Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7973 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7973 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIUGGIOLI BUSACCA FABIO N. IL 09/02/1943
avverso la sentenza n. 2715/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 21/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 9 cA& e ptt.AN crot_o
che ha concluso

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Data Udienza: 13/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Giuggioli Busacca Fabio propone ricorso, per mezzo del proprio difensore,
avverso la sentenza del 21/10/2011 con la quale la Corte d’appello dell’Aquila ha
confermato la sentenza con la quale, in data 16/11/2009, il Tribunale di Sulmona
ne aveva affermato la penale responsabilità in ordine al reato di lesioni colpose
gravi in danno del lavoratore Petrella Ezio, a lui ascritto quale legale
rappresentante della Cosmo S.p.A., per violazione di norme antinfortunistiche.

provvedere a che, nel reparto produttivo denominato “lavorazione listone”, tutti
gli organi ed elementi per la trasmissione del moto delle macchine fossero
adeguatamente protetti o provvisti di dispositivi di sicurezza e di avere con ciò
cagionato l’incidente occorso al Petrella il quale, nel tentativo di liberare un
listone che si era incastrato sulla rulli era di trasporto della macchina
squadratrice, inseriva la mano destra in corrispondenza di parti della macchina in
movimento, con la conseguenza che il primo e secondo dito rimanevano
incastrati.
A fondamento del ricorso sono dedotti tre motivi.
Con il primo si deduce vizio di omessa motivazione su un punto decisivo,
ossia sulla qualificazione del comportamento del lavoratore e sulla possibilità che
lo stesso sia considerato unica causa dell’evento.
Rileva in proposito che la corte territoriale, interpellata con specifico motivo
di gravame, ha omesso di fornire sul punto una risposta appagante atteso che,
pur dando atto del significativo contributo del lavoratore, non si spinge a indicare
le ragioni per le quali questo sarebbe comunque irrilevante.
Con il secondo motivo si duole della omessa valutazione della richiesta di
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena,
evidenziando che sul punto era stato proposto specifico motivo d’appello al quale
la sentenza impugnata non ha dedicato alcuna considerazione.
Con il terzo e ultimo motivo deduce infine omessa motivazione in merito alla
quantificazione della pena e al diniego della concessione delle circostanze
attenuanti generiche.

Considerato in diritto

2. Osserva preliminarmente la Corte che il reato per il quale l’imputato è
stato tratto a giudizio è prescritto, trattandosi di fatto commesso alla data del 17
gennaio 2005, in relazione al quale trova applicazione (quanto al regime della
prescrizione) la disciplina successivamente intervenuta con la legge n. 251 del

Si contestava all’odierno ricorrente di aver omesso, nella qualità predetta, di

2005, siccome più favorevole all’imputato, ai sensi dell’art. 2 cod. pen. e legge n.
251 cit., art. 10, (come inciso dalla sentenza della Corte Costituzionale n.
393/2006); con la conseguenza che il termine di prescrizione per il reato de quo
deve ritenersi stabilito in sette anni e sei mesi, termine decorso alla data del 17
luglio 2012, non constando che lo stesso abbia subito sospensioni nel corso del
giudizio.
Al riguardo, rilevato che il ricorso proposto non appare manifestamente
infondato, né risulta affetto da profili d’inammissibilità di altra natura, occorre

Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del giudice di
pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri
nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto, ovvero della
sua non attribuibilità penale all’imputato, emergano in modo incontrovertibile,
tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al
compimento di una “constatazione”, che a un atto di “apprezzamento” e sia
quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di
approfondimento (v. Sez. U n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
E invero, il concetto di “evidenza”, richiesto dell’art. 129 comma 2 cod. proc.
pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e
obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in
qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia, oltre la
correlazione a un accertamento immediato (cfr. Sez. 6, n. 31463 del
08/06/2004, Dolce, Rv. 229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine
di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato occorre applicare il
principio di diritto secondo cui “positivamente” deve emergere dagli atti
processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato
a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza
della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua
innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della
prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte
risultanze (v. Sez. 2, n. 26008 del 18/05/2007, Roscini, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte
– anche tenendo conto degli elementi evidenziati nelle motivazioni delle sentenze
di merito – non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni
di cui dell’art. 129 comma 2 cod. proc. pen..
Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 cod. proc. pen., la
sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato
all’imputato estinto per prescrizione.

sottolineare, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da questa

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il reato addebitato è
estinto per intervenuta prescrizione.

Così deciso il 13/12/2013

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