Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7969 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7969 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRARI JOHNNY N. IL 24/06/1972
avverso la sentenza n. 897/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
19/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E Nisile0 be Ce W A k(e
che ha concluso per L ‘;,,,,x
ut2 014z ,fr;

Udito, per la parte • • , Aiv
1

ifensor Avv.

Data Udienza: 06/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa in data 19/11/2012, la Corte d’appello di Ancona, in
parziale riforma della sentenza appellata, riconosceva Ferrari Johnny colpevole
del reato p. e p. dall’art. 186, commi 1 e 2, lett. c), cod. strada (tasso alcolemico
accertato superiore a 1,5 g/1), assolvendolo invece dalla concorrente imputazione
di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, e per
l’effetto, esclusa la concessione delle attenuanti generiche,

«considerata la

mesi sei di arresto ed euro 4.500 di ammenda.
Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, per mezzo del proprio
difensore, sulla base di quattro motivi.

1.1. Con il primo denuncia violazione di legge, penale e processuale, nonché
vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b, c ed e, cod. proc. pen.), in
relazione alla ritenuta sussistenza della prova della penale responsabilità. Rileva
al riguardo che con il primo motivo d’appello egli aveva dedotto che
l’accertamento era successivo al momento della guida e non si era tenuto conto
della curva alcolemica, anche ai fini dell’individuazione di quella tra le tre fasce
distinte nel comma 2 dell’art. 186 cod. strada cui far riferimento, ed inoltre che
l’accertamento medesimo era avvenuto in modo irrituale, senza le garanzie di
legge e senza l’autorizzazione dell’interessato al prelievo di sostanze biologiche
sue proprie. Lamenta che su tali censure la motivazione della sentenza
impugnata risulta carente, illogica e contraddittoria «in quanto non affronta in
modo adeguato e sufficiente le articolate problematiche sottoposte alla sua
valutazione, limitandosi, sostanzialmente – sia in fatto, sia in diritto – a
richiamare le osservazioni svolte dal giudice di prime cure».

1.2. Con il secondo denuncia ancora violazione di legge e vizio di
motivazione (art. 606, comma 1, lett. c ed e, cod. proc. pen.) in relazione alla
quantificazione della pena, asseritamente operata con erronea applicazione dei
criteri di cui agli art. 133 cod. pen. e 186, comma 2, lett. c), cod. strada..
Lamenta al riguardo che «pur in presenza di un fatto di minima entità e in
considerazione delle condizioni tutte personali, familiari e sociali del ricorrente,
non è stata applicata una pena contenuta nel minimo edittale e di legge, né sono
state concesse le attenuanti generiche». Soggiunge che «sulla quantificazione
della pena, nonostante il gravame specifico contenuto nei motivi d’appello, la
corte territoriale sostanzialmente nulla dice, se non la generica affermazione che
la pena appare congrua».

gravità del fatto e la condizione di pluri-pregiudicato», determinava la pena in

1.3. Con il terzo motivo deduce ancora violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione alla mancata sostituzione della pena detentiva e
pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità. Rileva al riguardo che la Corte
d’appello avrebbe dovuto procedere d’ufficio all’applicazione di tale più
favorevole trattamento sanzionatorio e che, non avendolo fatto, senza alcuna
motivazione, è incorsa nel vizio dedotto.

motivazione anche in relazione alla mancata conversione della pena detentiva
nella corrispondente pena pecuniaria.

Considerato in diritto

2. È infondato il primo motivo di ricorso.
La sentenza impugnata (v. pagina 4) in modo congruo e non
manifestamente illogico dà conto dei motivi che, in punto di fatto e di diritto,
giustificano la valutazione di piena utilizzabilità e attendibilità degli accertamenti
operati [tali in particolare e in sintesi i rilievi per cui: a) il prelievo del sangue
risulta eseguito in applicazione di un protocollo medico di intervento in regime di
pronto soccorso, senza che peraltro risulti l’opposizione del paziente, ricoverato
anche per le conseguenze dell’incidente stradale poco prima subito, allo scopo
non solo di valutare l’alcolemia ma anche per la individuazione della più corretta
terapia; b) l’elevatissimo tasso alcolemico rilevato (1,98 g/l) e il coinvolgimento
in un incidente stradale escludono l’utilità di ogni ulteriore indagine circa le
concrete condizioni di lucidità del Ferrari e circa la sua capacità di attendere alla
guida di un’autovettura al momento del sinistro].
Tale motivazione appare anche pienamente conforme al diritto, palesandosi
al contrario del tutto generiche e comunque destituite di fondamento le censure
al riguardo svolte dal ricorrente.
Ed invero, incontroverso essendo in fatto che il ricorrente sia stato coinvolto
in un incidente stradale, in punto di diritto, quanto alla regolarità e utilizzabilità
dell’accertamento operato nelle condizioni descritte, giova sommariamente
rammentare, in conformità a costante indirizzo, che

«i risultati del prelievo

ematico effettuato, secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso,
durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito di
incidente stradale, sono utilizzabili nei confronti dell’imputato per l’accertamento
del reato di guida in stato di ebbrezza, trattandosi di elementi di prova acquisiti

1.4. Con il quarto motivo, deduce infine violazione di legge e vizio di

attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, ai fini
dell’utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso» [v. ex multis Sez. 4, n.
25991 del 5/3/2013, Moccia, non mass.; sez. 4, n. 26108 del 16/05/2012,
Pesaresi, Rv. 253596; Sez. 4, n. 6755 del 06/11/2012 (dep. 11/02/2013),
Guardabascio, Rv. 254931; Sez. 4, n. 4118 del 09/12/2008 (dep. 28/01/2009),
Ahmetovic, Rv. 242834].
Non può sostenersi, pertanto, che il difetto di consenso al prelievo del
campione ematico – contrariamente all’espresso dissenso, a seguito del quale si

dell’accertamento compiuto, posto che la disposizione di cui all’art. 186 comma 5
cod. strada, prevede che l’accertamento del tasso alcolemico per i conducenti
coinvolti in incidenti stradali e sottoposti a cure mediche venga effettuato su
richiesta della Polizia Stradale dalle stesse strutture sanitarie, in tal modo
sancendo l’utilizzabilità dell’esito dell’esame medesimo indipendentemente dal
consenso eventualmente prestato all’accertamento, trattandosi di acquisizione
prevista ex lege (v. sul punto, tra le altre, Sez. 4, n. 15708 del 18/12/2012 dep. 4/4/2013, Gigli, non mass., cui si rimanda anche per una compiuta
disamina delle varie ipotesi prospettabili).

3. È infondato anche il secondo motivo di ricorso.
In tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti
generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la
dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la
giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita
(Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule
sintetiche (tipo “si ritiene congrua” v. Sez. 6 , n. 9120 del 02/07/1998, Urrata,
Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di
comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento
ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando
siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, n. 26908 del
22/04/2004, Ronzoni, Rv. 229298).
Inoltre, la concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di
fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità,
tanto che «ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti
generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati
dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il
riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla
personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di

configurano, tuttavia, distinte ipotesi di reato – costituisca causa di inutilizzabilità

esso può essere sufficiente in tal senso» (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011,
Sermone, Rv. 249163).
Parimenti, con specifico riferimento alla dosimetria della pena, trovasi
condivisibilmente precisato che «la determinazione della misura della pena tra il
minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di
merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli
elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. Anzi, non è neppure necessaria una
specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in
(Sez. 4, n. 41702 del

20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
In relazione alle esposte coordinate di riferimento, è da escludersi che, nel
caso in esame, la quantificazione della pena ovvero il diniego delle attenuanti
generiche siano frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o che comunque si
espongano a censura di vizio di motivazione, avendo il giudice a quo sia pure
sinteticamente ma specificamente motivato sul punto facendo in particolare
riferimento alla gravità del fatto e alla condizione di pluri-pregiudicato
dell’imputato (pag. 5 sent.).

4. È invece fondato il terzo motivo di ricorso.
L’applicazione del beneficio introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a) legge
29 luglio 2010 n. 120 (sostituzione della pena inflitta con il lavoro di pubblica
utilità) è stata infatti negata dalla corte territoriale sulla base del solo rilievo
secondo cui ad esso nella specie osta il divieto di cui all’art. 186, comma 9 bis,
cod. strada, per essere l’imputato rimasto coinvolto in un incidente mentre era
alla guida nell’accertato stato di ebbrezza alcolica. Nel ravvisare tale condizione
ostativa, la corte d’appello ha espressamente ritenuto irrilevante «che non risulti
dimostrato che sia stato l’imputato a provocarlo con la sua condotta di guida e
che l’aggravante di cui al comma 2 bis dell’art. 186 cod. strada sia stata esclusa,
quoad poenam, dal primo giudice».
Orbene tale motivazione non appare rispettosa del dettato normativo, quale
ricavabile dal combinato disposto dei commi 2 bis e 9 bis del citato art. 186.
Alla stregua di un’interpretazione letterale della prima norma appare
evidente, infatti, che il mero coinvolgimento in un incidente, da parte di un
soggetto che trovasi alla guida in stato di ebbrezza, da solo non integra
l’aggravante ivi prevista. La norma pretende che il soggetto abbia «provocato»
un incidente e, quindi, che sia accertato un coefficiente causale della sua
condotta rispetto al sinistro. Assimilare il coinvolgimento in un incidente con la
condotta di chi provoca il sinistro, costituirebbe un’inammissibile ipotesi di

una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale»

analogia in malam partem (v. in tal senso Sez. 4, n. 37743 del 28/05/2013,
Callegaro, non mass.).
A sua volta il comma 9 bis, con l’inciso iniziale «al di fuori dei casi previsti
dal comma 2 bis del presente articolo», fa chiaramente coincidere la condizione
pregiudizialmente ostativa all’applicabilità del beneficio della misura sostitutiva
del lavoro di pubblica utilità con l’ipotesi nella sua interezza prevista dal
richiamato comma 2

bis,

dovendosi pertanto escludere una diversa

interpretazione dell’inciso che induca ad attribuire rilevanza ostativa del beneficio

del giudizio di disvalore del fatto, del mero coinvolgimento dell’imputato in un
sinistro, indipendentemente dall’efficacia causale che rispetto ad esso la sua
condotta abbia oggettivamente avuto.
La motivazione sul punto, pertanto, in quanto come detto esclusivamente ed
espressamente basata su una diversa interpretazione del dato normativo, si
appalesa giuridicamente erronea.

4.1. Giova sul punto peraltro rammentare che l’applicazione dell’invocato
beneficio non trova ostacolo nella data del commesso reato, anteriore all’entrata
in vigore della citata novella (legge n. 210 del 2010).
Ed invero, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, non vi è
dubbio che l’applicazione del lavoro di pubblica utilità – anche per gli ulteriori
effetti che derivano dall’esito positivo del suo svolgimento – si risolve in una
disposizione di favore per il reo, che, in quanto tale, ben può quindi trovare
applicazione, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen., anche in relazione a
fatti commessi sotto il vigore della previgente disciplina, laddove non definiti con
sentenza irrevocabile (così Sez. 4, n. 11198 del 17/01/2012, Ghibaudo, Rv.
252170; Sez. 4, n. 5509 del 12/12/2012 – dep. 04/02/2013, Crotta, Rv.
254666), alla condizione tuttavia – che nella specie ricorre – che il trattamento
sanzionatorio nella sua interezza risulti conforme alla nuova normativa.
L’apprezzamento del carattere più favorevole di una disciplina normativa
deve infatti essere formulato – in virtù dei principi generali già enunciati e
costantemente ribaditi al riguardo nella giurisprudenza di legittimità considerando la stessa nel suo complesso: una volta individuata la disposizione
globalmente ritenuta più favorevole, il giudice deve applicare questa nella sua
integralità, non potendo combinare un frammento normativo di una legge e un
frammento normativo dell’altra legge secondo il criterio del favor rei, perché in
tal modo verrebbe ad applicare una tertia lex di carattere intertemporale non
prevista dal legislatore, violando così il principio di legalità (v. ex plurimis, Sez.
4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, cit.). Di tal che, e per quel che qui

in parola anche alla sola circostanza, meno grave e meno significativa sul piano

interessa, il giudice, laddove ritenga di accedere alla richiesta di applicazione del
lavoro di pubblica utilità ritenendo in concreto più favorevole la legge n. 120 del
2010 che tale sanzione sostitutiva ha introdotto, deve avere riguardo, per i limiti
edittali della pena da sostituire, alla qualificazione del fatto commesso
dall’imputato ed alla relativa forbice sanzionatoria stabilita con detta legge.
Orbene, nel caso di specie la pena in concreto inflitta al prevenuto (come
detto, mesi sei di arresto ed euro 4.500,00 di ammenda), si colloca pienamente
all’interno della nuova pena edittale stabilita dalla citata novella, con la

profilo, all’applicazione dell’invocato beneficio.

5. Va infine disatteso il quarto e ultimo motivo di ricorso.
L’art. 58, primo comma, legge 24 novembre 1981, n. 689, stabilisce che il
giudice «nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’art. 133
c.p. può sostituire la pena detentiva …»: questa prima norma indica quindi che il
giudice, sia pure nei limiti di cui all’art. 133 cod. pen., ha ampia discrezionalità
(che dev’essere però motivata: art. 58, terzo comma, legge cit.) nel concedere o
meno la sostituzione della pena detentiva.
Nella specie, la corte territoriale risulta aver fatto buon governo di tale
potere discrezionale, motivando la decisione negativa sul punto «in ragione dei
plurimi e gravi precedenti penali» risultanti a carico dell’imputato.
Orbene, alla stregua di tale motivazione, di per sé non fatta segno di alcuna
specifica censura idonea a far emergere taluno dei vizi rilevanti ai sensi dell’art.
606, lett. e) cod. proc. pen., la valutazione negativa espressa dalla Corte deve
ritenersi incensurabile ai sensi del combinato disposto dell’art. 58 della legge n.
689 del 1981 e art. 133 cod. pen. ed esattamente ai sensi dell’art. 133, comma
1, n. 1 (modalità dell’azione) e art. 133 c.p., comma 2, n. 2 (precedenti penali).
Giova peraltro incidentalmente osservare che la richiesta di conversione
della pena detentiva in pena pecuniaria ai sensi della richiamata disposizione è
da ritenersi comunque incompatibile con la contestuale ulteriore richiesta di
applicazione della misura sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, per la quale,
con raccoglimento del precedente motivo di ricorso, come detto, occorre
disporre il rinvio alla corte territoriale per un nuovo esame.
I due regimi sanzionatori sostitutivi non possono, infatti, essere applicati
cumulativamente, avendo essi una totale autonomia quanto ai presupposti di
applicazione, le modalità esecutive e le conseguenze in caso di violazione (cfr.
artt. 53, 59, 71 e 102 legge n. 689 del 1981, e art. 186, comma 9 bis, cod.
strada), di tal che gli stessi non possono che trovare applicazione

conseguenza che, come detto, non sussistono ostacoli, neppure sotto tale

individualmente e senza che i benefici connessi alla sostituzione si sommino (in
tal senso, v. Sez. 4, n. 37967 del 17/05/2012, Nieddu, rv. 254361).
Diversamente operando, si applicherebbe un trattamento sanzionatorio
ibrido, in violazione del principio di legalità delle pene (cfr. Sez. 5, n. 13807 del
21/02/2007, Rv. 236529).
Di tanto del resto sembra consapevole lo stesso ricorrente che, nell’atto
d’appello, aveva avanzato detta richiesta solo in subordine al mancato
accoglimento della richiesta di sostituzione della pena inflitta con il lavoro di

6. La sentenza va pertanto annullata limitatamente al rigetto della richiesta
di sostituzione della pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art.
186, comma 9 bis, cod. strada, con il conseguente rinvio per un nuovo esame sul
punto alla viciniore Corte d’Appello di Perugia, essendo quella di Ancona ufficio
monosezionale (art. 623, comma 1, lett. c, cod. proc. pen.).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione (omessa) circa
la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con lavoro di pubblica utilità e
rinvia alla Corte di Appello di Perugia per nuovo esame sul punto.
Rigetta nel resto.
Così deciso il 6/12/2013

pubblica utilità.

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