Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7812 del 19/11/2015

Penale Sent. Sez. 5 Num. 7812 Anno 2016
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

A.A.

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania del 2 maggio 2014;
udita la relazione del consigliere Paolo Antonio Bruno;
sentito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Giuseppe Corasaniti, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso<,
sentito, altresì, l’avv. Sergio Caccamo che, nell’interesse del ricorrente, si è
riportato ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. A.A., assieme ad altra persona, era chiamato a rispondere,
innanzi al Tribunale di Catania-sezione distaccata di Mascalucia, dei reati di seguito
indicati:
1) ai sensi degli artt. 56, 81, 61 n. 11 e 610 cod. pen. perché, con più azioni
esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi, in concorso fra
loro con violenza-consistita nel forzare la serratura di casa e nel sostituirla in due

Data Udienza: 19/11/2015

diverse occasioni con una nuova – e con la minaccia – consistita per il A.A.
nell’alzare le mani verso la sorella Daniela Sandra e nel dirle che prima o poi
l’avrebbe uccisa, per entrambi nel prospettare alla stessa la perdita definitiva di tutti
i propri effetti personali e nel diritto di rientrare ed abitare in casa propria nonché
nel prospettabile una persecuzione giudiziaria attraverso la proposizione e la
coltivazione di querele pretestuose – impedendole di fare rientro nella sua abitazione
siti in via dei XX, rifiutandosi di aprire la porta anche su richiesta ed
alla presenza delle forze dell’ordine, privandola dei propri effetti personali e dei

non equivoco a costringere A.A. a trasferire alla cognata
(moglie del A.A.) la proprietà dell’appartamento di quattro vani e del
relativo garage e la metà della proprietà dell’appartamento di due vani, tutti siti in
via dei XX;
2) ai sensi degli artt. 61 n, 2, 110, 624 e 629 cod. pen.

per essersi

impossessato, al fine di profitto, in concorso con la madre non punibile, di una moto
Bmw, di tutti gli effetti personali, dei gioielli, dei documenti e di tutti gli altri beni
immobili di proprietà di A.A., dalla stessa detenuti nella
propria abitazione di via dei XX; con l’aggravante di avere commesso il
fatto per eseguire il reato di cui al capo 1) e con la recidiva infraquinquennale;
3) ai sensi degli artt. 61 nn. 2 ed 11 e 614, commi 1, 2 e 3 cod. pen. per essere
entrato ed essersi intrattenuto contro la sua espressa volontà ed anche
clandestinamente per oltre due mesi nell’abitazione di A.A.,
sita in via dei XX, con le aggravanti di avere commesso il fatto per
eseguire il reato di cui al capo 1) e con violenza sulle cose, consistita nel forzare la
serratura della porta e nel sostituirla con un’altra e con la recidiva
i nfraq ui nq uen naie;
4) ai sensi degli artt. 81, 61 n. 11 e 610 cod. pen. perché, con più azioni
esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi ed in concorso tra
di loro, con violenza consistita nel forzare la serratura di casa e nelle sostituirla in
due diverse occasioni con una nuova, impedivano l’accesso nella propria abitazione
della signora A.A..
Con sentenza del 10 aprile 2012 il Tribunale dichiarava l’imputato colpevole del
reato ascrittogli al capo 1) della rubrica, riqualificato ai sensi degli artt. 81 cpv. e
612, comma secondo, cod. pen. e concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla
contestata aggravante, lo condannava alla pena di mesi due di reclusione, oltre al
pagamento delle spese processuali, con il beneficio della sospensione condizionale
della pena; lo assolveva, invece, dai reati di cui ai capi 2) e 3) della rubrica, mentre
nulla statuiva in ordine al quarto reato in contestazione; lo condannava, altresì, al
risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, da
liquidarsi in separata sede.

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propri documenti, additandola come pazza, compivano atti idonei diretti in modo

Pronunciando sul gravame proposto dal Pm e dalla parte civile A.A. e dall’imputato, la Corte d’appello di Catania, con la sentenza
indicata in epigrafe, in riforma dell’impugnata pronuncia, ritenuto assorbito il delitto
di tentata violenza privata in quella di violenza privata consumata contestato
all’udienza del 24 novembre 2009, rideterminava la pena nella misura di mesi nove
di reclusione, revocando la sospensione condizionale della pena.
Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’imputato, l’avv. Francesco
Strano Tagliareni, ha proposto ricorso per cassazione, denunciando inosservanza

artt. 546 e 597 cod. proc. pen. Deduce il ricorrente – a parte il rilievo che del
collegio faceva parte un giudice che, in primo grado aveva condotto l’intero
procedimento pur senza pronunciare sentenza, in violazione dell’obbligo di
astensione – il giudice di appello aveva pronunziato sentenza di condanna in
relazione al un capo di imputazione (capo D) per il quale era stata omessa
pronuncia da parte del primo giudice. Tanto in violazione delle norme processuali
che prescrivono, nel caso di specie, la dichiarazione di nullità relativamente ai capi
d’imputazione sui quali la pronuncia è stata omessa. Non solo, ma lo stesso giudice
aveva ritenuto assorbito nel reato per il quale era stata omessa pronuncia il capo
A) (tentativo di violenza privata), rendendo così inscindibili le due imputazioni.
Donde la nullità dell’intera sentenza.
Con il secondo motivo si deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione. Si lamenta, in particolare, che la riforma in pejus era stata adottata
sulla base di ingiustificato credito accordato alle dichiarazioni della persona offesa,
pur in mancanza di riscontri probatori e nonostante l’intervenuta assoluzione per i
capi B) e C).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E, di certo, palesemente infondato il preliminare rilievo difensivo in merito a
pretesa nullità dovuta alla presenza nel collegio giudicante di giudice che – avendo
partecipato alla celebrazione del processo di primo grado, pur senza pronunciare
sentenza, nin si era astenuto – non sussistendo alcun obbligo di astensione a suo
carico né, tantomeno, ragione di nullità della sentenza impugnata.
E’, invece, fondata la restante censura che sostanzia il primo motivo di ricorso.
1.1.

Ai fini del compiuto inquadramento della stessa, pare opportuno una

sintetica puntualizzazione della vicenda processuale in esame.
Come emerge dalla narrativa, l’imputato era accusato dei reati di cui ai capi A)
(tentata violenza privata); B) (furto aggravato); C) (violazione di domicilio) e D),
contestato nel corso del processo (violenza privata consumata).

3

e/o erronea applicazione di norme, ai sensi dell’art. 606 lett. c) in relazione agli

Il giudice di primo grado aveva dichiarato il A.A. colpevole dei reati sub 1)
(poi individuato come A), riqualificato ai sensi degli artt. 81 capv e 612, comma
secondo, cod pen.; 2) (poi individuato come B); e 3) (poi individuato come C);
omettendo, dunque, di pronunciarsi sul restante reato sub D), contestato in udienza
Il giudice di appello – investito dei gravami dell’imputato, della parte civile e del
Pm (che aveva lamentato la riqualificazione dell’originaria imputazione sub A), di
cui aveva chiesto, in subordine, la configurazione ai sensi dell’art. 393 cod. pen., e
per l’appunto l’omessa pronuncia in ordine al capo D) – riformava la pronuncia

violenza privata consumata sub D), rideterminava la pena nei termini di giustizia.
1.2. Tanto premesso, balza evidente, per tabulas, l’omessa pronuncia da parte
del primo giudice in ordine al capo d’imputazione sub D) (violenza privata
consumata contestato all’udienza del 4 novembre 2009), in ordine al quale vi è,
stata, poi, statuizione di condanna in appello, ritenuto peraltro assorbito nello
stesso reato quello di tentata violenza privata di cui al capo A).
L’omessa pronuncia, da parte del primo giudice, inficiava di nullità la relativa
sentenza, che il giudice di appello era tenuto a rilevare (cfr. Sez. 2, n. 9534 del
13/02/2008, Rv. 239549: nel caso in cui il giudice di primo grado abbia omesso di
pronunciare su alcuni capi di imputazione, il giudice d’appello deve dichiarare la
nullità della sentenza impugnata limitatamente ai capi di imputazione sui quali è
mancata la pronunzia, e decidere nel merito sugli eventuali altri capi).
E’ ovvio che la ragione di nullità risiede nell’indebita soppressione di un
grado di giudizio in ordine al reato per il quale era mancata la delibazione del primo
giudice. Al mancato rilievo da parte della Corte distrettuale deve provvedersi in
questa sede, nel termini di cui in dispositivo.
E’, del pari, evidente che in un reato in ordine al quale vi era stata omessa
pronuncia in prime cure non avrebbe potuto ritenersi assorbito altro reato, quello
sub A), che, invece, avrebbe dovuto costituire oggetto di autonoma delibazione,
anche agli effetti del trattamento sanzionatorio.
Donde, l’ulteriore ragione di nullità della sentenza impugnata che implica
annullamento della stessa, nei termini di cui in dispositivo, affinché il competente
giudice di merito provveda alla pertinente valutazione in ordine al reato sub A).

2. Per quanto precede, occorre pronunciare come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di
cui al capo D) e rinvia per il giudizio in ordine al detto reato al Tribunale di
Catania.
4

impugnata e, ritenuto assorbito il delitto di tentata violenza privata in quello di

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Catania per nuovo esame in ordine al reato di cui al capo A).

Così deciso il 19/11/2015

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