Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7954 del 10/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7954 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VENTURA CRISTOFtRO N. IL 02/01/1950
FRIGERIO MAURILIO N. IL 23/04/1947
tZELMOMI
avverso la sentenza n. 4171/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
04/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che, ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor

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Adv,pv;

Data Udienza: 10/10/2013

-1- Ventura Cristoforo, Frigerio Maurilio e Arfaoui Mohammed sono stati tratti a giudizio
davanti al Tribunale di Varese per rispondere del delitto di omicidio colposo commesso, con
violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del
lavoratore Ed DianiHassan, dipendente dell’Arfaoui, titolare di impresa edile.
E’ accaduto che la vittima aveva provveduto ad infilare le forche di una gru in un bancale
in legno carico di mattoni forati detti “bolognini”, per consentirne il sollevamento fino al
primo piano di un fabbricato in costruzione. Alla manovra della gru si trovava l’Arfaoui che,
dal primo piano, aveva messo in azione la gru con un telecomando. Il carico, giunto ad
un’altezza di circa quattro metri, a causa dell’improvvisa rottura del bancale, era precipitato
giù ed alcuni mattoni avevano colpito alla testa l’ Ed Diani che si trovava sotto il carico.
-2- Con sentenza del 28 novembre 2007, il tribunale ha ritenuto i tre imputati colpevoli del
delitto contestato e li ha condannati, concedendo i doppi benefici, alla pena di un anno di
reclusione ciascuno, nonché, in solido, al risarcimento dei danni morali in favore delle
costituite parti civili costituite, equitativamente liquidati in euro 90.000,00 per la madre della
vittima, ed in euro 18.000,00 ciascuno per i tre fratelli del lavoratore deceduto.
Il primo giudice è pervenuto alla sentenza di condanna, avendo ritenuto:
A) che il Ventura, titolare di impresa edile, quale datore di lavoro occulto ed utilizzatore
della prestazione lavorativa di Ed Diani, non aveva valutato il rischio nella scelta
dell’attrezzatura di lavoro, aveva affidato al lavoratore un compito non adeguato alle
capacità dello stesso, non aveva utilizzato, né fornito, l’attrezzatura di lavoro adeguata;
B) che il Frigerio, responsabile dei lavori, non aveva eliminato il rischio e non aveva
adeguatamente formato ed informato il lavoratore;
C) che l’Arfaoui, somministratore di lavoro, non autorizzato, non aveva eseguito alcuna
valutazione dei rischi cui erano sottoposti i dipendenti e, in particolare, non aveva curato la
formazione del lavoratore deceduto, né lo aveva informato sui rischi connessi con le
mansioni attribuitegli, né aveva rispettato le norme di sicurezza, avendo anche
personalmente manovrato la gru.
-3- Impugnata detta sentenza dal Ventura e dal Frigerio, la corte d’appello di Milano, con
sentenza del 4 luglio 2012, ha confermato la decisione impugnata.
La corte territoriale ha, anzitutto, rilevato che gli imputati avevano essenzialmente
riproposto in sede di gravame questioni già poste all’attenzione del primo giudice, che le
aveva esaminate e definite con motivazione, ritenuta del tutto coerente sul piano logico, che
ha integralmente condiviso.
Tanto premesso, e con riguardo alle ulteriori considerazioni svolte dagli appellanti, la
stessa corte ha rilevato:
A) quanto al Ventura:
a) che non poteva considerarsi violato il principio di correlazione tra accusa contestata e
sentenza poiché, se era vero che all’imputato era stata attribuita, con il capo d’imputazione,
una qualifica (preposto e capocantiere) diversa da quella riconosciutagli con la sentenza
(effettivo datore di lavoro della vittima), era anche vero che la rilevata variazione non aveva
apportato modifica alcuna al “fatto” in sé considerato, inteso come condotta, evento e nesso
di causalità, e che la stessa non aveva condizionato l’esercizio del diritto di difesa
dell’imputato;
b) che la posizione di datore di lavoro occulto era stata correttamente attribuita al Ventura
dal primo giudice, in considerazione del ruolo dallo stesso svolto nel cantiere, come
ampiamente aveva argomentato, sul punto, la sentenza di primo grado;

Ritenuto in fatto.

-4- Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione il Ventura ed il Frigerio.
4.A) Ventura Cristoforo deduce:
a) Violazione di norme processuali e vizio di motivazione della sentenza impugnata, nullità
della sentenza per difetto di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza di primo
grado. Ribadisce il ricorrente la censura già proposta nei motivi d’appello, e cioè, che egli,
tratto a giudizio per rispondere, quale capocantiere e preposto alla esecuzione dei lavori,
della morte dell’Ed Diani, è stato in realtà ritenuto responsabile dell’infortunio in quanto
effettivo datore di lavoro, occulto utilizzatore della prestazione del lavoratore deceduto. Tale
diversa attribuzione di qualifica e la diversa condotta di concorso che ne è derivata, avrebbe
determinato una sostanziale immutazione del fatto, con conseguente difetto di correlazione
tra imputazione e sentenza e violazione del diritto di difesa dell’imputato;
b) Vizio di motivazione della sentenza impugnata ed inosservanza dell’art. 192 cod. proc.
pen., laddove il giudice del gravame ha ribadito la posizione di datore di lavoro di fatto
dell’imputato, senza tenere in considerazione quanto emerso in atti -grazie alla
documentazione acquisita ed alle dichiarazioni rese dai testi esaminati, compreso il
dipendente dell’ASL incaricato di svolgere i necessari accertamenti- circa la posizione di
datore di lavoro dell’Arfaoui e la non ingerenza del Ventura nell’esecuzione dei lavori allo
stesso appaltati;
c) Vizio di motivazione circa le cause del sinistro e gli obblighi di sicurezza violati, errata
applicazione dell’art. 40 cod. pen. e 58 del d.l.gs n. 164/1956. Sostiene il ricorrente che
erronea sarebbe la ricostruzione dei fatti da parte dei giudici del merito. In sostanza, egli
assume che l’incidente è stato causato dalla disattenzione e da una grave imprudenza del
lavoratore, che aveva erroneamente inforcato il bancale e non aveva rispettato l’elementare
regola di prudenza che vieta di sostare nell’area in cui si muove un carico sospeso; il
richiamo, in sentenza, all’art. 58 del predetto d.lgs sarebbe altresì errato, ed immotivato il
profilo di colpa addebitato all’imputato;
d) Vizio di motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche che, se
riconosciute, comporterebbero la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
4.B) Frigerio Maurilio deduce:
a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di sussistenza del nesso causale
tra condotta contestata ed evento; erronea applicazione dell’art. 41 co. 2 cod. pen. Sostiene il
ricorrente che i giudici del merito non si sarebbero posto il tema del nesso causale in una
fattispecie colposa, come quella in esame, di tipo omissivo improprio. I giudici, cioè, non

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c) che la causa dell’infortunio era stata esattamente individuata nell’errata manovra di
sollevamento del carico;
B) Quanto al Frigerio, che i committenti -coimputato Ventura e consorte- gli avevano
demandato tutti gli obblighi che, in tale qualità, ad essi incombevano, tanto che egli stesso si
era qualificato come responsabile dei lavori, e, dunque, anche delle scelte tecniche per
l’esecuzione del progetto nonché dell’organizzazione delle attività del cantiere in modo che
fossero tutelate la salute e l’incolumità dei lavoratori. In tale veste, avrebbe dovuto indicare
il coordinatore per la sicurezza durante l’esecuzione dei lavori; egli aveva, in realtà,
nominato il Ventura che tuttavia, oltre a non essere stato avvertito, non aveva le competenze
richieste per assumere l’incarico, di guisa che tale nomina non esonerava lo stesso Frigerio
dagli obblighi che gli derivavano dalla predetta qualifica, tra i quali vi era quello di
controllare che nell’esecuzione dei lavori venissero attuate idonee misure di sicurezza.
In punto di causalità, il giudice del gravame ha ancora osservato che l’errore commesso
dalla vittima nel posizionare il bancale sulle forche della gru non era idoneo ad interrompere
il nesso causale tra la condotta degli imputati e l’evento, anche perché nessun tipo di
formazione era stata impartita al giovane immigrato, che solo da pochi giorni lavorava in
quel cantiere.

Considerato in diritto.
-1- Ambedue i ricorsi sono infondati.
1.A – Ventura Cristoforo.
a) Quanto al primo dei motivi proposti, occorre osservare che, in tema di correlazione tra
imputazione contestata e sentenza, questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha affermato che
l’ipotesi dell’immutazione del fatto implica una radicale trasformazione dello stesso nei suoi
elementi essenziali, talché ne consegua una concreta incertezza circa l’oggetto
dell’imputazione, che determini un reale pregiudizio del diritto di difesa dell’imputato che
finisca con l’essere condannato per un fatto sostanzialmente diverso da quello contestatogli.
Con riferimento ai reati colposi, è stato dal giudice di legittimità affermato che, allorché
siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un
profilo di colpa rispetto ai profili contestati nell’originaria imputazione, non determina
alcuna immutazione del fatto, e dunque nessuna modifica della stessaai fini dell’obbligo di
contestazione suppletiva di cui all’art. 516 c. p. p. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza
di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi
dell’art. 521 stesso codice.
Ciò perché il riferimento alla colpa genericaevidenzia che la contestazione riguarda la
condotta dell’imputato globalmente considerata, sicché egli è in grado di difendersi
relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione dell’evento di cui è
chiamato a rispondere in ragione della posizione di garanzia allo stesso riconosciuta.
E’ dunque al “fatto”, inteso quale dato fattuale descritto nel capo d’imputazione, in quanto
concreta manifestazione di una condotta penalmente rilevante, al quale deve farsi
riferimento ai fini della verifica della correlazione tra imputazione e sentenza.
Orbene, nel caso di specie, la connotazione specifica del fatto, contestato anche sotto il
profilo generico della “negligenza”, è rimasta del tutto inalterata, e con riferimento ad esso,
rimasto immutato, l’odierno ricorrente ha certo avuto la possibilità di esercitare
proficuamente il proprio diritto di difesa, essendo state chiaramente enucleate le
responsabilità di chi, qualunque fosse stata la ragione della posizione di garanzia ricoperta,
non era intervenuto in modo tale da evitare che un giovane operaio, appena assunto e non
formato professionalmente, né informato dei rischi connessi con l’attività lavorativa svolta,
rimanesse vittima della sua scarsa professionalità, ed eventualmente anche della sua stessa
imprudenza.
In tale contesto, laddove l’evento sia eziologicamente collegato alla violazione di una
condotta doveros ascente dalla posizione di garanzia riconosciuta all’imputato, non si

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avrebbero svolto il giudizio controfattuale rispetto all’azione doverosa omessa, nel senso che
non si sono chiesti se la nomina, da parte del Frigerio, del responsabile della sicurezza in
fase esecutiva, che si fosse fatto carico della formazione dei dipendenti, avrebbe evitato, con
alta probabilità logica, il tragico infortunio. Il ricorrente ritiene che a tale domanda debba
darsi una risposta negativa, posto che nessun tipo di formazione avrebbe potuto assicurarsi
nei confronti di un soggetto preso dalla strada, all’insaputa della committenza e della
direzione dei lavori, un paio di giorni prima e mandato a svolgere un lavoro non suo; né
avrebbe potuto apprestarsi, nei confronti dello stesso, alcuna cautela antinfortunistica;
b) Erronea applicazione dell’art. 43, in relazione all’art. 589 cod. pen. in punto di verifica
della sussistenza dell’elemento psicologico del reato. Una condotta più diligente, si sostiene
nel ricorso, e la nomina del responsabile per la sicurezza, non avrebbero evitato l’evento;
c) Erronea applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 494/96, laddove il giudice del gravame ha
sostenuto che la nomina del Ventura quale responsabile della sicurezza comportava
l’assunzione di responsabilità in capo al Frigerio.

5–

determina alcuna violazione del principio di correlazione allorché detta condotta, intesa
quale dato fattuale individuato nel capo d’imputazione, sia rimasta inalterata, e sia stata
modificata dal giudice solo la ragione normativa in forza della quale lo stesso imputato era
tenuto a porre in essere la condotta doverosa omessa. Ciò perché tale ragione non può
ritenersi parte del “fatto” contestato, idonea ad incidere sostanzialmente nella fattispecie
concretamente individuata, intesa come avvenimento storico ricondotto nell’ambito
dell’ipotesi astratta prevista dalla norma incriminatrice.
Non si verifica, in altre parole, alcuna immutazione degli elementi costitutivi del fatto nel
caso in cui il giudice, essendo stato prospettato nell’imputazione l’obbligo a carico
dell’imputato di impedire l’evento, riconduca detto obbligo ad una ragione diversa da quella
originariamente prospettata; proprio perché, in tal caso, non subiscono modifica alcuna gli
elementi della condotta contestata, che rimane cristallizzata in conformità alla
prospettazione accusatoria descritta nel capo d’imputazione, e che mantiene il suo rilievo
penale in quanto espressione della violazione di un obbligo, pur se trova fondamento in una
diversa ragione normativa,la cui specificazione, da parte del giudice del merito, non assume
rilievo in termini di esposizione descrittiva del “fatto”.
Questo essendo, quindi, nel caso di specie, rimasto immutato, il giudice non aveva alcun
obbligo di ricorrere alla contestazione suppletiva ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., di
guisa che infondata deve ritenersi la dedotta doglianza.
Non chiarisce, d’altra parte, il ricorrente quale reale pregiudizio del diritto di difesa egli
abbia subito; ancora oggi, egli si limita a richiamare, genericamente, “altre difese” che
avrebbe potuto assumere ed “altre circostanze” concernenti l’organizzazione imprenditoriale
dell’ Arfaoui.
b) Ugualmente infondato, ai limiti dell’inammissibilità, è il secondo motivo di ricorso.
In realtà, con riguardo alla posizione dell’imputato, di datore di lavoro di fatto del
lavoratore deceduto, la decisione impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti.
I giudici del merito hanno, invero, rilevato che il Ventura, committente dei lavori, che
aveva anche curato,mediante l’omonima impresa individuale edile di cui egli stesso era
titolare, la realizzazione degli edifici residenziali in costruzione, aveva da ultimo solo
appaltato all’Arfaoui le opere di rifinitura, intonaco, carpenteria ed assistenza delle opere
murarie. Appalto che, tuttavia, secondo gli stessi giudici, non aveva indotto il Ventura a
modificare i propri atteggiamenti rispetto alle opere appaltate, nel senso che egli aveva
continuato ad operare attivamente nel cantiere, ad intervenire costantemente nella
esecuzione dei lavori e nell’organizzazione degli stessi, a dareilisposizioni e direttive,
attraverso l’Arfaoui, agli operai, nella lingua dei quali quest’ultimo provvedeva a tradurle.
Di fatto, quindi, secondo il coerente argomentare della corte territoriale, chi gestiva il
cantiere era il Ventura, le cui disposizioni l’appaltatore provvedeva a trasmettere agli operai,
suoi connazionali, solo formalmente suoi dipendenti.
L’inconsistenza imprenditoriale dell’Arfoui, peraltro, è stata legittimamente dedotta dalla
medesima corte dal fatto che tutte le attrezzature e le macchine di cantiere (compresa la gru
che lo stesso Ventura provvedeva a manovrare) erano di proprietà dell’odierno ricorrente,
che pure non aveva propri dipendenti, essendo tutti i lavoratori impiegati alle formali
dipendenze del predetto Arfaoui; ed ancora, che era il Ventura ad acquistare direttamente il
materiale impiegato nei lavori.
E’, dunque, alla stregua di tali complessivi elementi che i giudici del merito hanno
legittimamente ritenuto che al presunto appaltatore, che non aveva assunto su di sé alcun
rischio d’impresa, che era privo delle attrezzature necessarie per l’esecuzione dei lavori
appaltati e dei mezzi finanziari occorrenti per la realizzazione delle relative opere, non
poteva attribuirsi la qualifica di “imprenditore”. Da questi stessi elementi essi hanno anche
tratto la logica conclusione secondo cui, in realtà, l’Arfoui era solo il fornitore, peraltro
abusivo, della manodopera utilizzata dal Ventura, giustamente ritenuto responsabile

dell’infortunio del quale l’Ed Diani è rimasto vittima, non solo in quanto committente dei
lavori, ma anche quale diretto datore di lavoro dell’operaio infortunato.
Considerazioni, quelle svolte dalla corte territoriale, che l’odierno ricorrente contesta solo
in termini generici ed inconferenti, laddove, ad esempio, richiama la formale t
osizione
dell’Arfaoui di appaltatore delle opere in questione e del Ventura di semplice co mittente
delle stesse, a fronte dei giudizi motivatamente espressi dai giudici del merito che hanno
ritenuto tali formali posizioni dei due imputati in realtà non rispondenti alla realtà dei fatti.
Ovvero, laddove richiama parti delle dichiarazioni rese da alcuni compagni di lavoro della
vittima, secondo cui era l’Arfaoui a dare disposizioni, senza considerare quanto accertato dai
giudici circa la funzione, dallo stesso svolta, di semplice traduttore nella lingua degli operai
delle direttive del Ventura. Per il resto, le ulteriori considerazioni difensive del ricorrente
propongono solo una diversa lettura degli elementi probatori acquisiti, non consentita nel
giudizio di legittimità.
c) Ugualmente non deducibile nella sede di legittimità è il terzo motivo di ricorso, laddove
il ricorrente svolge considerazioni di mero fatto, allorché riconsidera le modalità
dell’incidente ovvero richiama presunte informazioni fornite all’operaio deceduto circa le
modalità di inforcamento dei bancali e la consistenza degli stessi e della cinghia utilizzata
per il contenimento dei materiali ed il sollevamento degli stessi. Mentre manifestamente
infondate sono le osservazioni attraverso le quali si pretende di addossare la responsabilità
dell’infortunio sullo stesso lavoratore deceduto, ignorando la costante giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui:” In tema di infortuni sul lavoro, l’eventuale colpa concorrente
dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per i soggetti aventi l’obbligo di
garantire la sicurezza e che si siano resi responsabili di violazioni di prescrizioni in materia
antinfortunistica “(Cass. nn. 10121/07 – 37986/12).
Ciò perché “le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore
anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e
imperizia”, di guisa che “il comportamento anomalo de/lavoratore può acquisire valore di
causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento, tanto da escludere la
responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le
misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo
o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e
imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile
intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al
comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore,
posto in essere nel contesto dell’attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso,
eccezionale ed imprevedibile” (Cass. n. 47146/05, cof. nn. 25502/07, 25532/07, 12348/08,
15009/09, 23292/11).
Palese è, quindi, nel caso di specie, alla stregua dei richiamati principi, l’infondatezza del
motivo di ricorso, essendo evidente come la maldestra condotta dell’Ed Diani, ove anche
imprudente, non può ritenersi imprevedibile ed esorbitante rispetto all’attività lavorativa
dallo stesso svolta, di guisa che essa non può fornire alcun alibi a chi, datore di lavoro o
comunque titolare di una posizione di garanzia, abbia omesso di svolgere i compiti che tale
posizione gli imponeva, tra i quali quelli di assicurare al lavoratore un’adeguata formazione
ed una compiuta informazione e di verificare costantemente il puntuale rispetto, da parte
dello stesso, delle norme sulla prevenzione degli infortuni.
d) Manifestamente infondato è, infine, l’ultimo dei motivi proposti, avendo i giudici del
merito legittimamente ritenuto che la gravità dei fatti e delle relative conseguenze, la
presenza di un pur unico precedente per inquinamento idrico, l’assenza di resipiscenza o di
altri elementi positivi di valutazione della personalità del Ventura, non autorizzavano il
riconoscimento delle invocate attenuanti generiche.

1.B — Frigerio Maurilio.
Infondati, e per certi versi generici, sono i motivi di ricorso proposti che, concernendo i
temi della responsabilità e della posizione di garanzia riconosciute all’imputato, possono
essere unitariamente esaminati.
Il giudice del gravame ha osservato che i committenti, Ventura Cristoforo e la moglie,
avevano trasferito al Frigerio tutti gli obblighi e gli oneri che ad essi, in detta qualità,
competevano con riguardo ai lavori in corso di esecuzione. In tale posizione, l’odierno
ricorrente aveva assunto, secondo lo stesso giudice, la qualità di responsabile dei lavori,
come, peraltro, è stato ancora rilevato, lui stesso si era qualificato; qualità in ragione della
quale ad esso era stata legittimamente attribuita una precisa posizione di garanzia, non
avendo egi provveduto alla nomina del coordinatore per la sicurezza; ovvero, avendolo
individuato nel Ventura che, oltre ad esser privo delle competenze richieste, non era stato
neanche avvertito di tale nomina.
Giustamente, quindi, alla stregua di tali considerazioni, i giudici del merito hanno rilevato
come il Frigerio, in ragione della posizione di garanzia correttamente riconosciutagli, avesse
violato gli obblighi che da essa derivavano, non avendo egli svolto i compiti di vigilanza e di
controllo sulla piena osservanza, nell’esecuzione dei lavori, delle misure di prevenzione e
sicurezza previste nel relativo PSC. Piano, peraltro, da lui stesso redatto, che pur aveva
evidenziato il rischio di caduta di materiali dall’alto nell’uso di autogru e che prevedeva
precise modalità di imbracatura di tali materiali e di esecuzione delle operazioni di
sollevamento e di trasporto dello stesso in maniera da evitare il passaggio dei carichi sospesi
sui lavoratori.
Giustamente, quindi, i giudici del merito hanno osservato che l’errore compiuto dall’Ed
Diani nell’inserimento del bancale sulle forche della gru e l’errata posizione dallo stesso
assunta durante le operazioni di sollevamento dei mattoni, non interrompevano il nesso
causale tra la condotta colposa degli imputati, e dunque anche del Frigerio, e l’evento
determinatosi.
A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente, senza rivolgere alcuna specifica contestazione
sui punti indicati dal giudice del gravame, rimanda ogni responsabilità sull’Arfaoui, che
avrebbe “prelevato dalla strada” il giovane operaio e l’avrebbe destinato a svolgere un
“lavoro non suo”, ovvero al Ventura. Senza considerare, tuttavia, che la posizione di
garanzia che a lui stesso derivava dalla qualifica ricoperta nell’ambito dei lavori in
esecuzione, gli imponeva di esercitare i doveri di vigilanza e di controllo attribuitigli dalla
legge e che riguardavano, tra l’altro, anche la verifica del pieno rispetto, da parte di tutti gli
addetti, specie da parte di un imprenditore improvvisato e di un giovane operaio appena
assunto ed assegnato a rischiose mansioni, del piano di sicurezza. Posizione che, a fronte
dell’irregolare esecuzione dei lavori di imbracamento e sollevamento dei materiali, avrebbe
dovuto indurlo ad intervenire attraverso l’emanazione di specifiche direttive e la
predisposizione di tutte le misure necessarie per garantire una corretta esecuzione dei lavori,
specie di quelli a maggior rischio, come quello al quale era stato assegnato l’Ed Diani.
Mentre il richiamo, in particolare nel terzo dei motivi proposti, alle responsabilità del
Ventura, indicato quale titolare dell’impresa incaricata dei lavori, sempre presente in
cantiere, fornitore dei mezzi di lavoro, evidentemente non esonera il Frigerio dalle proprie
responsabilità, connesse alla posizione di garanzia giustamente attribuitagli, concorrente con
analoghe posizioni attribuite agli altri imputati.
Giustamente, infine, la corte territoriale, come già sopra rilevato, ha osservato che la
posizione di responsabile della sicurezza assunta dal Frigerio doveva ritenersi radicata in
capo allo stesso, non avendo egli provveduto alla nomina del coordinatore per la sicurezza,
ovvero avendo nominato il Ventura, soggetto non fornito delle competenze richieste.
In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.
eLflefr~
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrentikriZgamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

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