Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 79 del 23/11/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 79 Anno 2013
Presidente: MARZANO FRANCESCO
Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) PISTORIO ANTONIO GIOVANNI N. IL 15/03/06
‘MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 86/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
16/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO MARCO
BLAIOTTA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

‘143,-tt el

Uditi difensor Avv.;

C..erkA `t:44

trtie.

/

Data Udienza: 23/11/2012

cc 11 Pistorio

Motivi della decisione

1. La Corte d’appello di Catania ha respinto l’istanza avanzata da Pistorio
Antonio Giovanni, intesa ad ottenere l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione
subita.

cod. proc pen. Si rimarca che nella domanda si era evidenziato che i giudici di
merito hanno adottato pronunzia assolutoria a seguito della dimostrazione della
calunniosità delle dichiarazioni di tale Palermo che aveva irrisolti motivi di astio
nei confronti del ricorrente e le cui accuse non sono state in nessuna parte
riscontrate. La Corte della riparazione, probabilmente, non ha compreso o ha
frainteso il contenuto della sentenza assolutoria: si è tratto argomento dalla
gestione di una casa da gioco, desunta anch’essa dalle dichiarazioni del
calunniatore. La stessa Corte assume che sia il richiedente a dover dimostrare
l’estraneità al reato richiedendo una probatio diabolica; ed ipotizza inoltre
condotte illecite che neppure il calunniatore ha riferito. In ogni caso, la gestione
della casa da gioco regolarmente autorizzata non poteva certo giustificare la
triennale detenzione, considerando che il ricorrente si è subito efficacemente
discolpato.

2.1 L’Avvocatura dello Stato \presentato una memoria chiedendo la
dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

3. Il ricorso è con tutta evidenza pienamente fondato.
Questa Corte, anche a Sezioni unite (Sez. Un. 13/12/1995, Sarnataro Rv.
203638)f ha avuto modo di enunciare ripetutamente il principio che nel
procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere
nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta
all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte
dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur
dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un “iter”
logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se
determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste
come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione
dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha
piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per
rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni

2. Ricorre per cassazione il richiedente deducendo violazione dell’art. 314

dell’azione, sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza
di una causa di esclusione del diritto alla riparazione.
Si è pure ripetutamente enunciato il principio che la condizione ostativa al
riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente
dato causa, all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in comportamenti che non
siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che possano essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver
determinato l’imputazione), o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio
specificamente sia in ordine all’addebitabilità all’interessato di tali
comportamenti, sia in ordine all’incidenza di essi sulla determinazione della
detenzione. Tale indirizzo deve essere qui ribadito, giacché costituisce la chiave
di volta per la valutazione del caso in esame. Infatti, ove fosse consentita la
valorizzazione di emergenze probatorie confutate dal giudizio di fatto espresso
con sentenza irrevocabile, verrebbe caducato il cardine del vigente sistema di
riparazione per l’ingiusta detenzione, costituito appunto dal giudicato
sull’incolpazione e sulle circostanze di fatto ad essa pertinenti.
Dunque, in breve, non è consentito al giudice della riparazione di mettere
in discussione l’esito del giudizio di merito, esprimendo valutazioni dissonanti.
Occorre invece ponderare circostanze di fatto accertate nel processo ed
analiticamente individuate; e sulla base di esse valutare se sussistano condotte
dolose o gravemente colpose eziologicamente rilevanti, idonee ad escludere il
diritto all’indennizzo.
Il giudice di merito non si è attenuto per nulla a tali ben consolidati
principi. L’ordinanza impugnata dà atto che il ricorrente è stato lungamente
sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui
all’articolo 416 bis cod. pen. ed è stato definitivamente assolto per non aver
commesso il fatto con sentenza emessa dal Tribunale di Catania. Si assume che
la misura cautelare è stata adottata alla stregua di dichiarazioni accusatorie rese
da collaboratori di giustizia che sono state “svalorizzate dal Tribunale motivando
su situazioni di astio”. Tali censure rivolte alle dichiarazioni accusatorie, assume
ancora la Corte d’appello, non possono essere condivise. Inoltre, il richiedente
“non ha dimostrato con assoluta prova l’estraneità al fatto sia perché contiguo al
capo del clan mafioso che lo provvedeva di un esercizio commerciale, sia perché
non poteva non essere a conoscenza di quanto illecitamente perpetrato
dall’interno del nucleo criminoso, sicché essi valgono ad integrare gli estremi
della colpa grave. L’omessa dimostrazione di ragioni plausibili della discolpa in
ordine agli elementi ascrittigli nel provvedimento restrittivo della libertà
personale è idonea a dare materia a gravi indizi di colpevolezza rilevati a suo

consapevole sull’esistenza di un alibi). Il giudice è peraltro tenuto a motivare

carico ed ascrivibile a comportamento che costituisce uno dei presupposti ostativi
al riconoscimento dell’indennizzo.”
Tale disarticolata argomentazione vulnera radicalmente la normativa ed i
suoi principi. Infatti la Corte d’appello ripercorre arbitrariamente il materiale
probatorio giungendo a ritenere che il giudice di merito abbia errato nella
valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie, sovrapponendo il
proprio non motivato giudizio all’accertamento in fatto irrevocabilmente espresso
nella sede di merito. Ancora, la Corte d’appello enuncia, paradossalmente, un
prova della estraneità ai fatti che, viceversa, è insindacabilmente e
definitivamente inscritta nella sentenza assolutoria. Infine, per colmo di errore,
si assume, a quanto è dato di intendere, che la mancanza di tale prova
costituisca comportamento gravemente colposo che da un lato dà pregio alla
misura restrittiva e dall’altro esclude la possibilità di accogliere la domanda.
La pronunzia deve essere conseguentemente annullata con rinvio affinché
il caso venga nuovamente esaminato alla luce della normativa e dei principi
sopra indicati.

PQM
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Catania.
Roma 23 novembre 2012
IL CONSIGLIERE ESTENSORE
(Rocco Marco BLAIOTTA)

IL PRESIDENTE

g

Francesco MARZANO)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

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inesigibile e non previsto onere probatorio a carico del richiedente, afferente alla

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