Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7953 del 08/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 7953 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CECCHETTI BONAVENTURA N. IL 15/11/1924
avverso la sentenza n. 1017/2013 TRIBUNALE di VITERBO, del
07/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. (0 -kesz-/.
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che ha concluso per
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Data Udienza: 08/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza del 07/11/14 il Tribunale di Viterbo in composizione monocratica,

dichiarava Cecchetti Bonaventura responsabile del reato di cui all’art.650 c.p. e lo condannava
alla pena di euro 150,00 di ammenda, oltre alle spese processuali, ritenendo accertata
l’inottemperanza da parte del medesimo all’ordinanza del Sindaco del Comune di Viterbo,

regolare potatura dei suoi alberi e di tagliare i rami sporgenti sulla pubblica via o comunque
verificarne la stabilità (sulla base della testimonianza di un agente della polizia locale, che
aveva rilevato l’omesso adempimento dell’ordinanza – regolarmente notificata – nel termine
prescritto, non giustificato in alcun modo dal destinatario della stessa).

2. Avverso detta sentenza è stato proposto appello, convertito in ricorso per cassazione
(attesa l’inappellabilità della sentenza in quanto condanna alla sola pena dell’ammenda).
2.1 Con il primo motivo di impugnazione il difensore lamenta l’omesso accertamento della
contravvenzione contestata, in quanto generico, non proveniente da un tecnico (mentre quello
iniziale era stato effettuato da tecnici dell’Ufficio pubblica incolumità del Settore lavori pubblici)
o comunque da persona a conoscenza dei luoghi, chiedendo l’assoluzione per insussistenza del
fatto.
2.2 Con il secondo motivo ci si duole dell’eccessiva onerosità della pena, superiore al
minimo edittale, soprattutto se rapportata all’età e all’incensuratezza dell’imputato ed al fatto
che il ritardo nell’adempimento è stato di appena quindici giorni; elementi trascurati dal
Giudice a quo, che sul punto avrebbe omesso di fornire una circostanziata motivazione,
violando il disposto dell’art.133 c.p. Si chiede, pertanto, l’applicazione del minimo della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché presentato da difensore non abilitato alla difesa presso
le giurisdizioni superiori, in violazione dell’art. 613, comma 1, cod. proc. pen., a nulla rilevando
che esso sia stato impropriamente proposto come appello, poiché il principio di conservazione
del mezzo di impugnazione di cui all’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., non può in nessun
caso consentire di derogare alle norme che formalmente e sostanzialmente regolano i diversi
tipi di impugnazione (Sez. U, n. 31297 del 28/04/2004, dep. 16/07/2004, Terkuci, Rv.
228119).

2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti
ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n.
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emessa per ragioni di sicurezza pubblica, con la quale gli era stato ordinato di effettuare una

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186 del 2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione
pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Così deciso, in Roma, l’ 8 gennaio 2016.

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