Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7991 del 06/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7991 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GJONI XHELIO N. IL 03/11/1973
avverso l’ordinanza n. 243/2014 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
04/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 06/11/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Massimo GALLI, ha concluso chiedendo
il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 4 marzo 2015 la Corte di Appello di Perugia ha rigettato l’istanza
presentata da &JON’ XHELIO di restituzione nel termine per impugnare la sentenza del
Tribunale di Orvieto del 6 aprile 2010, irrevocabile 1’11 maggio 2011.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il GJONI, deducendo violazione di legge e
illogicità della motivazione.

preliminari, era detenuto presso la Casa Circondariale di Vigevano e, prima della sentenza, era
stato espulso dal territorio dello Stato italiano; il suo rapporto con il difensore si era interrotto
e lui era irreperibile da tempo. Non aveva avuto, quindi, alcuna conoscenza del processo e
della sentenza contumaciale, sicché l’ordinanza impugnata sarebbe illegittima perché ancorata
al solo rilievo della formale regolarità delle notifiche.
3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte territoriale per rigettare la
domanda di restituzione nel termine non ha fatto solo riferimento alla regolarità delle notifiche,
ma ha tratto argomenti per la sicura conoscenza del processo da parte del condannato: dalla
ricevuta notifica del decreto di sequestro; dalla presenza del GJONI alle attività di sequestro;
dalla nomina di un difensore di fiducia; dal fatto che il decreto di espulsione non può ritenersi
di ostacolo all’esercizio dei poteri cognitivi e difensivi indicati dal primo comma dell’art. 175
cod. proc. pen.
2. Va preliminarmente evidenziato che l’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. ha subito
modifiche, nell’ambito di una più generale ed ampia riforma del processo

in absentia, in

seguito all’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014 n. 67.
In particolare, è stato cancellato dal testo della norma ogni riferimento alla restituzione del
condannato in contumacia nel termine per impugnare la sentenza contumaciale.
Nel caso in esame deve tuttavia continuare a trovare applicazione il testo originario dell’art.
175, comma 2, introdotto dal D.L. 21 febbraio 2005 n. 27 (conv. con modificazioni in legge 22
aprile 2005, n. 60), giacché il ricorrente è stato dichiarato contumace sotto la vigenza della
disciplina anteriore alla riforma del 2014.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare tale principio di diritto (Sez. 2, 27 maggio 2014,
n. 23882, rv. 259634), che il Collegio condivide, al fine di assicurare pienamente la tutela di un
diritto fondamentale dell’imputato, quale quello di partecipare personalmente al processo
penale a suo carico (art. 111 Cost. e art. 6 C.E.D.U.). Se la nuova disciplina venisse applicata
a soggetti dichiarati contumaci prima dell’entrata in vigore della riforma, essi sarebbero privati
dell’istituto del rimedio della restituzione nel termine per impugnare, senza però aver
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Ha sostenuto che egli, al momento della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini

previamente beneficiato delle maggiori garanzie assicurate dalla stessa riforma e che sole
hanno giustificato il superamento dell’originaria configurazione dell’istituto della restituzione in
termini.

3. Ciò premesso, va subito rilevato che il ricorso sottopone all’attenzione di questa Corte una
modalità di esercizio del patrocinio da parte del difensore di fiducia presso il cui studio il
ricorrente aveva originariamente eletto domicilio, che consente di ritenere la presunzione di
conoscenza legale idonea a concretizzare una conoscenza effettiva del processo da parte del
ricorrente; nello specifico, non risulta che il difensore abbia comunicato al giudice l’avvenuta

notifiche relative al processo in corso nei confronti dell’attuale ricorrente, senza che vi sia mai
stata alcuna formale rinuncia al mandato.
Quindi, il rapporto di rappresentanza fiduciaria tra il ricorrente ed il proprio difensore
domiciliatario non ha subito in concreto una cesura processuale che possa giustificare una
restituzione del condannato in contumacia nel termine per appellare la sentenza di primo
grado, ex art. 175, comma 2, secondo la versione anteriore alla riforma del 2014.
In proposito si evidenzia che la giurisprudenza di legittimità tende a porre in capo all’assistito
l’onere di mantenere í contatti con il proprio difensore, così da essere informato da
quest’ultimo sugli sviluppi del processo instaurato nei suoi confronti; muovendo da una siffatta
premessa, si giunge pertanto a concludere che il comportamento del prevenuto che si renda
irreperibile per il proprio difensore di fiducia, interrompendo ogni contatto con quest’ultimo,
equivale ad una volontaria rinuncia a partecipare al procedimento in corso e, dunque, anche ad
impugnare un’eventuale decisione sfavorevole, escludendosi così la possibilità di una
successiva restituzione nel termine per proporre l’impugnazione (Sez. 6, n. 5169 del
16/01/2014, Najinni, Rv. 258775; Sez. 2, 26 giugno 2013, Beye, n. 43436, rv. 256727; Sez. 5,
8 febbraio 2007, Benjamin, n. 11701, rv. 235943; Sez. 1, 16 maggio 2006, Gdoura, n. 19127,
rv. 233920).
Viene quindi valorizzata la conoscenza originaria del procedimento in atto, la quale risulta
assorbente rispetto alla successiva eventuale non conoscenza effettiva del provvedimento che
abbia definito il processo. In altri termini, si è ritenuto che il soggetto che abbia contezza
dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico e che, nonostante ciò, si disinteressi
completamente del suo svolgimento, omettendo di mantenersi in contatto con il difensore di
fiducia previamente nominato e presso il quale abbia eletto domicilio, manifesta la volontà di
non prendere parte al processo.
Questa rinuncia, in assenza di atti formali o comportamenti successivi che si muovano in
direzione opposta, si estende a tutte le fasi e i passaggi del procedimento penale, ivi compresa
l’impugnazione di un eventuale provvedimento di condanna.
Nè vale osservare che l’interessato non abbia avuto effettiva conoscenza della sua
sopravvenuta condanna, essendo stato l’estratto contumaciale notificato al difensore
domiciliatario con il quale i contatti si erano ormai interrotti; la condanna, infatti, rientra tra gli
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interruzione del rapporto con l’assistito, mentre certamente ha continuato a ricevere le

esiti ragionevolmente prevedibili dell’iter procedimentale e, perciò, è logico pensare che
rinunciando ad essere attivamente presente nel processo, il prevenuto rinunci altresì ad
impugnare personalmente le decisioni definitorie.
Alla luce delle suesposte considerazioni, quindi, il comportamento del soggetto che si renda
irreperibile per il proprio difensore può essere considerato come fatto concludente espressivo
della volontà di non prendere parte al procedimento a suo carico, purché prima di interrompere
ogni rapporto con il difensore presso il quale abbia eletto domicilio questi abbia avuto piena ed
effettiva conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale instaurato nei suoi confronti.

destinatario di un provvedimento di sequestro disposto dal Pubblico Ministero e che aveva
partecipato di persona alle operazioni dello stesso sequestro.
La Corte territoriale, inoltre, da atto che il G.JONI aveva ricevuto pure l’avviso di conclusione
delle indagini (tradotto) e aveva nominato al riguardo il difensore di fiducia, eleggendo presso
di lui il domicilio.
Tutti gli atti processuali posteriori, a partire dal decreto di citazione a giudizio sino alla notifica
dell’estratto contumaciale della sentenza, sono stati notificati presso il difensore domiciliatario.
Correttamente, peraltro, la Corte territoriale ha rilevato che non può apprezzarsi positivamente
il fatto che il ricorrente abbia allegato di essere stato espulso dall’Italia.
In primo luogo va detto che di tale espulsione il ricorrente non precisa neppure nell’atto di
impugnazione dinanzi a questa Corte i termini temporali e modali, limitandosi a rappresentare
che “al momento della notifica dell’avviso della conclusione delle indagini ….era detenuto
presso la Casa Circondariale di Vigevano e che prima dell’emissione della sentenza 6 aprile
2010 del Tribunale di Orvieto lo stesso era stato espulso dal territorio dello Stato italiano”.
Quindi il ricorrente non ha affatto assolto al proprio onere di allegazione per provare che sia
stato espulso e che in seguito a tale evento gli sia stata inibita la possibilità di difendersi nel
processo in corso, di cui certamente era a conoscenza.
D’altro canto occorre ricordare che, in tema di restituzione in termine, la emissione del decreto
di respingimento dello straniero alla frontiera e, a maggior ragione, l’avvenuta espulsione del
medesimo non costituiscono ostacolo assoluto all’esercizio dei poteri cognitivi e difensivi
indicati nel comma primo dell’art. 175 cod. proc. pen., posto che sia l’art. 7 comma primo
quinquies D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito nella I. 28 febbraio 1990 n. 39, che l’art.
17 D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286, come modificato dall’art. 16 I. n. 189 del 2002, prevedono la
possibilità, per l’imputato espulso, di rientrare temporaneamente in Italia per l’esercizio del
diritto di difesa (Sez. 3, n. 19947 del 07/04/2005, Omorogbe, Rv. 231718).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2015
I l\reidente

4. Nel caso in esame detta conoscenza può ravvisarsi nel fatto che il G.JONI era stato

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