Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 788 del 24/05/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 788 Anno 2018
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Marzo Vetrugno Oscar, nato a Novoli il 11/5/1956
avverso la sentenza del 12/3/2015 del Tribunale di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Marilia
Di Nardo, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Mario Franco Balata, in sostituzione dell’avv.
Francesco Tobia Caputo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 24/05/2017

1. Con sentenza del 12 marzo 2015 il Tribunale di Lecce ha condannato
Oscar Marzo Vetrugno alla pena sospesa di euro 400,00 di ammenda, in
relazione al reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav. (ascrittogli per avere
occupato l’area demaniale marittima censita alla particella 1251 del foglio 22
della mappa catastale del Comune di Porto Cesareo, sottoposta a vincolo
idrogeologico e paesaggistico, adiacente alla sua proprietà, appropriandosene
per una ampiezza di circa 120 metri quadrati, delimitandola a fine di uso
esclusivo, mediante la realizzazione di due muretti con pietre informi cementate,
inseriti nel muretto di recinzione del proprio fondo, costituendo un accesso con
un battuto di cemento all’esterno del cancello di accesso, verso il mare,

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realizzando così un giardino con zona di spiaggia per uso privato, con gradini e
passerelle di cemento e piantumazione di vegetazione, nonché con la
realizzazione di impianto elettrico alimentato da un cavo interrato e collegato con
la sua abitazione).
Con la medesima sentenza il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere
nei confronti dell’imputato in relazione ai reati di cui agli artt. 44, lett. c), d.P.R.
380/2001 e 181, comma 1 bis, d.lgs. 42/2004, perché estinti per prescrizione, e
lo ha assolto dal reato di cui all’art. 635 cod. pen. per non aver commesso il

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’imputato, qualificato come
ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza non appellabile, e gli atti sono
stati trasmessi a questa Corte ex art. 568, comma, 5 cod. proc. pen.
2.1. Con una prima doglianza ha prospettato violazione degli artt. 54 e 1161
cod. nav., l’insussistenza del fatto e l’estinzione anche del residuo reato
ascrittogli per prescrizione.
Ha lamentato, anzitutto, l’insufficiente considerazione della realizzazione dei
due muretti laterali rispetto al muro di confine, delimitanti le dune prospicienti il
fabbricato di sua proprietà, da parte degli originari proprietari di quest’ultimo e
propri danti causa, come pure dei gradini e del camminamento presenti sulla
duna di sinistra, e l’erroneità della affermazione della configurabilità della
occupazione da parte sua di un tratto di spiaggia della superficie di 120 metri
quadrati mediante la pulizia della duna esistente, l’installazione di un cavo
elettrico interrato e lo stabile posizionannento di sedie a sdraio e ombrelloni,
trattandosi di condotte che in parte non gli erano attribuibili e in parte prive
erano di offensività, e comunque inidonee a limitare la fruibilità del tratto di
spiaggia interessato, e tantomeno a consentire di configurarne una
appropriazione o la volontà di appropriarsene. Ha affermato di non aver posato e
interrato il cavo elettrico rinvenuto sotto i mattoni del camminamento che
conduce alla duna, riconducibile al proprio dante causa, e di non averne
comunque mai fatto uso, aggiungendo che, inoltre, lo stesso non era allacciato
all’impianto elettrico del fabbricato di sua proprietà. Il dubbio in ordine all’epoca
di realizzazione di tale impianto avrebbe, comunque, dovuto determinare la
dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
Ha, inoltre, affermato la insufficienza della presenza di piante di agave a
distanza regolare tra loro e denotanti una loro costante manutenzione a
consentire di ritenere dimostrata l’appropriazione del tratto di spiaggia su cui si
trovano, non essendo idonee a limitare la fruibilità della spiaggia né a
determinare occupazione della stessa, tanto che i bagnanti avevano continuato
per anni a utilizzare quello spazio demaniale, con ombrelloni e teli da spiaggia.

fatto.

Anche il posizionamento di un grande ombrellone bianco in corrispondenza
della duna in questione, sottolineato nell’esposto presentato dalla associazione
Legambiente, a seguito del quale avevano avuto inizio le indagini, era avvenuto
del tutto sporadicamente, sicché anch’esso non poteva costituire indice della
configurabilità della stabile occupazione dell’area demaniale, anche alla luce della
circostanza che la base di tale ombrellone si trovava all’interno del giardino della
villetta di proprietà dell’imputato. Gli altri ombrelloni rappresentati nei medesimi
rilievi fotografici non erano con certezza riconducibili all’imputato, sicché anche

di demanio marittimo in questione.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato l’omessa assoluzione dal reato
urbanistico e da quello paesaggistico, di cui agli artt. 44, lett. c), d.P.R.
380/2001 e 181, comma 1 bis, d.lgs. 42/2004, dichiarati estinti per prescrizione
dal Tribunale, essendo invece emersa con evidenza la propria estraneità a tali
reati, essendo stata accertata la risalenza della loro consumazione ad epoca
anteriore all’acquisto da parte sua della proprietà della villetta adiacente alla
spiaggia, prima ancora della adozione di un apposito provvedimento che
prevedesse uno specifico vincolo in relazione al litorale costiero di Porto Cesareo,
che impediva la configurabilità del reato paesaggistico.

3. In data 8 maggio 2017 il ricorrente ha depositato memoria con motivi
nuovi, affermando la riconducibilità dei motivi posti a fondamento del proprio
atto di appello, convertito in ricorso per cassazione, ai casi di ricorso di
legittimità, evidenziando di aver denunciato, con il primo motivo, violazione degli
artt. 54 e 1161 cod. nav. (per l’assenza di offensività del bene protetto delle
condotte evidenziate dal Tribunale e poste a fondamento della affermazione della
sussistenza del reato), contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
della sentenza impugnata (per la non riconducibilità all’imputato delle condotte
ritenute indice della occupazione della spiaggia e la loro risalenza nel tempo,
oltre che per l’omessa considerazione di elementi a discarico), violazione del
principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 cod. proc. pen.
(non essendo stato contestato il posizionamento sulla duna costiera di sdraio e
ombrelloni, ritenuti indice della occupazione ascrittagli), violazione degli artt. 157
e 158 cod. pen. (per il mancato rilievo della prescrizione anche di tale reato);
anche mediante il secondo motivo di appello erano state formulate doglianze
riconducibili ai motivi di ricorso per cassazione, essendo stata prospettata
violazione e falsa applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., per il mancato rilievo
della assenza di elementi a carico in ordine al reato urbanistico e a quello
paesaggistico, dichiarati estinti per prescrizione.

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tale elemento risultava inidoneo a ricondurre all’imputato l’occupazione del tratto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Le doglianze sollevate con il primo motivo, in ordine alla insussistenza di
una occupazione della duna esistente nel tratto di spiaggia antistante la villetta
dell’imputato, per l’inidoneità delle opere considerate significative al riguardo, e a
proposito della loro risalenza nel tempo e della non riconducibilità della loro

accertamento di fatto compiuto dal Tribunale in modo logico, coerentemente con
gli elementi di prova acquisiti, di cui il giudice del merito ha dato conto con
motivazione esauriente e immune da vizi logici.
Il Tribunale, infatti, ha dato atto, sulla base di quanto emerso dai
sopralluoghi della Capitaneria di Porto di Gallipoli e dalle fotografie dello stato dei
luoghi, che oltre la recinzione della villetta di proprietà dell’imputato vi sono due
dune comprese nel demanio marittimo, recintate da muretti alti 80 centimetri,
lunghi circa 9 metri e larghi circa 50 centimetri, che avevano sostanzialmente
trasformato le dune in due aiuole la cui estensione complessiva era pari a circa
120 metri quadrati ciascuna; tali muretti si innestano sul muro di recinzione della
proprietà dei Vetrugno, lungo il quale corre la dividente demaniale; tali muretti
hanno, sostanzialmente, creato un corridoio che dalla spiaggia conduce al
cancello di accesso alla proprietà privata e circoscrivono i due cordoni dunali
trasformati in aiuole, una delle quali attrezzata anche con gradini, passerelle e
un rudimentale impianto elettrico. Dalle fotografie allegate all’esposto presentato
dalla associazione Legambiente, da cui avevano avuto avvio le indagini, risultava
che sulla duna di sinistra erano installati due ombrelloni verdi e delle sedie a
sdraio e la copertura di un ombrellone il cui sostegno si trova oltre il muro di
recinzione, nella proprietà privata. In occasione del sopralluogo eseguito dalla
Capitaneria di Porto nel gennaio 2011 era emerso che la duna di sinistra, cioè
quella prospiciente la villetta di proprietà dell’imputato, si presentava con la
sabbia pulita e con la vegetazione collocata in modo regolare sul perimetro, in
modo da lasciare un ampio spazio libero al centro della duna, con una fila di
piccole agavi a intervalli quasi regolari, posizionate ordinatamente a ridosso del
muro e tutte di analoghe dimensioni, e anche un alberello di tamerice, in guisa
da realizzare una sorta di guardino privato, servito anche da un impianto
elettrico.
Sulla base di tali elementi, tenendo conto della risalenza nel tempo della
esecuzione di parte delle opere (tra cui i due muretti di contenimento delle dune,
i gradini e la passerella in mattoni di cemento), il Tribunale ha ritenuto
configurabile l’occupazione abusiva del tratto di spiaggia costituito dalla duna di
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realizzazione all’imputato, sono inammissibili, in quanto tendono a censurare un

sinistra prospiciente l’abitazione dell’imputato, ritenendone costui responsabile,
sulla base dell’asservimento di tale tratto di spiaggia a servizio del suo fondo,
quale estensione dello stesso, come comprovato anche dalla presenza di un
grande ombrellone bianco e anche di altri ombrelloni e di sedie a sdraio,
riprodotti nelle fotografie allegate all’esposto presentato dalla associazione
Legambiente, e di un cavo elettrico che fuoriusciva dal muro di confine della
proprietà privata dal lato della villetta dell’imputato.
Il ricorrente, come risulta dallo stesso ricorso, tende a conseguire una

alla configurabilità di una occupazione di un’area del demanio marittimo, sia
riguardo alla sua attribuibilità all’imputato, senza, tuttavia, individuare violazioni
di legge o vizi della motivazione, che risulta adeguata e immune da vizi,
proponendo solo una diversa lettura degli elementi a carico, non consentita nel
giudizio di legittimità.
Alla Corte di cassazione è, infatti, preclusa la possibilità non solo di
sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta
nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia
portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo
che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno
(tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, 3akani, Rv. 216260; Sez. 2, n.
20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362), sicché è pur sempre esclusa, anche
dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di
una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella
effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure
anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti
o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova
(Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del
05/06/2014, C.C. in proc. M.M.,

non massimata;

Sez. 3, n. 13976 del

12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina
ed altro, Rv. 235716).
Il motivo di ricorso risulta, pertanto, inammissibile, non contenendo la
denuncia di alcuno dei vizi che consentono il ricorso di legittimità, ma solo una
diversa valutazione degli elementi di prova, allo scopo di pervenire alla
esclusione sia della occupazione abusiva del tratto di spiaggia prospiciente la
villetta dell’imputato, sia della sua attribuibilità all’imputato, ai quali, invece, il
Tribunale è pervenuto in modo del tutto logico e coerente, sulla base di plurimi
elementi, tutti convergenti in modo univoco, sia in ordine alla configurabilità di
una indebita occupazione di un tratto di spiaggia (tra cui la realizzazione di una
vera e propria recinzione con piante a regolare distanza tra loro e
adeguatamente e regolarmente curate; la posa di ombrelloni e sedie a sdraio;
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rivisitazione di tali risultanze onde giungere a diverse conclusioni, sia in ordine

l’esistenza di un, sia pure rudimentale, impianto elettrico; la pulizia della
spiaggia, risultata sgombra in modo anomalo per il mese di gennaio); sia
riguardo alla sua attribuibilità all’imputato (stante l’asservimento del tratto di
spiaggia alla sua proprietà, dimostrato tra l’altro anche dalla presenza del cavo
elettrico, oltre che parzialmente riconosciuto dallo stesso imputato).

3. Il secondo motivo, mediante il quale il ricorrente si duole della
dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato urbanistico e di quello

suo carico, essendo stata accertata la attribuibilità ad altri della esecuzione delle
opere oggetto di tali contestazioni, è manifestamente infondato.
Il Tribunale, pur dando atto che buona parte dei lavori di trasformazione
edilizia, determinanti anche alterazione del paesaggio e dell’assetto del territorio,
erano stati realizzati in epoca risalente e dai danti causa dell’imputato, ha dato
atto della esistenza di un dubbio circa la prosecuzione di tali lavori da parte
dell’imputato, attraverso la realizzazione dell’impianto elettrico a servizio del
tratto di spiaggia occupata e posto in collegamento con la sua abitazione,
costituente completamento dei precedenti lavori, sicché, non essendo certa
l’epoca di realizzazione di tale impianto elettrico, ha escluso che fosse evidente la
prova della non attribuibilità del fatto all’imputato, dichiarando, di conseguenza,
l’estinzione di detti reati per prescrizione.
Tali considerazioni, con cui, peraltro, l’imputato ha omesso un autentico
confronto critico, essendosi limitato a prospettare la propria totale estraneità a
tali condotte, perché attribuibili ad altri, sono del tutto conformi al consolidato
orientamento interpretativo secondo cui “In presenza di una causa di estinzione
del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma
dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le
circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del
medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in

paesaggistico, da cui avrebbe dovuto essere assolto, non essendovi elementi a

modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve
compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di
percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi
incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento”
(Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274; conf., ex plurimis,
Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013, Giuffrida, Rv. 258441; Sez. 6, n. 10284 del
22/01/2014, Culicchia, Rv. 259445), essendo stati evidenziati gli elementi di
incertezza in ordine alla prospettata estraneità dell’imputato alle condotte
oggetto di tali contestazioni, e la conseguente insussistenza dei presupposti per
addivenire a una pronunzia di proscioglimento, con la conseguente
inammissibilità anche di tale motivo di ricorso.
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4. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, a cagione
del contenuto non consentito del primo motivo e della manifesta infondatezza del
secondo.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale
prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché
detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale
di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di
una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla

conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un.,
28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del
8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv.
261616).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del
procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle
Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella
misura di euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 24/5/2017

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Giovanni Liberati

Aldo Fiale
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decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266;

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