Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7979 del 26/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7979 Anno 2016
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANZO VITTORIO N. IL 18/05/1947
BANCO DI NAPOLI SPA
ZAMPOGNARO MAURO
RAMUNNO MARIA
avverso l’ordinanza n. 157/2013 TRIBUNALE di TORRE
ANNUNZIATA, del 16/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALFREDO
GUARDIANO;
o i_
lette/syfitye le conclusioni del PG Dott. _Lo—
.14,_:_pv\A,
CSU-0-4

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/10/2015

FATTO E DIRITTO

1. Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Torre

in sede di rinvio ex art. 627, c.p.p.: 1) rigettava le istanze di
revoca della confisca ex art. 12 sexies, d.l. n. 306 del 1992,
disposta dal tribunale di Torre Annunziata il 3.5.2004, con
sentenza confermata dalla corte di appello di Napoli il 22.6.2005,
divenuta irrevocabile il 25.10.2006, proposte da Manzo Vittorio e
dai coniugi Zampognaro Mauro e Ramunno Ilaria, nonché l’istanza
di revoca avanzata nell’interesse dell’interveniente Banco di
Napoli; 2) dichiarava la nullità del trasferimento dei due beni
immobili oggetto della menzionata confisca, specificamente
indicati nell’ordinanza oggetto di ricorso, dalla società “Sri Beta
Costruzioni Generali ” alla società “Gestimpianti Srl”, nonché
l’inefficacia e l’inopponibilità, rispetto alla disposta confisca, degli
atti di trasferimento dei suddetti immobili dalla “Gestimpianti Srl”
in favore dei coniugi Zampognaro-Ramunno, da un lato, di Manzo
Vittorio, dall’altro, previa correzione dell’errore materiale relativo
agli estremi catastali indicati nel provvedimento di confisca, nel
senso che gli appartamenti in questione devono intendersi
riportati sul foglio 12 anziché 12/A, come da variazione catastale
del 3.3.1993.
1.2. Come si è accennato l’ordinanza impugnata è stata adottata
dopo che la Suprema Corte, con sentenza del 5.6.2013, aveva
annullato con rinvio per nuovo esame, l’ordinanza con cui, in data
26.4.2012, il tribunale di Torre Annunziata, sempre quale giudice
dell’esecuzione penale, aveva rigettato la richiesta di

Annunziata, in qualità di giudice dell’esecuzione penale, decidendo

annullamento,

formulata

dall’Agenzia

Nazionale

per

l’Amministrazione e la Destinazione dei beni sequestrati e
confiscati alla criminalità organizzata (A.N.A.D.), con riferimento
agli atti di trasferimento di due appartamenti, ubicati in distinti

veniva dedotta la natura elusiva del provvedimento di confisca ex
art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, emesso, a carico di Cesarano
Ferdinando, in sede di cognizione dallo stesso tribunale, con
sentenza del 3.5.2004, confermata dalla corte di appello di Napoli
il 22.6.2005, con statuizione divenuta irrevocabile il 25.10.2006,
dichiarando, di conseguenza, l’inopponibilità del suddetto
provvedimento ablativo nei confronti della società “Gestimpianti
Srl” e dei suo aventi causa, Zampognaro Mauro, Ramunno Ilaria e
Manzo Vittorio.
L’assunto del giudice dell’esecuzione era che, pur essendo
indiscutibile che i beni in questione, formalmente appartenenti alla
società “Srl Beta Costruzioni Generali”, di cui era amministratore
Rainone Guido, avrebbero dovuto essere venduti nel 1992
fittiziamente a Del Gaudio Catello e ad Angelotti Luigi, prestanome
di Cesarano Ferdinando, esponente di spicco della criminalità
organizzata di matrice camorristica, in esecuzione di una
imposizione di natura estorsiva, gli atti di trasferimento dei
suddetti immobili posti in essere, nel 1999, in favore della
“Gestimpianti Sri”, da Cesarano Arturo e Laudiero Pasquale,
subentrati nella gestione della società al Rainone nel 1995, e,
successivamente, da quest’ultima in favore, da un lato dei coniugi
Zampognaro-Ramunno (nel 2005), dall’altro di Manzo Vittorio (nel
2004), trattandosi di soggetti estranei al precedente patto
estorsivo finalizzato alla intestazione fittizia dei due appartamenti,

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fabbricati del “Parco Maria di San Abbondio”, in Pompei, di cui

rimasto ineseguito, non potevano essere intaccati dal
provvedimento di confisca disposto nella sentenza passata in
giudicato nei confronti del Cesarano Ferdinando.
Nel censurare la motivazione del tribunale di Torre Annunziata, il

dei due appartamenti della “Beta Costruzioni” a Cesarano
Ferdinando (circostanza di fatto coperta dal giudicato), anche
quando, nel 1995, la gestione della società era passata da
Rainone a Cesarano Arturo ed a Laudiero, e nella finalità elusiva,
anche per quel che riguarda la suddetta riferibilità dei due beni
immobili al Cesarano Ferdinando, della vendita dell’intero
complesso immobiliare, costituito da sei appartamenti, oggetto
della “pattuizione estorsiva”, in cui ricadevano i menzionati
cespiti, dalla “Beta Costruzioni” alla “Gestimpianti”, avendo la
nuova gestione del Cesarano Arturo e del Laudiero “ereditato” la
transazione intervenuta nel 1995 con il Rainone.
Quest’ultimo, peraltro, come chiarito nell’ordinanza oggetto di
ricorso, pur essendosi ritirato dalla “Beta Costruzioni Generali”,
aveva ottenuto il rilascio di una procura a vendere irrevocabile
relativa ai sei appartamenti costituenti il provento dell’estorsione
consumata dal Cesarano Ferdinando, essendo sua intenzione
adempiere al patto illecito, allo scopo di salvaguardare la propria
incolumità personale e scongiurare conseguenze pregiudizievoli
per i nuovi amministratori.
Per cui, osserva la Suprema Corte, non potendosi far comunque
discendere dal trasferimento del 1999 “la buona fede dei
successivi acquirenti del 2004 e del 2005”, quel che rileva, con
riferimento alla posizione di questi ultimi (i coniugi ZampognaroRamunno e Manzo Vittorio) è che essi hanno acquistato beni

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Supremo Collegio ha individuato alcuni punti fermi nella riferibilità

sottoposti a sequestro preventivo di natura penale (disposto con
decreto del 2001, oggetto di trascrizione), di cui erano o
avrebbero dovuto essere a conoscenza, non potendo, per tale
ragione, essere considerati terzi acquirenti di buona fede.

principio di diritto al quale, ex art. 627, co. 3, c.p.p., il giudice del
rinvio deve attenersi, evidenziando come il terzo interessato
estraneo al processo penale, che voglia ottenere il riconoscimento
del proprio diritto derivante dall’acquisto di una proprietà
immobiliare (tali sono i coniugi Zampognaro-Ramunno e Manzo
Vittorio, rimasti estranei al processo penale in cui è stato adottato
il provvedimento di confisca dei beni immobili da essi acquistati),
oltre a offrire la prova della propria buona fede, deve
necessariamente anche vantare un titolo di data certa anteriore al
sequestro, che, nel caso in esame, rappresenta in realtà “l’atto
certo anteriore” all’acquisto, non essendo sostenibile l’opposta tesi
della discontinuità tra la “Beta Costruzioni” e la “Gestimpianti”,
che costituiscono due compagini societarie in rapporto di evidente
continuità, ove si tenga conto che la moglie e la figlia di Cesarano
Arturo erano tra i soci della “Gestimpianti”.
1.3. Nella successiva ordinanza del 16.7.2014, il giudice del rinvio
ha sostanzialmente riproposto le argomentazioni della sentenza
della Suprema Corte, di cui ha riportato integralmente il
contenuto nei passaggi salienti (cfr. pp. 7; 8; 13; 14; 17
dell’ordinanza oggetto di ricorso).
Particolare attenzione, in siffatto contesto motivazionale, il
tribunale di Torre Annunziata ha dedicato alle due condizioni che,
astrattamente, legittimano la revoca della confisca e la
restituzione dei beni ai terzi in buona fede titolari di diritti su dì

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Al riguardo la sentenza di annullamento ha enunciato anche il

essi: l’anteriorità dell’acquisto e, per l’appunto, la buona fede
degli acquirenti.
Quanto al primo profilo, rileva il tribunale come il sequestro
preventivo disposto in danno della “Beta Costruzioni” (ma

indagini preliminari presso il tribunale di Napoli il 19.4.2001,
trascritto nei registri immobiliari il successivo 23.4.2001, sia
antecedente alle date (2004 e 2005) in cui i due appartamenti
vennero venduti a coloro che ne invocano la restituzione.
Con riferimento, invece, al requisito della buona fede, il tribunale,
premesso che il concetto di buona fede in materia di confisca non
può ritenersi affine alla omologa nozione civilistica accolta dall’art.
1147, c.c., evidenzia che gli istanti hanno acquistato beni
sottoposti a sequestro penale, circostanza di cui essi erano o
avrebbero dovuto essere consapevoli, in quanto il relativo
provvedimento era stato trascritto nei registri immobiliari.
Essi, dunque, conclude, sul punto, il tribunale di Torre Annunziata,
non possono dirsi acquirenti in buona fede in senso oggettivo,
essendo “scontato che l’acquisto di un bene sottoposto a
sequestro penale, quindi confiscabile, determini quanto meno
l’accettazione consapevole del rischio di una sua confisca”, senza
che si possa invocare a propria discolpa, come sostenuto dagli
istanti, quello che, piuttosto, appare come un loro “colpevole e
negligente affidamento sulle dichiarazioni del notaio rogante”
ovvero l’erronea indicazione, nel provvedimento di sequestro
trascritto, dei dati catastali identificativi degli immobili confiscati.
2. Avverso il suddetto provvedimento, di cui chiedono
l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione
i menzionati soggetti terzi interessati, nonché l’istituto di credito

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automaticamente traslato sulla “Gestirnpianti”) dal giudice per le

Banco di Napoli, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia,
deducendo, con autonomi atti di impugnazione, violazione di legge
e vizio di motivazione sotto diversi profili.
2.1. In particolare il Manzo, nel ricorso a firma dell’avv. Alfonso

disposto, in sede di cognizione, la confisca dell’immobile
acquistato dalla “Gestimpianti” ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. n.
306 del 1992, in assenza dei relativi presupposti di legge (vale a
dire senza dimostrare la disponibilità in capo a Ferdinando
Cesarano, condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis, c.p., del
suddetto immobile – rimasto invero, fino alla cessione in favore
del ricorrente, nella disponibilità del costruttore Cesarano Arturo,
che si sottrasse alla richiesta estorsiva originariamente formulata
nei confronti di Rainone Guido – ovvero la natura fittizia
dell’intestazione dell’immobile prima alla “Beta Costruzioni” e,
successivamente, alla “Gestimpianti”), per cui il giudice
dell’esecuzione ha fondato la sua decisione sul tale erronea
motivazione del tribunale, senza riconoscere, per converso, al
Manzo, terzo estraneo al processo, il diritto di dimostrare la
propria buona fede (riconosciuta, peraltro, dallo stesso giudice
dell’esecuzione nella motivazione del provvedimento con cui, in
data 26.4.2012, aveva dichiarato l’inopponibilità della confisca alla
“Gestimpianti” ed ai suoi aventi causa), alla luce di quegli
elementi che lo stesso tribunale di Torre Annunziata aveva preso
in considerazione per affermare che l’immobile in questione non
era mai entrato nella disponibilità di Cesarano Ferdinando,
rigettando l’istanza del ricorrente esclusivamente sulla base della
circostanza che quest’ultimo aveva acquistato l’immobile solo
successivamente al disposto sequestro preventivo.

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Furgiuele, lamenta che il tribunale di Torre Annunziata aveva

Si tratta, ad avviso del ricorrente, di una conclusione formale,
che, non consentendo al terzo estraneo al processo di dimostrare
la sua buona fede, sulla base di un dato di natura meramente
temporale, rappresentato dall’anteriorità del sequestro rispetto

proprie della confisca e, quindi, con l’art. 7 della C.E.D.U., che
prevede l’illegittimità di “sanzioni”, non fondate su di un giudizio di
colpevolezza.
2.2. Zampognaro Manzo e Ramunno Ilaria, nel ricorso a firma
dell’avv. Filippo Liguori, del Foro di Napoli, lamentano, da un lato
che, in mancanza di revocatoria da parte del giudice civile del
trasferimento dei beni immobili da “Beta Costruzioni” a
“Gestimpianti”, trattandosi di soggetti estranei al processo penale
nel cui ambito ne è stata disposta la confisca e di un sequestro
intervenuto nel 2001, quando la “Beta Costruzioni” non era più
proprietaria dei beni in questione, il giudice dell’esecuzione non
poteva dichiarare la nullità di tale trasferimento e l’inefficacia di
quello successivo in favore dei coniugi; dall’altro che il giudice
dell’esecuzione ha commesso un duplice errore di diritto, sia
escludendo la buona fede dei ricorrenti ed il loro legittimo
affidamento sul contenuto dell’atto d’acquisto, per rogito del
notaio Matrone, in cui l’immobile veniva indicato come libero da
vincoli e trasferibile, posto che la trascrizione del decreto di
sequestro era errata, per essere stata effettuata in danno della
“Beta Costruzioni”, non più proprietaria, e su particella catastale
diversa da quella effettiva, sia per non avere rimesso al giudice
civile la questione relativa alla proprietà del bene confiscato, ex
art. 676, co. 2, c.p.p.

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all’atto di compravendita, si pone in contrasto con le finalità

2.3. Il Banco di Napoli, nella qualità di creditore ipotecario, a
fronte del mutuo concesso ai coniugi Zampognaro-Ramunno, nel
ricorso a firma degli avv. Gennaro Iollo e Nazzareno Di Maio, del
Foro di Napoli, insiste sul profilo inerente alla impossibilità per

accorgersi della sottoposizione al vincolo reale dell’immobile su cui
venne acceso il muto, a causa della erroneità della trascrizione del
decreto di sequestro preventivo, riconosciuta dallo stesso giudice
dell’esecuzione che ha disposto la correzione dell’errore
nell’indicazione della particella catastale, per cui appare
improponibile l’assunto che la mera anteriorità del sequestro
costituisse ostacolo al riconoscimento della buona fede dei terzi,
pur a fronte della inesigibilità della condotta pretesa, deducendo,
inoltre, l’omessa motivazione del provvedimento impugnato con
riferimento alle richieste di riconoscimento del credito residuo da
parte dell’istituto di credito.
2.4. Con motivi nuovi, depositati il 10.10.2015, dall’avv. Carlo
Enrico Paliero, del Foro di Pavia, nuovo difensore di fiducia dei
coniugi Zampognaro-Ramunno, si deduce: 1) violazione di legge,
in quanto nel caso in esame la confisca sarebbe stata disposta dal
tribunale di Torre Annunziata, in sede di cognizione, ai sensi
dell’art. 12 sexies, d.l. n. 306 del 1992, sul presupposto di un
reato, quello di cui all’art. 12 quinquies del medesimo testo
normativo nella sua forma tentata, che non consente l’applicabilità
della confisca di cui si discute, limitata alle sole fattispecie
consumate, non potendosi, per contro, strumentalizzare ed
estendere la previsione dell’art. 416 bis, c.p., al punto da eludere
il principio che esclude la confisca per le fattispecie tentate; 2)
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta

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l’istituto di credito, al pari dei coniugi Zampognaro-Ramunno, di

esclusione della buona fede da parte dei ricorrenti all’atto
dell’acquisto, ai quali, in presenza di un evidente errore nella
trascrizione del decreto di sequestro preventivo ed in mancanza di
indicazioni sulla esistenza del vincolo nell’atto di acquisto, non è

trascurare che il provvedimento impugnato non indica quale
sarebbe stato il comportamento doveroso, eluso, che i ricorrenti
avrebbero dovuto tenere per adempiere all’onere di diligenza che
si assume violato.
L’avv. Paliero, infine, sollecita la rimessione al Giudice delle leggi
della questione di legittimità costituzionale degli artt. 12 sexies
d.l. n. 306/92 e 676, c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24, 25,
27, 111, Cost, “nella parte in cui non consentono al terzo
estraneo la revoca della confisca disposta nei suoi confronti con
sentenza definitiva ovvero, per la prima volta, nella fase
dell’esecuzione”.
3. Con requisitoria depositata il 2.4.2015 il pubblico ministero
chiede che i ricorsi vengano rigettati.
3. I ricorsi di cui in premessa vanno rigettati.
4. Un evidente limite accomuna tutti i ricorsi presentati avverso
l’impugnata ordinanza.
Ed, invero, nell’articolare i motivi di impugnazione, tutti i difensori
non hanno adeguatamente considerato che le conclusioni cui è
giunta la Suprema Corte nella sentenza di annullamento in
precedenza indicate, che il giudice dell’esecuzione ha
integralmente condiviso, non possono essere rimesse in
discussione, essendo il giudice del rinvio vincolato al percorso
indicato nella menzionata decisione.

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possibile addebitare nessun comportamento colpevole, senza

Come affermato, infatti, dall’orientamento dominante nella
giurisprudenza di legittimità, ove l’annullamento di una sentenza
sia avvenuto, come nel caso in esame, per vizio di motivazione
(ritenuta apodittica e manifestamente illogica dalla Suprema

giudice del rinvio, pur mantenendo piena autonomia di giudizio
nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove,
nonché il potere di desumere – anche sulla base di elementi
probatori prima trascurati – il proprio libero convincimento,
colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze
rilevate, non può, comunque, fondare la nuova decisione sugli
stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di
Cassazione, gravando, inoltre, su di lui l’obbligo di conformarsi
all’interpretazione offerta dalla Corte di legittimità alle questioni di
diritto e di fornire adeguata motivazione sui punti della decisione
sottoposti al suo esame (cfr.,

ex plurimis,

Cass., sez. V.

19.6.2014, n. 42814, rv. 261760; Cass., sez. II, 22.5.2014, n.
27116, rv. 259811; Cass., sez. IV, 2.10.2014, n. 52672, rv.
261944; Cass., sez. II, 25.9.2013, n. 47060, rv. 257490).
Il giudice dell’esecuzione, pertanto, nel porre rimedio ai vizi
motivazionali individuati nel provvedimento annullato, non poteva
mettere in discussione le conclusioni cui è giunto il Supremo
Collegio (sul presupposto della apoditticità ed illogicità degli
argomenti posti a fondamento dell’ordinanza cassata), in ordine,
come si è detto nelle pagine precedenti, da un lato, alla riferibilità
dei due appartamenti della “Beta Costruzioni” di cui si discute a
Cesarano Ferdinando, anche quando, nel 1995, la gestione della
società passò dal Rainone al Cesarano Arturo ed al Laudiero, ed
alla complessiva finalità elusiva della vendita (fittizia) dell’intero

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Corte: cfr. p. 2 della sentenza di annullamento con rinvio), il

complesso immobiliare in cui ricadevano i menzionati cespiti dalla
“Beta Costruzioni” alla “Gestimpianti”, in quanto, per la Suprema
Corte, sarebbe illogico ritenere che “la compravendita dovesse
avere finalità elusive di ogni genere”, con riferimento alle

dal tribunale di Noia il 13.3.2002, “ma non quella (di rilevanza
penale), relativa alla perdurante, dissimulata riferibilità a
Cesarano Ferdinando di alcuni beni della Beta Costruzioni,
elusivamente trasferiti alla Gestimpianti”; dall’altro alla
impossibilità di far discendere dal trasferimento del 1999, proprio
perché viziato dalla accertata finalità elusiva, “la buona fede dei
successivi acquirenti del 2004 e del 2005” (cfr. p. 2 della sentenza
del 5.6.2013).
Inoltre la riferibilità dei beni a Cesarano Ferdinando, rappresenta
una circostanza ormai coperta dal giudicato, come evidenziato
dalla Suprema Corte, nella citata sentenza di annullamento,
conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza
di legittimità, secondo cui la statuizione contenuta in una
sentenza divenuta irrevocabile, con cui sia stata disposta la
confisca, ha efficacia di giudicato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. III,
19.6.2013, n. 29445, rv. 255872).
Ne consegue che tutti i motivi di ricorso volti a mettere in
discussione, attraverso una rivalutazione degli elementi già presi
in considerazione, esplicitamente o implicitamente, dal Supremo
Collegio, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della
confisca ex art.

12-sexies

d.l. n. 306 del 1992, devono

considerarsi inammissibili.
Di non facile comprensione risulta, poi, l’affermazione dell’avv.
Paliero, che, nel sollecitare il Collegio a rimettere, nei sensi

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responsabilità debitorie della “Beta Costruzioni”, dichiarata fallita

innanzi indicati, la questione di legittimità costituzionale degli artt.
12-sexies d.l. n. 306 del 1992 e 676, c.p.p., sottolinea come la
confisca dell’immobile in danno dei coniugi Zampognaro-Ramunno
sia stata disposta dal giudice dell’esecuzione.

difensiva (che si limita ad indicare una serie di norme
costituzionali, senza specificare, in relazione a ciascuna di esse ,in
che termini si configura la denunciata violazione), è proprio la
manifesta infondatezza dell’incipit dell’argomentazione difensiva a
rivelarne l’inconsistenza.
Nel caso in esame, infatti, appare evidente come la confisca
dell’immobile in questione trovi indiscutibilmente il suo titolo
genetico nel provvedimento adottato in sede di cognizione dal
tribunale di Torre Annunziata (come, in fondo, riconosce lo stesso
difensore, che contro tale statuizione della sentenza di merito
coperta dal giudicato svolge le sue osservazioni critiche: cfr. pp.
7; 13 e ss., dei motivi nuovi), provvedimento che, ovviamente,
segue le vicende relative alla circolazione del bene cui inerisce.
Pertanto, essendo intervenuto il giudice dell’esecuzione, secondo
le competenze che gli sono proprie, alla luce del disposto degli
artt. 665 e 676, co. 1, c.p.p., proprio sulla richiesta dei terzi
estranei (Manzo; Zampognaro-Ramunno; Banco di Napoli) avente
ad oggetto la revoca della confisca disposta in sede di cognizione
sui beni immobili innanzi indicati, con conseguente restituzione
degli stessi agli aventi diritto, nessuna violazione del diritto di
difesa è ipotizzabile, in quanto questi ultimi sono stati messi in
condizione di far valere in sede esecutiva le ragioni in ordine alla
legittimità del proprio acquisto, che, ove fondate, non avrebbero
potuto essere certo paralizzate dal giudicato formatosi nei

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Orbene, a prescindere dalla genericità della prospettazione

confronti degli imputati (tra cui Cesarano Ferdinando) del
processo al quale i ricorrenti non hanno partecipato.
In questo senso l’orientamento della giurisprudenza del Supremo
Collegio che esplicitamente riconosce soltanto al terzo, nei

possibilità di far valere davanti al giudice dell’esecuzione i diritti
vantati su un bene confiscato con sentenza irrevocabile,
costituisce vero e proprio “diritto vivente” (cfr., ex plurimis, Cass.,
sez. I n. 3311 del 11/11/2011, rv. 251845; Cass., sez. I, n.
27201 del 30/05/2013, rv. 257599; Cass., sez. III, n. 23926 del
27/05/2010, rv. 247797; Cass., sez. un, n. 9 del 18/05/1994;
Cass., sez. un., n. 9 del 28/04/1999 e, da ultima, Cass., sez. un.,
n. 11170, del 25.9.2014, rv. 263679)
Il diritto di difesa dei terzi estranei al processo, tuttavia, non può
giungere a mettere in discussione i presupposti per l’adozione
della confisca nei confronti dell’imputato che, a differenza di essi,
ha partecipato al processo in sede cognitiva, ormai coperti dal
giudicato, per di più, come nel caso in esame, attraverso una
diversa valutazione degli elementi di fatto e di diritto già presi in
considerazione dalla Corte di Cassazione nella sentenza di
annullamento ovvero riproponendo il medesimo percorso logicogiuridico della prima ordinanza del giudice dell’esecuzione, già
censurato dal Supremo Collegio.
Deve, piuttosto, il diritto in questione, esercitarsi all’interno del
perimetro che gli compete, sulla base del principio di diritto
affermato in sede rescindente, secondo cui il terzo interessato,
estraneo al processo penale, che voglia ottenere il riconoscimento
del proprio diritto, derivante dall’acquisto di un immobile o dalla
costituzione su di esso di una garanzia reale, su cui incide la

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confronti del quale la sentenza irrevocabile non fa stato, la

confisca e, prima ancora, il sequestro preventivo ad essa
finalizzato, disposti dall’autorità giudiziaria, oltre a offrire la prova
della sussistenza della propria buona fede, all’atto dell’acquisto o
della costituzione della garanzia reale, deve necessariamente

salve le precisazioni che si faranno in seguito sulle caratteristiche
di tale “onere probatorio”.
Si tratta di un approdo cui è giunta da tempo la giurisprudenza di
legittimità, i cui più recenti arresti hanno peraltro evidenziato
come il richiamo operato nel comma 4 bis dell’art. 12-sexies d.l.
n. 306 del 1992, convertito con modificazioni nella I. n. 356 del
1992 (quale da ultimo sostituito dall’art. 1, co. 190, I. n. 228 del
2012), alle disposizioni in materia di amministrazione e
destinazione dei beni sequestrati e confiscati previste dal d.lgs. 6
settembre 2011 n. 159, deve ritenersi esteso anche alle
disposizioni in materia di tutela dei diritti dei terzi contenute nel
titolo IV del medesimo d.lgs., con la conseguenza che tali
disposizioni vanno ritenute applicabili anche nel caso di confisca
disposta ai sensi del citato art. 12-sexies, quanto meno a far data
dall’entrata in vigore della citata I. n. 228 del 2012 (cfr. Cass.,
sez. I, 20/05/2014, n. 26527, rv. 259331).
Per cui, come correttamente affermato nell’ordinanza oggetto di
ricorso, avuto riguardo alle disposizioni contenute negli artt. 52 e
ss, d.lgs. n. 159 del 2011, i diritti dei terzi estranei possono
essere opposti al provvedimento ablatorio solo ove ricorrano le
due concomitanti condizioni dell’anteriorità dell’acquisto (o della
costituzione della garanzia reale sul bene confiscato) e della buna
fede dei terzi, conformemente all’orientamento assolutamente
dominante nella giurisprudenza di legittimità (cfr.,

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ex plurimis,

anche vantare un titolo di data certa anteriore al sequestro, fatte

Cass., sez. I, 27.4.2012, n. 44515, rv. 253827; Cass., sez. II,
16.1.2015, n. 2894, rv. 262289; Cass., sez. V, 16.1.2015, n.
6449, rv. 262735; Cass., sez. II, 3.6.2015, n. 28839, rv.
264299).

rinvio conserva integro il suo potere di valutazione, l’ordinanza
impugnata è del tutto esente da critiche, essendo sorretta da una
motivazione assolutamente in linea con il principio di diritto al
quale il giudice dell’esecuzione aveva il dovere di conformarsi.
Ed invero correttamente il giudice dell’esecuzione ha escluso che il
titolo vantato dai ricorrenti sui beni oggetto di confisca possa
ritenersi antecedente al sequestro, essendo pacifico “l’anteriorità
del sequestro preventivo in sede penale degli immobili in
questione (2001), nonché del relativo atto di trascrizione”,
rispetto al momento (2004 e 2005) in cui i due appartamenti
furono acquistati dai ricorrenti stessi (cfr. p. 15).
Sul punto appare superfluo aggiungere altro, se non ribadire
quanto già affermato nella sentenza di annullamento con rinvio, in
ordine alla anteriorità del vincolo reale, rispetto al momento
dell’acquisto dei beni da parte dei terzi (cfr. p. 3 della sentenza
del 5.6.2013).
Maggiore attenzione merita, invece, il profilo della buona fede.
Al riguardo ritiene il Collegio di aderire ai principi di diritto
affermati di recente dalla Sezioni Unite del Supremo Collegio (in
continuità con quanto statuito dalle medesime Sezioni Unite nella
sentenza n. 9 del 28/04/1999, B.), con riferimento al particolare
istituto della confisca di beni prevista dall’art. 19 del d.lgs. n. 231
del 2001, trattandosi di principi che attengono in generale alla

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Sotto l’indicato profilo, l’unico in relazione al quale il giudice del

posizione del terzo estraneo al reato, titolare di diritti su beni
soggetti a confisca.
Premesso che per terzo, i cui diritti vengono salvaguardati dal
legislatore prevalendo anche sulla sanzione della confisca, deve

solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma che da
esso non abbia ricavato vantaggi e utilità, evidenziano le Sezioni
Unite di questa Corte che soltanto colui che versi in tale situazione
oggettiva e soggettiva può vedere riconosciuta la intangibilità
della sua posizione giuridica soggettiva e l’insensibilità di essa agli
effetti del provvedimento di confisca.
Al requisito oggettivo integrato dalla non derivazione dì un
vantaggio dall’altrui attività criminosa, deve aggiungersi la
connotazione soggettiva della buona fede del terzo, intesa come
“non conoscibilità, con l’uso della diligenza richiesta dalla
situazione concreta, del predetto rapporto di derivazione della
propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato”.
Da quanto detto risulta che il concetto di buona fede per il diritto
penale è diverso da quello di buona fede civilistica a norma
dell’art. 1147 c.c., dal momento che anche i profili di colposa
inosservanza di doverose regole di cautela escludono che la
posizione del soggetto acquirente o che vanti un titolo sui beni da
confiscare o già confiscati sia giuridicamente da tutelare.
Quanto all’onere della prova della buona fede, evidenzia la
recente sentenza delle Sezioni Unite, in questo modificando il
precedente orientamento, che esso non può essere posto sic et
simpliciter a carico del terzo, in quanto spetta sempre al giudice
che dispone il sequestro e che ordina la confisca accertare quale
sia la titolarità dei beni e quali le modalità di acquisizione da parte

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intendersi la persona estranea al reato, ovvero la persona che non

dei terzi, non potendo apporre il vincolo su beni acquisiti dai terzi
in buona fede.
Appare, invece, ragionevole, ad avviso delle Sezioni Unite,
pretendere un onere di allegazione a carico del terzo che voglia

concorrono ad integrare le condizioni di appartenenza del bene e
di estraneità al reato dalle quali dipende l’operatività della
situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato
dallo Stato.
Una siffatta rigorosa impostazione, conclude la Suprema Corte nel
suo consesso più autorevole, trova giustificazione nel fatto che la
confisca dei beni di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 231 del 2001, è
disposta perché viene accertato, a seguito di un processo penale,
che i beni oggetto del provvedimento costituiscono profitto di un
illecito amministrativo derivante da reato, cosicché per vincere
una tale situazione è l’interessato, che si proclama estraneo al
reato, che deve, soddisfacendo l’onere di allegazione, fare
emergere la regolarità del suo titolo di acquisto e la buona fede
che soggettivamente lo caratterizzava (cfr. Cass., sez. un., n.
11170, del 25.9.2014, rv. 263679, nonché, nello stesso senso,
con particolare riferimento alla posizione del terzo creditore
ipotecario, la già citata Cass., sez. V, 16.1.2015, n. 6449, rv.
262735).
Siffatto argomentare si attaglia perfettamente al caso in esame,
posto che anche la confisca prevista dall’art. 12-sexies, d.l. 8
giugno 1992, n. 306, convertito nella I. 7 agosto 1992, n. 356,
presuppone l’accertamento, a seguito di processo penale, della
commissione di uno dei reati previsti dal suddetto articolo e della
impossibilità per il condannato di giustificare, sotto il profilo

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far valere un diritto acquisito sul bene in ordine agli elementi che

economico-patrimoniale, la disponibilità di beni a lui riconducibili,
anche per interposta persona.
Orbene i ricorrenti sono venuti meno proprio all’onere di fare
emergere la buona fede che caratterizzava i propri acquisti, non

contenuto dei relativi rogiti notarili e delle risultanze dei registri
immobiliari, interrogati attraverso l’indicazione dei dati catastali.
Ciò appare del tutto evidente per quel che riguarda la posizione
del Manzo, ove si tenga conto che, come evidenziato
nell’ordinanza oggetto di ricorso, nel relativo atto di acquisto,
risalente al luglio del 2004, vi era specifica menzione del
sequestro del giugno 2001, il cui provvedimento era allegato agli
atti e, quindi, perfettamente conoscibile dallo stesso Manzo
(circostanza di fatto non contestata dal ricorrente).
Ad identiche conclusioni si deve pervenire anche con riferimento
alla posizione dei coniugi Zampognaro-Ramunno e del Banco di
Napoli.
Si tratta, giova chiarirlo, di due posizioni assolutamente
convergenti, in quanto, se è vero che il Banco di Napoli agisce
nella veste di creditore ipotecario, quindi in qualità di portatore di
un interesse civilistico diverso da quello dei coniugi ZampognaroRamunno, che rivendicano il loro diritto di proprietà libero da
vincoli sull’appartamento confiscato, è altrettanto vero che
rispetto al thema decidendum, rappresentato indiscutibilmente
dalla tutela dei diritti dei terzi, estranei al reato, nei confronti dei
provvedimenti ablatori adottati in sede penale, le posizioni dei due
ricorrenti non sono meritevoli di distinzione e vanno trattate
unitariamente.

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potendo ritenersi, al riguardo, sufficiente il dedotto affidamento al

Anche nei confronti di tutti suddetti ricorrenti, dunque, vale
l’osservazione che l’anteriorità del decreto di sequestro preventivo
e della relativa trascrizione, rispetto al momento dell’acquisto (in
questo caso intervenuto nel 2005) rendeva conoscibile, attraverso

l’esistenza del vincolo sul bene (e, quindi, la possibilità che
l’appartamento venisse confiscato), escludendo la configurabilità
della buona fede dei terzi estranei.
Non vi ostava l’assenza di ogni riferimento al sequestro nel rogito
notarile, posto che tale omissione, sicuramente imputabile al
notaio rogante, non assolve, ai fini che qui interessano, il terzo
interessato dall’onere di verificare, anche attraverso lo scrupoloso
controllo dell’operato del professionista, l’assenza di vincoli reali
sul bene acquistato e sottoposto ad ipoteca a garanzia del mutuo
concesso dall’istituto di credito.
Non era di ostacolo nemmeno l’oggettivo errore nell’indicazione
dei dati catastali, identificativi dell’immobile contenuto nel decreto
di sequestro, trattandosi di un errore non decisivo, riguardante
esclusivamente la numerazione del foglio, relativo ad entrambi gli
appartamenti sequestrati e poi confiscati, che è stato indicato
come 12/A, mentre avrebbe dovuto essere indicato come 12, in
conseguenza della variazione catastale intervenuta il 3.3.1993.
Il carattere non decisivo di tale erronea indicazione si desume
dalla circostanza che, come evidenziato nell’ordinanza oggetto di
ricorso, tutti gli altri dati catastali identificativi dei due immobili
erano corretti, sicché, ove si fosse utilizzata la necessaria
diligenza, una volta verificato, attraverso una visura, che in
seguito alla variazione catastale del 3.3.1993, gli appartamenti
erano riportati sul foglio 12, anziché 12/A, sarebbe stato possibile

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l’utilizzazione della dovuta diligenza richiesta dal caso concreto,

rendersi conto anche dell’esistenza del provvedimento di
sequestro.
Del resto l’erronea indicazione del foglio non ha impedito, come si
è detto, di risalire al sequestro dell’appartamento acquistato dal

rendendo tale circostanza evidente come il parziale errore
nell’indicazione dei dati catastali non fosse un reale ostacolo alla
conoscenza del vincolo sull’appartamento acquistato dai coniugi
Zampognaro-Ramunno, poi destinato a garantire il credito loro
erogato dal Banco di Napoli.
Non condivisibile, inoltre, è la doglianza del ricorrente Banco di
Napoli in ordine alla mancata pronuncia da parte del giudice
dell’esecuzione sulla richiesta di recupero del credito residuo di
quanto è ancora dovuto dai mutuatari e della perdita della
garanzia reale collegata all’immobile confiscato, stante
l’infondatezza in radice di tale richiesta, derivante dalla
inopponibilità del diritto di garanzia reale sul bene oggetto del
provvedimento di confisca, per le ragioni già indicate
Manifestamente infondata, infine, è la doglianza sulla mancata
rimessione al giudice civile della questione relativa alla proprietà
del bene, ai sensi dell’art. 676, co. 2, c.p.p.
L’obbligo per il giudice dell’esecuzione di procedere ai sensi degli
artt. 676 e 263, co.3, c.p.p., rimettendo la risoluzione della
questione al giudice civile del luogo competente in primo grado,
sorge solo quando vi sia controversia sulla proprietà della cosa
confiscata (cfr. Cass., sez. IV, 11.2.1994, n. 203, rv. 198463),
vale a dire quando vi siano più soggetti che vantano confliggenti
pretese in ordine alla proprietà del bene o dei beni confiscati, ai
fini della restituzione.

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Manzo, di cui è stato dato atto nel relativo atto di acquisto,

Tale circostanza non ricorre nel caso in esame, in cui non forma
oggetto di contestazione da parte di altri soggetti la titolarità del
diritto di proprietà in capo agli acquirenti degli immobili
sequestrati, riguardando il tema della decisione, come si è più

oggetto di ricorso, la tutela dei diritti dei terzi, estranei al reato ed
al processo, sui beni oggetto del potere di ablazione patrimoniale
esplicato dallo Stato nell’esercizio della sua potestà sanzionatoria,
tramite una sentenza passata in giudicato, tutela che rientra nella
competenza tipica del giudice dell’esecuzione penale e non certo
del giudice civile.
5. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi di cui in premessa
vanno, dunque, rigettati, con condanna di ciascun ricorrente, ai
sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del
procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 26.10.2015.

volte detto e come correttamente sottolineato nell’ordinanza

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