Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7948 del 03/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7948 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
NAPOLI
nei confronti di:
FAPPIANO NICOLA N. IL 08/07/1972
avverso la sentenza n. 13/2007 GIUDICE DI PACE di CERRETO
SANNITA, del 27/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. rw&u 021-4 CMA-0e2 )
che ha concluso per g -r/ e,sc7. a2o

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Data Udienza: 03/10/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice di Pace di Cerreto Sannita
ha assolto Fappiano Nicola dal reato di cui all’art. 590 cod. pen. in danno di
Mastrillo Filomeno. Secondo la prospettazione accusatoria, il Fappiano era alla
guida di un’autovettura e percorreva una strada provinciale quando, a causa
della velocità superiore a quella consentita nel tratto stradale, aveva colliso con
la bicicletta inforcata dal Mastrillo, che nell’occorso riportava lesioni personali.

dell’imputato per il fatto ascrittogli, dal momento che il teste Crocco e Buono
avevano dichiarato di non aver assistito all’incidente, mentre il C.t.p. brio aveva
riferito di aver tratto gli elementi utilizzati per i propri accertamenti da quanto
fornitogli dal difensore e dai parenti della persona offesa.

2. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la
Corte di Appello di Napoli lamentando vizio motivazionale e violazione di legge,
per aver omesso il giudice di esporre le ragioni per le quali ha ritenuto non
necessario l’esame della persona offesa che, a seguito della rinuncia del p.m.,
poteva essere espletato ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. Rileva che non è
stata data spiegazione al fatto che esistesse una diagnosi certificata e una
determinata descrizione dei fatti resa al perito di parte, rispetto al quale si
lamenta la mancata spiegazione delle ragioni che avrebbero indotto la persona
offesa e i parenti della stessa a fornire una determinata ricostruzione dei fatti al
perito di parte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.

4.1. In tema di poteri officiosi del giudice, ai sensi dell’art. 507 cod. proc.
pen., le S.U. hanno ritenuto che condizioni necessarie per l’esercizio di tale
potere sono l’assoluta necessità dell’iniziativa del giudice, da correlare a una
prova avente carattere di decisività, e il suo essere circoscritto nell’ambito delle
prospettazioni delle parti, la cui facoltà di richiedere l’ammissione di nuovi mezzi
di prova resta, peraltro, integra ai sensi dell’art. 495 comma secondo c.p.p.
(Sez. U, n. 41281 del 17/10/2006 – dep. 18/12/2006, P.M. in proc. Greco, Rv.
234907).
La giurisprudenza di legittimità è altresì concorde nel ritenere che il giudice
ha il dovere di attivare, anche d’ufficio, il proprio potere di integrazione
probatoria, se indispensabile per la decisione, anche nell’ipotesi in cui vi sia
assoluta mancanza di mezzi probatori di parte, ed ha pertanto l’obbligo di

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Per il giudice di primo grado risulta carente la prova della responsabilità

motivare in ordine al mancato esercizio di tale potere-dovere (da ultimo, Sez. 1,
n. 29490 del 27/06/2013 – dep. 10/07/2013, P.M. in proc. Liu e altro, Rv.
256116). Tuttavia tale obbligo motivazionale presuppone pur sempre che il tema
della decisività di una determinata prova, non assunta e quindi da assumersi, sia
stato formulato; diversamente la dichiarazione di chiusura dell’istruttoria
dibattimentale vale ad esprimere il giudizio di esaustività della fase istruttoria
(similmente Sez. 6, n. 24430 del 16/02/2010 – dep. 28/06/2010, Di Napoli, Rv.
247366, per la quale “l’esercizio di tale potere presuppone la sussistenza

valutazione al riguardo da parte del giudice, il quale, ove non eserciti tale potere,
non è tenuto a darne espressamente conto, evincendosi implicitamente
dall’effettuata valutazione – adeguata e logica – delle risultanze probatorie già
acquisite la superfluità di una eventuale integrazione istruttoria”).
4.2. Nel caso che occupa, il giudice ha ritenuto non necessario procedere ad
integrazione probatoria, in astratto possibile per la concorde rinuncia delle parti
all’escussione del Mastrillo; secondo il ricorrente egli non ha esplicitato le ragioni
di tale giudizio, ma per quanto sopra ricordato una espressa motivazione sul
punto nella fattispecie non era richiesta. Né è ignoto perché il giudice abbia
ritenuto non decisiva la testimonianza del Mastrillo; la sentenza impugnata,
infatti, perviene alla pronuncia assolutoria sul presupposto della mancanza di
“elementi processuali probatori di riscontro dei fatti denunciati…”. Il che ha
l’evidente significato della necessità avvertita dal decidente di reperire elementi
di conferma della ricostruzione offerta dalla persona offesa (evidentemente con
la querela); sicché l’assenza di tali elementi rendeva superfluo acquisire quelle
dichiarazioni.
4.3. Tal ultima considerazione fornisce risposta anche al secondo rilievo, che
per vero risulta non conforme al principio di autosufficienza del ricorso (“in tema
di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata
valutazione di specifici atti processuali, provvedere alla trascrizione in ricorso
dell’integrale contenuto degli atti medesimi, nei limiti di quanto già dedotto,
perché di essi è precluso al giudice di legittimità l’esame diretto, a meno che il
“fumus” del vizio non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso”:
Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009 – dep. 12/02/2009, Bouyahia, Rv. 243225).
In ogni caso, nel menzionare l’assenza di “elementi processuali probatori di
riscontro dei fatti denunciati” il giudice ha manifestato di aver tenuto ben
presente la ricostruzione proveniente dalla p.o., giudicata tuttavia insufficiente a
dare da sola prova dei fatti. Il che è conforme alla giurisprudenza di legittimità,
per la quale, se da un canto le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod.
proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali

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dell’assoluta necessità del nuovo mezzo di prova e postula l’apprezzamento e la

possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di
penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea
motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità
intrinseca del suo racconto, dall’altro richiede che l’analisi deve essere più
penetrante e rigorosa rispetto a quella alla quale vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone e, nel caso in cui la persona offesa si sia
costituita parte civile, risulta opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni
con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012,

Non essendovi stata nel processo la costituzione di parte civile del Mastrillo,
emerge che il decidente è incorso in improprietà lessicale evocando i ‘riscontri’;
ma non può sfuggire che egli ha ritenuto non sufficiente la ricostruzione dei fatti
avente origine dalla persona offesa. Giudizio che non confligge con i principi
sopra ricordati.
Il ricorso va quindi rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3.10.2013.

Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).

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