggetti genericamente richiamati, avrebbe certamente indotto l’autorità giudiziaria a rivedere i
propri giudizi.
Il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di
riparazione è, d’altra parte, limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico
attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla decisione; mentre resta di esclusiva
pertinenza di quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o
dell’esistenza del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere
censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse in
sede processuale, correttamente valutate dalla corte territoriale e perfettamente in linea con i
principi di diritto affermati da questa Corte in tema di riparazione.

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