Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7869 del 16/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7869 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DENTELLO RENATO N. IL 13/05/1971
avverso la sentenza n. 6198/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
31/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;

Data Udienza: 16/12/2013

RITENUTO IN FATTO
– che la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 31-1-2013, ha
confermato quella emessa – a seguito di giudizio abbreviato – dal Tribunale di
Monza, che aveva condannato Dentello Renato per furto in abitazione e per furto
di un’autovettura, uniti dal vincolo della continuazione, alla pena di anni uno e

che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione

l’imputato, a mezzo del difensore, denunciando violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione
tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli giudicati con sentenza del
Tribunale di Pavia del 22/9/2008, n. 551, concernente analoghi reati, nonché
l’errata applicazione dell’art. 133 cod. pen. in ordine alla quantificazione della
pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto, in tema di
continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso
costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il
cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto
da adeguata motivazione (Cass. 49969 del 28/12/2012). Nella specie, il vincolo
tra i reati è stato escluso in una considerazione complessiva della condotta di
vita dell’imputato, caratterizzata da frequenti violazioni della normativa posta a
tutela del patrimonio, che lasciano intravedere più un “sistema di vita” che una
unicità di disegno criminoso; su cui, peraltro, nemmeno il ricorrente – a parte
generici e non qualificanti riferimenti al modus operandi – è stato in grado di
fornire elementi di identificazione e di storicizzazione;
– con riguardo alla quantificazione della pena, trattasi di doglianza che,
per un verso, passa del tutto sotto silenzio la pur esistente motivazione offerta
sul punto dalla Corte territoriale e, per altro verso, non tiene conto della pacifica
giurisprudenza di questa Corte di legittimità sul punto. Invero, la quantificazione
della pena può essere sindacata avanti questi Giudici di legittimità soltanto
allorquando sia stata effettuata in limiti superiori a quelli edittali ovvero in
maniera illogica; la determinazione in concreto della pena, infatti, costituisce il
risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari
elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del

1

mesi due di reclusione ed C 600 di multa;

Giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in
relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata
l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla
adeguata o non eccessiva; ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure
intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’articolo 133 cod.pen.
ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello;

tener conto del del buon comportamento processuale dell’imputato, in quanto
l’ha adeguatamente ricompensato con la concessione delle attenuanti generiche
(che hanno eliso la pur contestata recidiva) e con l’applicazione di una pena
prossima ai minimi edittali;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di
cui all’articolo 616 cod.proc.pen., ivi compresa, in assenza di elementi che
valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta
sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende;

P. T. M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del processuali e della somma di euro 1.000 in favore
della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16/12/2013.

– che non corrisponde a verità il fatto che il giudicante abbia omesso di

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