Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 789 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 789 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOSSUTO NAZZARIO N. IL 15/06/1969
avverso l’ordinanza n. 10/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di BARI, del
26/03/2013
sentita la rel zione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
lette/sen e le conclusioni del PG Dott. -€,_
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Data Udienza: 18/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 26.3.2013 il Tribunale di sorveglianza di Bari
rigettava l’istanza avanzata da Nazzario Mossuto, in espiazione della pena
complessiva di anni otto di reclusione (fine pena 2020), volta ad ottenere il
differimento dell’esecuzione della pena per ragioni di salute, ai sensi dell’art. 147
cod. pen., nelle forme della detenzione domiciliare di cui all’art. 47

ter Ord.

Pen..

medesima istanza alla luce delle recenti condotte negative del Mossuto che
confermavano la elevatissima pericolosità del condannato e la totale mancanza
di resipiscenza, nonché, della valutazione delle condizioni di salute ritenute di
incompatibilità cd. relativa con la struttura carceraria nella quale era ristretto.
Prima del deposito della motivazione della predetta decisione il condannato
aveva riproposto l’istanza ai sensi dell’art. 47

ter comma 1

ter Ord. Pen. e

medio tempore il D.A.P. aveva disposto il trasferimento in altro istituto ritenuto
idoneo alle condizioni di salute del predetto ed ai trattamenti sanitari richiesti,
tanto che il dirigente sanitario dell’istituto riferisce che il detenuto ha rifiutato il
ciclo della fisiokinesiterapia e che le attuali condizioni non richiedono costanti
contatti con i presidi sanitari esterni.
Ad avviso del tribunale, quindi, la dedotta contrarietà al senso di umanità
delle condizioni di detenzione risulta infondata, atteso che la stessa presuppone
che le modalità del trattamento penitenziario comportino una sofferenza ed
un’umiliazione ulteriore e diversa da quelle connesse al mero stato di
detenzione.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, a
mezzo del difensore di fiducia, il condannato denunciando la violazione di legge
ed, in specie, degli artt. 27 e 32 della Costituzione.
Ribadite le condizioni patologiche del condannato, come descritte dal perito
nominato dalla Corte d’appello di Bari nella relazione prodotta al tribunale di
sorveglianza ed allegata al ricorso, e la necessità di un’intensa attività
riabilitativa praticata ai fini del miglior recupero funzionale degli arti e, quindi;
dell’autonomia personale, il ricorrente rileva che all’epoca del primo rigetto
dell’istanza si trovava ristretto presso la casa circondariale di Bari, ossia nel
medesimo istituto in cui è attualmente detenuto, inidoneo a prestare le cure
necessarie.
In ogni caso, il tribunale non ha tenuto conto che la grave patologia
pregiudica la funzione rieducativa della pena essendo contraria al senso di
umanità e che tale patologia si aggrava in mancanza dei trattamenti sanitari
2

Il tribunale premetteva che già in data 11.12.2012 era stata rigettaT?la

adeguati. Il rifiuto del condannato delle terapie proposte all’interno dell’istituto
deve essere valutato come indizio del malessere psicologico grave nel quale
versa, tenuto conto della costrizione in carrozzina con continua necessità
dell’aiuto di terzi per svolgere le normali funzioni quotidiane.
Conseguentemente, la motivazione dell’ordinanza impugnata è carente e
contraddittoria anche con riferimento alla ritenuta elevata pericolosità sociale /
incompatibile con le descritte condizioni fisiche del condannato.

Il ricorso, ad avviso del Collegio, non è fondato.
1. Va ricordato che la concessione del differimento obbligatorio o facoltativo
dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi degli artt. 146,
comma primo n. 3, 147 n. 2 cod. pen., e la misura di cui all’art. 47 ter legge 26
luglio 1975 n. 354, fondano sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i
cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, su quello
secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità ed, infine, su quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale
dell’individuo.
Ne consegue che le pene legittimamente inflitte devono essere eseguite nei
confronti di coloro che le hanno riportate; l’esecuzione della pena non è preclusa
da eventuali stati morbosi del condannato, suscettibili di un generico
miglioramento per effetto del ritorno in libertà; uno stato morboso del
condannato in tanto legittima il rinvio dell’esecuzione, in quanto la prognosi sia
infausta quoad vitam ovvero il soggetto possa giovarsi in libertà di cure e
trattamenti indispensabili non praticabili in stato di detenzione, neanche
mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, ovvero ancora, a
cagione della gravità delle condizioni, l’espiazione della pena si riveli in contrasto
con il senso di umanità. La malattia da cui è affetto il condannato deve essere
grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti
conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa
facilmente attuare nello stato di detenzione; tale valutazione impone, altresì, il
bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e
le esigenze di sicurezza della collettività (Sez. 1, n. 17947, 30/03/2004,
Vastante, rv. 228289).

2.

Invero, il tribunale , nella specie ha esplicitato le ragioni del proprio

convincimento con un percorso argomentativo adeguato ed immune da vizi sotto
il profilo della contraddittorietà o manifesta illogicità.

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

Per quel che si rileva in atti, la valutazione delle condizioni di salute del
ricorrente è stata operata sulla base del contenuto di una relazione sanitaria
aggiornata proveniente dal carcere nella quale il dirigente sanitario dell’istituto
ha riferito che il detenuto ha rifiutato il ciclo della fisiokinesiterapia e che le
attuali condizioni non richiedono costanti contatti con i presidi sanitari esterni
Pertanto, il tribunale ha ritenuto che il rifiuto della terapia apprestata dalla
struttura carceraria non può determinare la necessità della detenzione
domiciliare. Correttamente, inoltre, il tribunale ha affermato che il trattamento

sofferenza ed un’umiliazione ulteriore e diversa da quelle connesse al mero stato
di detenzione.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso, il 18 dicembre 2013.

contrario al senso di umanità presuppone che le modalità comportino una

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