Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 786 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 786 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORAPI IVAN N. IL 27/11/1975
avverso l’ordinanza n. 102/2012 GIP TRIBUNALE di CATANZARO,
del 28/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 17/12/2013

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 28 aprile 2013 il G.I.P. del Tribunale di
Catanzaro, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, su istanza del locale
Procuratore della Repubblica, revocava nei confronti di Ivan Corapi i benefici
in precedenza accordatigli ed indicati nella richiesta, ritenendo sussistenti i
presupposti di legge.
2. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione il Corapi

a) mancanza di motivazione e nullità dell’ordinanza in relazione al disposto
dell’art. 125 cod. proc. pen. per non avere il giudice dell’esecuzione indicato le
ragioni della decisione, ossia i presupposti di fatto e le norme di legge
applicate, carenza non supplita dal richiamo quale parte integrante
dell’ordinanza della richiesta del P.M., schematica e priva di qualsiasi
argomentazione. Inoltre, non si era tenuto in alcun conto quanto dedotto dalla
difesa, ossia che era necessario indicare le specifiche condizioni per la revoca
dei due diversi benefici della sospensione condizionale e dell’indulto e
procedere allo scioglimento del cumulo giuridico delle pene, risultante
dall’unificazione per continuazione dei reati giudicati con la sentenza del
G.U.P. del Tribunale di Catanzaro del 6/7/2012.
b) Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in relazione al
disposto dell’art. 1 comma 3 della legge n. 241/2006: la sentenza del G.U.P.
del Tribunale di Catanzaro del 6/7/2012, ritenuta causa di revoca dei benefici
accordati ad esso ricorrente, aveva comminato la pena, risultante
dall’applicazione della continuazione, senza avere indicato la base di calcolo,
ossia la sanzione per il reato più grave e senza avere applicato la riduzione di
un terzo per il rito abbreviato, il che avrebbe comportato la determinazione
della pena in anno uno e mesi otto di reclusione, inferiore al limite preteso
dall’art. 1 comma 3 della legge n. 241/2006 per operare quale causa di
revoca dell’indulto.
3. Con requisitoria scritta del 20 agosto 2013 il Procuratore Generale
presso la Corte di Cassazione, dr. Gabriele Mazzotta, ha chiesto
l’annullamento del provvedimento impugnato e l’adozione dei conseguenti
provvedimenti, condividendo le ragioni di censura prospettate dal ricorrente.

Considerato in diritto.

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.

1

personalmente, il quale ne chiede l’annullamento per:

1.11 provvedimento impugnato ha disposto la revoca dei benefici della
sospensione condizionale della pena e dell’indulto, indicati mediante richiamo,
operato nel suo dispositivo, al contenuto della richiesta avanzata dal P.M.,
sulla base della seguente testuale motivazione “ritenuto che ricorrano le
condizioni di rito siccome indicate in richiesta ai fini dell’accoglimento della
stessa e che la documentazione prodotta sia inidonea a disattenderne la
portata”.
1.1 In tal modo il giudice dell’esecuzione si è limitato ad esprimersi

assenza di qualsiasi riferimento al caso concreto, dei presupposti per operare
la disposta revoca; non è dunque rintracciabile nell’ordinanza in verifica il
procedimento logico-giuridico che ha condotto alla decisione e le relative
ragioni, l’indicazione delle norme di riferimento e dei presupposti per la loro
applicazione al caso concreto, nonostante la decisione assunta non sia affatto
obbligata e richieda l’apprezzamento delle cause di revoca dei benefici.
1.2 Né può ritenersi assolto l’onere della motivazione, -che si ricorda
essere imposto, non soltanto dall’ordinamento processuale con la prescrizione
generale di cui all’art. 125 cod. proc. pen., ma anche dalla norma
costituzionale di cui all’art. 111 Cost., oltre che oggetto di un preciso dovere
deontologico del magistrato-, mediante il ricorso alla tecnica del richiamo
“per relationem” ad altro atto esterno, costituito dalla richiesta del Procuratore
della Repubblica, in sé inidonea a fungere da elemento integratore, dal
momento che nel caso specifico essa conteneva soltanto l’indicazione dei
benefici da revocare e delle norme di legge che disciplinano l’istituto della
revoca.
1.2.1 In linea generale, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo
affermato la legittimità della motivazione “per relationem” di un
provvedimento giudiziale se ricorrano alcune condizioni, ossia quando: a)
contenga il riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del
procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di
giustificazione propria del provvedimento integrato; b) offra dimostrazione
che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del
provvedimento di riferimento e le abbia valutate e ritenute aderenti alla sua
decisione; c) l’atto richiamato, se non allegato o trascritto nel provvedimento
da motivare, sia conosciuto dall’interessato o sia accessibile, almeno nel
momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di
critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo
dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Cass. sez. U, n. 17 del
21/06/2000, Primavera e altri, rv. 216664; sez. 5, n. 11191 del 12/02/2002,

2

mediante formule stereotipate, che danno conto soltanto in astratto ed in

Soriano, rv. 221127; Sez. U., n. 5876 del 28/1/2004, Pc Ferrazzi in proc.
Bevilacqua, rv. 226710; sez. 3, n. 12464 del 04/03/2010, P.M. in proc. C. e
altri, rv. 246465).
1.2.2 Per evitare che tale tecnica redazionale costituisca un espediente
per sottrarsi all’onere giustificativo, si è poi acutamente rilevato che il mero
rinvio ad altri atti del procedimento può dirsi sufficiente quando si intendano
fare propri contenuti essenzialmente descrittivi o ricostruttivi della realtà che
l’autorità giudiziaria condivide, mentre quando si è in presenza di documenti

riformi o modifichi precedenti decisioni assunte dallo stesso organo o da altro
organo giudiziario non può bastare l’adozione della stessa metodologia, ma è
necessario che il giudice esterni i dati di fatto ed indichi le norme di legge di
cui ha inteso fare applicazione, dando prova di avere esercitato i propri
autonomi poteri cognitivi ed esponendo le ragioni del convincimento
formatosi.
2. In applicazione di tali principi la Corte ritiene di dover condividere le
censure mosse dal ricorrente, stante l’assoluta genericità delle argomentazioni
contenute nell’ordinanza impugnata, la cui motivazione è meramente
apparente e si pone in contrasto con le prescrizioni dettate dall’art. 125 cod.
proc. pen., perchè presente graficamente, ma inidonea ad assolvere alla
funzione che le è propria ed a consentire al giudice di grado superiore ed alle
parti di comprendere il ragionamento sotteso e di verificarne la correttezza.
Il provvedimento in esame va dunque annullato con rinvio al G.I.P. del
Tribunale di Catanzaro per nuovo esame dell’istanza presentata dal
Procuratore della Repubblica nei confronti del Corapi.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del
Tribunale di Catanzaro.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2013.

complessi e contenenti aspetti valutativi ed ancor più quando il provvedimento

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