Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 779 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 779 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BOCCHETTI LUIGI N. IL 31/05/1970
PREZIOSO GIUSEPPE N. IL 14/03/1978
LUCARELLI ANTONIO N. IL 03/01/1980
avverso l’ordinanza n. 4840/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
27/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
le/sentite le conclusioni del PG Dott. U-kod»Z mi o ct 4 ti- (
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 06/12/2013

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Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza resa in data 27.6.2013, il Tribunale del riesame di Napoli confermava
il provvedimento emesso il 20.4.2013 dal locale GIP (integrato il 30.4.2013), con il quale era
stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere:
– a Bocchetti Luigi, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. (capo 1) della rubrica);
– a Prezioso Giuseppe, per i reati di cui agli artt. 416 bis c.p. (capo 1) e 74 D.P.R. n.
309/90, 3 e 4 L. n. 146/06, 7 L. n. 203/91, 110, 81 cpv. c.p., 73-80 comma 1 lett. a), b), c) e

– a Lucarelli Antonio, per il reato di cui agli artt. 110, 81 cpv. c.p., 73 D.P.R. n. 309/90
e 7 L. n. 293/91 (capo 32).
Richiamata integralmente

per relationem l’ordinanza genetica nel suo contenuto

narrativo ed enunciati, in premessa, i criteri utilizzati per l’analisi degli elementi sottoposti al
suo vaglio, il Tribunale del riesame procedeva per ogni singolo indagato ad esporre le proprie
considerazioni sui presupposti applicativi della misura.
1.1. Sulla posizione del Bocchetti Luigi, venivano apprezzate le dichiarazioni
accusatorie, riprodotte per ampi brani, rese dai collaboratori di giustizia Capasso Carlo
(interrogatori al PM del 5.2, 25.3, 8.4, 25.4 e 6.5.2010) e Lombardi Vincenzo (interrogatorio al
PM del 4.5.2012), unitamente a quelle formulate dagli indagati di reato connesso Capasso
Antonio (interrogatorio al PM del 24.11.2010) e Capasso Giuseppe (interrogatorio al PM del
25.10.2010).
Ad avviso del Collegio, tali dichiarazioni, proprio perché frutto della personale
esperienza maturata dai singoli propalanti all’interno del clan camorristico Di Lauro, erano
caratterizzate da specifica attitudine rappresentativa, si rivelavano oggettivamente attendibili
per la coerenza e spontaneità del racconto, scevro da preordinati intenti calunniatori, e tutte
insieme generavano un corpo unico connotato da coesione ed assonanza.
Il risultato probatorio scaturito dalle fonti esaminate presentava il Bocchetti come uno
dei sodali di più elevata e qualificata vicinanza al capo clan, Di Lauro Vincenzo, tanto da essere
stato designato come “custode” della sua latitanza e fiduciario e portavoce presso gli altri
sodali.
La scheda individuale dell’indagato, richiamata in motivazione, riscontrava i rapporti dal
medesimo intrattenuti con noti affiliati sia nel rione denominato “Terzo mondo”, sia nei pressi
dell’esercizio pubblico “Bar Rispoli”, luogo di ritrovo dei sodali.
Sussistevano, dunque, nei suoi confronti, gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato
associativo sub 1).
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva di non poter apprezzare dati storici
rivelatori di una rescissione del vincolo associativo da parte del Bocchetti, capace di vincere la
presunzione normativa ex art. 275, comma 3, c.p.p. della esclusiva idoneità del carcere a
fronteggiare la sua pericolosità sociale.
1

comma 2 D.P.R. n. 309/90 e 7 L. n. 293/91 (capo 2);

1.2. Anche per la posizione del Prezioso Giuseppe il quadro indiziario era
essenzialmente imperniato su omologhe fonti dichiarative, costituite dalle propalazioni dei
sette collaboratori di giustizia Parolisi Andrea (interrogatorio al PM del 12.6.2007), Piana
Giovanni (interrogatorio al PM del 27.3.2008), Prestieri Maurizio (interrogatorio al PM
dell’11.7.2008), Pica Antonio (interrogatori al PM del 15.1 e 3.3.2009), Capasso Carlo
(interrogatori al PM del 10 e 12.3.2010), Esposito Salvatore (interrogatorio al PM del
4.11.2010) e Lombardi Vincenzo (interrogatorio al PM del 10.5.2012), nonché da quelle rese
dagli indagati di reati connessi Capasso Giuseppe (interrogatorio al PM del 25.11.2010) e

Accanto a tali dichiarazioni, il Tribunale del riesame apprezzava, quali significativi
elementi di riscontro, l’intercettazione ambientale captata il 24.12.2010 sull’autovettura
Renault Clio tg DA 301 HF di Volpicelli Daniele e quella effettuata nel carcere di Secondigliano il
20.1.2011 nel corso del colloquio intrattenuto da Tarantino Daniele con i familiari, entrambe
trascritte nelle parti d’interesse.
Ribadito il giudizio di attendibilità delle fonti dichiarative analizzate, per le medesime
ragioni apprezzate con riferimento al Bocchetti, il Collegio valutava convergenti gli elementi di
prova nel delineare la posizione centrale occupata dal Prezioso nella vita operativa del clan
investigato, sia nel ruolo di portavoce del boss Cosimo Di Lauro, sia in quello di primo
percettore dei proventi del traffico di droga, ruoli tramite i quali egli aveva fornito efficace
apporto al profilo gestionale ed affaristico dell’organizzazione.
Dovevano, quindi, ravvisarsi i gravi indizi di colpevolezza per entrambi i reati associativi
ascrittigli.
Quanto alle esigenze cautelari ed alla scelta della misura, i Giudici del riesame facevano
proprie le argomentazioni spese dal GIP e richiamavano quanto esposto sul tema a proposito
del Bocchetti.
1.3. Per Lucarelli Antonio, la prima fonte probatoria apprezzata era la videoregistrazione
di circa due ore e trenta di attività di cessione di stupefacenti effettuata il 19.6.2009 tramite le
telecamere installate dai Carabinieri del ROS sulla piazza di spaccio di crack e cocaina, sita in
via Miracolo e Milano (cfr. pagg. 405 e ss. O.C.C. GIP).
Le immagini documentavano il coinvolgimento nella illecita attività dell’indagato che,
unitamente a Riccio Francesco, riceveva l’ordinativo, ritirava il denaro e segnalava la cessione
ai detentori delle dosi, consegnando ai medesimi il denaro raccolto dall’acquirente.
Accanto al documento filmato, si ponevano, anche per il Lucarelli, le accuse provenienti
dalle fonti dichiarative, coincidenti con il collaboratore di giustizia Capasso Carlo e con gli
indagati di reati connessi Capasso Giuseppe e Capasso Antonio.
Tali fonti indicavano nel Lucarelli uno dei soggetti preposti alla verifica contabile degli
introiti del clan, gestore della piazza di droghe leggere ubicata nel rione “Terzo Mondo” e
custode della latitanza di Marco Di Lauro.

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Capasso Antonio (interrogatorio al PM del 2.12.2010).

Ulteriori elementi, significativi del coinvolgimento dell’indagato nel traffico di droga
gestito nell’interesse del clan Di Lauro, si desumevano dalle conversazioni tra presenti
intercettate 1’11.2, il 28.2 e il 24.3.2010 a bordo della vettura di Piscopo Pasquale.
Infine, a integrare il quadro indiziario soccorreva la videoripresa del 18.6.2009, che
collocava il Lucarelli con gli affiliati Tarantino Daniele e Rossi Massimo nei pressi dell’abitazione
di Zimbetti Angelo, dove poi sarebbe stata rinvenuta la documentazione contabile della
compagine criminosa.
Le molteplici evidenze raccolte permettevano di ritenere attinta la soglia della gravità

di immediata prossimità al vertice dell’associazione, doveva giudicarsi portatore di elevatissima
capacità delinquenziale e di “poderosa” pericolosità.
Era, quindi, ampiamente condivisibile dal Tribunale del riesame la scelta della misura di
massimo rigore operata dal Giudice della cautela.
2. Hanno proposto ricorso per cassazione avverso la summenzionata ordinanza, tramite
il comune difensore, Bocchetti Luigi, Lucarelli Antonio e Prezioso Giuseppe.
2.1. Bocchetti Luigi ha dedotto:
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, co. 1,
lett. b) e c), c.p.p., in relazione agli artt. 416 bis c.p., 125, co. 1 e 273, co. 1, c.p.p.;
– difetto di motivazione, consistente nella mancata indicazione dei gravi indizi di
colpevolezza, ex art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., in relazione agli artt. 416 bis c.p., 125, co. 1 e
273, co. 1, c.p.p.;
– mancanza o insufficienza della motivazione, ai sensi dell’art. 606, co. 1 lett. e), c.p.p.,
in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) c.p.p..
Quanto alla sussistenza del reato associativo, il ricorrente rilevava un profilo di
contraddittorietà nel provvedimento, laddove, dopo aver dato atto di una contestualizzazione
della sua presenza in coincidenza con la latitanza del Di Lauro Vincenzo (sino al marzo 2007),
aveva evidenziato la perdurante attualità della condotta di partecipazione al reato.
In realtà, il Bocchetti non poteva ritenersi un vero e proprio affiliato, avendo circoscritto
il proprio apporto alla latitanza di un boss e quindi a diversa fattispecie delittuosa (art. 378
c.p.).
Non confermate dagli altri propalanti, del resto, erano le dichiarazioni di Capasso
Antonio sui compiti ulteriori che avrebbe svolto l’indagato nell’interesse del gruppo (gestire il
denaro di Vincenzo Di Lauro) e quelle rese da Lombardi Vincenzo sul presunto apparentamento
con Russo Benedetto.
Sulle esigenze cautelari, il ricorrente lamentava disparità di trattamento rispetto ai
fratelli Iodice, per i quali il GIP aveva ritenuto venuto meno ogni legame con l’associazione dal
momento della cessazione della loro militanza nell’anno 2008 (il Bocchetti addirittura un anno
prima).

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indiziaria del reato di cui al capo 32) e delineare il profilo di un soggetto che, per la posizione

Il Tribunale, in ogni caso, aveva omesso di rispondere a tutte le doglianze difensive
dedotte.
2.2. Prezioso Giuseppe ha denunciato:
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, co. 1,
lett. b) e c), c.p.p., in relazione agli artt. 416 bis c.p., 74 D.P.R. n. 309/90, 125, co. 1 e 273,
co. 1, c.p.p.;
– difetto di motivazione, consistente nella mancata indicazione dei gravi indizi di
colpevolezza, ex art. 606 co. 1 lett. e) c.p.p., in relazione agli artt. 416 bis c.p., 125, co. 1 e

Il Tribunale aveva erroneamente privilegiato il dato quantitativo legato al numero dei
dichiaranti a discapito di quello qualitativo del contenuto delle dichiarazioni, peraltro
concernenti fatti risalenti alla prima faida già apprezzati dall’A.G. e confluiti nella sentenza di
condanna emessa dal GIP di Napoli il 4.4.2006, divenuta irrevocabile.
I Giudici del riesame non avevano risposto alle censure dedotte nella memoria difensiva
sulle contraddizioni dei propalanti, fondando sulla sola somma algebrica del loro numero una
convinta prognosi di condanna.
Inoltre, gli stessi giudici avevano male interpretato il contenuto delle due conversazioni
intercettate nel 2010 e nel 2011, per averlo estrapolato da dialoghi ben più articolati.
Nella prima, captata sulla vettura Renault Clio il 24.12.2010, emergeva dalle parole del
Volpicelli, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, che nessun ruolo di vertice era
attribuito al Prezioso nell’attualità, così come, nella seconda, registrata in carcere, veniva
indicato quale unico referente per la risoluzione delle pendenze economiche di Tarantino
Daniele non il Prezioso, ma il Montenero Vincenzo, detto “o’ Moschillo”.
Il silenzio della motivazione dell’organo del riesame sul punto, non consentiva, poi, di
comprendere in quale delle due contestate associazioni criminose il Prezioso dovesse collocarsi.
Le fonti dichiarative avevano limitato il loro apporto cognitivo al ricordo
dell’agevolazione fornita nel 2004 dal Prezioso alla latitanza di Cosimo Di Lauro, nulla
aggiungendo sul coinvolgimento del ricorrente in vicende legate al traffico di droga.
Il concorso tra le due figure delittuose, accettata dal Tribunale al punto di legittimare
l’estensione del coacervo indiziario sussunto per uno solo dei reati-mezzo anche all’altro, non
poteva, tuttavia, prescindere dalla propensione individuale alla realizzazione dei delitti-scopo
caratterizzanti i due distinti reati.
Viceversa, nessuna attività ricompresa nel programma dell’associazione mafiosa veniva
descritta come espletata dai suoi sodali.
Né il richiamo a precedenti giudicati sull’esistenza del clan Di Lauro nelle forme
delineate dall’art. 416 bis c.p. costituiva argomento valido per estendere strumentalmente
anche questo addebito a coloro che erano subentrati nella gestione e conduzione delle sole
attività di spaccio di stupefacenti.

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273, co. 1, c.p.p..

Quanto all’ aggravante di capo/promotore contestata al Prezioso, si evidenziava che
nelle dichiarazioni dei collaboranti nessun riferimento era dato rinvenire a condotte successive
alla scarcerazione del ricorrente, risalente al 2009, tali da dimostrarne la partecipazione alle
vicende del consesso indagato.
2.3. Lucarelli Antonio ha dedotto:
– mancanza della motivazione, ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., in relazione
all’art. 192 c.p.p. e alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 73

– mancanza o insufficienza della motivazione, ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. e) c.p.p.,
in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c), c.p.p..
Nella parte iniziale del ricorso si stigmatizza che i Giudici del riesame, nell’adottare la
tecnica motivazionale per relationem all’ordinanza cautelare, ne abbiamo mutuato il medesimo
risultato inferenziale di desumere la condotta delittuosa ascritta al Lucarelli di procacciare lo
stupefacente agli acquirenti e incassarne i corrispettivi dalle videoriprese del 19.6.2009, “il solo
asse portante dell’impianto accusatorio”.
Nella parte seguente del ricorso si rileva che, “a ben vedere”, l’ordinanza del Tribunale,
in realtà, non tanto era fondata sul documento filmato, quanto sulle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, che, tuttavia, consentivano solo di acclarare la partecipazione del
Lucarelli all’associazione finalizzata al narcotraffico per la quale il predetto risultava già
condannato.
Posto che i fatti del 19.6.2009 erano già stati definiti e valutati, in altra sede, nel più
ampio ambito del reato associativo, mancava, nel provvedimento impugnato, una motivazione
capace di circoscrivere la condotta del ricorrente nell’alveo dell’autonoma imputazione
rubricata al capo 32.
Censurabile, infine, era l’automatismo in base al quale il Collegio del riesame dalla
sentenza che aveva attestato la partecipazione del Lucarelli al clan camorristico Di Lauro aveva
fatto discendere la presunzione di pericolosità del predetto, invece di ricavarla dal singolo
delitto-scopo.
In ogni caso, la sola lettura dell’art. 274 c.p.p. permetteva di escludere la sussistenza di
qualsivoglia esigenza cautelare nei confronti del ricorrente.

Considerato in diritto

I ricorsi sono infondati e vanno, dunque, respinti.
1. Nell’interesse di Bocchetti Luigi si contesta, anche sotto il profilo della violazione di
legge, la compiutezza e la logicità della motivazione della decisione impugnata quanto alla
sussistenza della gravità indiziaria del reato di cui all’art. 416 bis c.p. (l’unico ascrittogli) e
delle esigenze cautelari di prevenzione speciale.

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D.P.R. n. 309/90;

In relazione ai requisiti previsti dall’art. 273 c.p.p., si assume che l’apporto fornito dal
Bocchetti alla latitanza del capo-clan dell’epoca Di Lauro Vincenzo – fatto materiale
pacificamente ammesso dalla difesa – sarebbe sussumibile nella fattispecie di favoreggiamento
ex art. 378 c.p. e non in quella più grave associativa.
Lo stesso ricorrente, tuttavia, incorre in una palese contraddizione quando riconosce (v.
pag. 4 ric.) che “l’azione rivolta all’agevolazione della latitanza del capo-clan è strumentale al

gruppo stesso e permette che di riflesso ne benefici oltre al singolo anche la struttura illecita

quella svolta dal Tribunale del riesame, che ha correttamente evidenziato come il particolare e
delicato ruolo svolto, in modo continuo, dal Bocchetti negli anni 2006-2007 quale “custode”
della latitanza del boss e suo portavoce presso gli altri affiliati, avesse rivelato con “intensa
attitudine dimostrativa” il livello di intraneità dell’indagato nella consorteria criminale
investigata (p. 30 ordinanza).
Né il ricorrente mette in dubbio l’attendibilità soggettiva e oggettiva dei collaboratori di
giustizia (v. pag. 2 ric.), le dichiarazioni dei quali hanno fondato l’impianto indiziario valorizzato
dal G.I.P. partenopeo e confermato nella sede incidentale.
Si appalesa, dunque, infondata la censura di carenza di motivazione (e violazione di
legge) quanto all’invocata sussistenza del reato di favoreggiamento, discendendo l’esclusione
di detta tipologia di reato quale implicita e necessaria conseguenza della ritenuta e ben
motivata ravvisabilità di tutt’altra fattispecie diversamente strutturata e connotata (art. 416 bis
c.p.).
Non potrebbe, del resto, influire sulla ravvisabilità, a carico del Boschetti, dell’ipotesi
associativa de qua l’eventuale circostanza, dedotta dalla difesa, del suo presunto recesso dalla
compagine criminale a partire dal 2007, utilizzata anche per contestare le esigenze cautelari.
Anche se si ammettesse la fondatezza del rilievo in punto di fatto, dovrebbe, comunque,
ritenersi consumato il reato permanente ascrittogli almeno fino al marzo 2007 (termine della
latitanza del Di Lauro).
Quanto alla confermata sussistenza, da parte dell’organo del riesame, delle esigenze di
cui all’art. 274 c.p.p., si ricorda che, nei confronti dell’indagato del delitto di associazione di
tipo mafioso (art. 416 bis), l’art. 275, co. 3, c.p.p. pone una presunzione di pericolosità sociale
che può essere superata solo quando sia dimostrato che l’associato ha stabilmente rescisso i
suoi legami con l’organizzazione criminosa, con la conseguenza che al giudice di merito
incombe l’esclusivo onere di dare atto dell’inesistenza di elementi idonei a vincere tale
presunzione. Ne deriva che la prova contraria, costituita dall’acquisizione di elementi dai quali
risulti l’insussistenza delle esigenze cautelari, si risolve nella ricerca di quei fatti che rendono
impossibile (e perciò stesso in assoluto e in astratto oggettivamente dimostrabile) che il
soggetto possa continuare a fornire il suo contributo all’organizzazione per conto della quale ha
operato, con la conseguenza che, ove non sia dimostrato che detti eventi risolutivi si sono
verificati, persiste la presunzione di pericolosità (Sez. 5, Sentenza n. 48430 del 19/11/2004,
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governata dal Di Lauro”, operando, così, una considerazione esattamente sovrapponibile a

Grillo, Rv. 231281; Sez. 2, Sentenza n. 45525 del 20/10/2005, P.M. in proc. Russo, Rv.
232781; Sez. 2, Sentenza n. 305 del 15/12/2006, dep. 10/1/2007, Comisso, Rv. 235367; Sez.
6, Sentenza n. 46060 del 14/11/2008, Verolla, Rv. 242041; Sez. 5, Sentenza n. 24723 del
19/5/2010, Frezza Rv. 248387).
Si rammenta, inoltre, che, per quanto concerne il reato associativo in questione,
l’elemento “decorso del tempo” può essere utilmente valutato ai fini di superare la presunzione
di sussistenza delle esigenze cautelari solamente se e da quando risulti che l’indagato è

quo, non è infatti determinante la circostanza che i gravi indizi risalgano nel tempo, perché la
data di questi ultimi non equivale a quella della cessazione della consumazione del reato
associativo (Sez. 6, Sentenza n. 1330 del 10/4/1998, Proc. Rep. in proc. Darione G., Rv.
210537; Sez. 3, Sentenza n. 30306 del 10/7/2002, Sabatelli G. ed altri, Rv. 223361; Sez. 2,
Sentenza n. 21106 del 27/4/2006, Guerini ed altro, Rv. 234657).
In applicazione di tali principi, il Tribunale del riesame di Napoli ha correttamente
concluso circa l’inesistenza di dati storici rivelatori del recesso, da parte del ricorrente, del
vincolo che lo legava al clan Di Lauro, documentando, anzi, attraverso il richiamo agli esiti dei
servizi di controllo sul territorio eseguiti dalla P.G. (pagg. 30-31 con riferimento alla pag. 572
– e non 575 – del provvedimento genetico), la frequentazione, da parte del Bocchetti, di
numerosi affiliati presso il rione “Terzo Mondo” ed il bar “Ruspoli” (noto luogo di ritrovo del
clan) ancora negli anni 2008 e 2009, a dimostrazione della persistenza del vincolo ben oltre il
termine indicato nel ricorso e, conseguentemente, della presunzione di pericolosità del
predetto.
Manifestamente infondata, infine, la doglianza dedotta in ricorso circa la presunta
disparità del trattamento riservato dal GIP di Napoli al Bocchetti rispetto a quello applicato ai
fratelli Iodice, per i quali si era ritenuto dimostrato il recesso dal clan Di Lauro a far data dal
2008.
Invero, a norma dell’art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., i vizi di legittimità del
provvedimento sono sempre interni ad esso, con la conseguenza che non hanno alcun rilievo,
sotto il profilo del vizio di motivazione o di qualsiasi altro tipizzato profilo di ricorso di
legittimità ex art. 606 c.p.p., la disparità di trattamento o il contrasto di giudizi con altro caso
più o meno analogo (Sez. 1, Sentenza n. 4875 del 19/12/2012, dep. 31/1/2013, Abate e altri,
Rv. 254193).
2. Nell’interesse di PREZIOSO Giuseppe, si contesta, sotto il duplice profilo della
violazione di legge e della compiutezza e logicità della motivazione, la sussistenza della gravità
indiziaria quanto alla contestata partecipazione alle due associazioni a delinquere, quella di
stampo mafioso denominata clan Di Lauro, e quella finalizzata al traffico di stupefacenti.
2.1. Con riferimento al tema della gravità indiziaria relativa al reato di cui all’art. 416
bis c.p., deve, anzi tutto, ritenersi priva di fondamento la censura che pretende l’insufficienza
dimostrativa delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia per avere essi fatto riferimento a
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receduto dall’associazione o che la stessa sì è sciolta. Data la natura permanente del reato de

periodi antecedenti al 2007 e legati alla “gestione Cosimo Di Lauro”, concernenti fatti già
trattati in altro procedimento definito con sentenza di condanna irrevocabile.
Il Tribunale ha, infatti, valorizzato non solo le propalazioni relative alle vicende occorse
sotto la più risalente leadership di Cosimo Di Lauro (dichiarazioni rese da Parolisi Andrea al PM
il 12.6.2007; da Prestieri Maurizio al PM 1’11.7.2008; da Pica Antonio al PM il 15.1.2009 e il
3.3.2009), ma anche quelle successive alla scarcerazione del Prezioso, datata 2008,
(dichiarazioni rese da Capasso Carlo al PM il 10.3.2010 e il 12.3.2010; da Esposito Salvatore al
PM il 4.11.2010; dall’indagato di reato connesso Capasso Giuseppe al PM il 25.11.2010;

Vincenzo il 10.5.2012), allo scopo di dimostrare il ruolo centrale rivestito dall’indagato, fino
all’attualità, nell’ambito del clan Di Lauro, con particolare riguardo alla gestione del traffico di
droga.
Il Collegio de libertate ha evidenziato come tutte le menzionate fonti dichiarative
abbiano concordemente definito il ricorrente quale esponente di spicco del clan Di Lauro (curò
la latitanza di Cosimo Di Lauro, di cui era portavoce presso gli altri affiliati), desumendo da
quelle escusse più di recente, tra il 2010 ed il 2012, gli elementi da cui inferire, dopo un breve
periodo di “accantonamento”, la riconquistata assunzione di posizione apicale da parte del
Prezioso in conseguenza della raffica di arresti che, tra il 2010 e il 2011, decimarono il clan
(dichiarazioni di Lombardi Vincenzo trascritte a pag. 36 ord.).
Siffatte informazioni, lungi dal costituire, come vorrebbe il difensore del ricorrente, una
mera “somma algebrica” vuota di contenuto, proprio perché plurime, convergenti e provenienti
anche da fonti estranee al nucleo familiare dei Capasso – sì da escludere censure di
“circolarità” – sono state utilizzate in modo appropriato dall’organo del riesame; inoltre, le
stesse hanno ricevuto riscontro dalle due conversazioni ambientali captate, l’una, il
24.12.2010 all’interno dell’autovettura Renaul Clio tg DA301HF tra l’affiliato Diego Volpicelli e
tale Raffaele, l’altra, il 20.1.2011 nella sala colloqui dell’istituto penitenziario di Secondigliano
tra l’affiliato Daniele Tarantino e alcuni familiari (i brani sono trascritti alle pagg. 37-42
dell’ordinanza impugnata), valorizzate dai Giudici in conformità ai criteri prescritti dall’art. 192
c.p.p. e in coerenza logica con il contenuto per inferirne la conferma della posizione di spicco
rivestita negli anni più recenti dal ricorrente, cui gli affiliati dovevano rivolgersi, tra l’altro, per
regolare e risolvere rilevanti questioni economiche pendenti con i principali fornitori di cocaina
del clan (nella conversazione riportata nell’ordinanza impugnata si fa riferimento a Michele
Papi, creditore della somma di 100.000,00 euro per pregresse fornitore di cocaina che,
attraverso l’intervento del Prezioso, alias Peppe ‘a Befana, dovrà essere soddisfatto).
2.2. La censura dedotta dalla difesa dell’indagato secondo la quale il Tribunale
partenopeo avrebbe “stravolto” il contenuto delle indicate conversazioni non può trovare
ingresso in questa sede, perché mira ad ottenere dalla Corte di legittimità – in presenza di una
motivazione congrua e non manifestamente illogica – una non consentita rilettura degli

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dall’indagato di reato connesso Capasso Antonio al PM il 2.12.2010; dal collaborante Lombardi

elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
2.3. Analogamente infondata è la censura relativa alla inconsistenza dell’apporto
probatorio fornito dai collaboranti quanto al coinvolgimento del Prezioso in vicende connesse al
narcotraffico, sì da giustificare il compendio indiziario a sostegno del contestato reato di cui
all’art. 74 D.P.R. n. 309/90.
Sul tema del concorso tra i due reati associativi in questione, il Tribunale del riesame ha
sviluppato alcune considerazioni di carattere generale, per poi applicarle alla specifica

Dal momento che, come già dimostrato sul piano giudiziario (nella richiamata ordinanza
del GIP si fa riferimento, a pag. 52, alla condanna comminata nei confronti di Di Lauro Paolo ed
altri dal Tribunale di Napoli con sentenza del 17.5.2006, confermata anche da questa Corte con
la decisione n. 17702/2010), il traffico di stupefacenti rappresenta una “divisione” dell’attività
delittuosa del clan (unitamente alla commissione di reati di omicidio, di porto e detenzione
illegali di armi da guerra e comuni da sparo, organizzazione e gestione di attività di
scommesse su eventi sportivi) e che esso è gestito da una compagine caratterizzata da tale
finalità, costituita e diretta dai componenti dell’associazione camorristica, ne consegue secondo il Collegio napoletano – che costoro rispondono di entrambe le fattispecie associative,
alla cui verificazione la loro condotta fornisce un contributo causale, non solo per il fatto
dell’associazione, ma anche per la direzione della stessa e per l’assicurazione delle protezioni
necessarie all’esercizio del traffico illecito.
Appare, francamente, fuori luogo il rilievo critico mosso dalla difesa del ricorrente
all’organo del riesame, il cui “mutismo” sull’argomento non avrebbe consentito addirittura di
comprendere in quale contesto associativo si esplicasse la condotta contestata al Prezioso.
A pag. 42 dell’impugnata ordinanza il Collegio afferma chiaramente che le emergenze
probatorie utilizzate convergono nel delineare la posizione “grandemente, dinamica e centrale”
nella vita operativa del clan Di Lauro occupata dal Prezioso Giuseppe, in modo funzionale alla
“vitalità gestionale e affaristica (commercio di droga)” di quella compagine e “nel cerchio di
immediata prossimità al nucleo verticistico e direzionale del gruppo”.
Con riferimento specifico al coinvolgimento del ricorrente nell’associazione finalizzata al
narcotraffico, è più che sufficiente la valorizzazione, da parte dei Giudici de libertate, della già
citata intercettazione ambientale, in cui l’affiliato detenuto Daniele Tarantino – definito,
nell’altra conversazione valorizzata, dal sodale Diego Volpicelli “quello che si interessava della
droga” (pag. 39 ordinanza impugnata) – appreso dai suoi familiari che i nuovi responsabili,
dopo i numerosi arresti subìti dal gruppo, erano Peppe ‘a befana e Russo Benedetto, li
incaricava di rivolgersi al Prezioso per provvedere al pagamento dei 100.000,00 euro dovuti a
Papi Michele, fornitore di cocaina del clan (cui il GIP dedica l’intero capitolo 23 del
provvedimento genetico, dal titolo: “Le forniture di cocaina garantite al clan da Michele Papi e
dall’agente della Polizia penitenziaria Francesco Sorrentino” – pagg. 223 ss.).
9

organizzazione criminale denominata clan Di Lauro.

2.3.1. In tal modo l’ordinanza impugnata assolve agli oneri valutativi e motivazionali, di
cui era gravata, per ritenere sussistenti entrambe le fattispecie criminose associative e si pone
in consapevole continuità con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa Corte
sulla possibilità di concorso fra i reati di associazione per delinquere, anche di tipo mafioso, ed
il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (Cass.,
Sez. 2, sent. n. 36692 del 22/5/2012, Abbrescia ed altri, Rv. 253892; S.U., sent. n. 1149 del
25/9/2008, dep. 13/1/2009, Magistris, Rv. 241833; Sez. 6, sent. n. 4651 del 23/10/2009,

ed altri, Rv. 247059).
Nelle pronunce citate si è affermato che tale possibilità di concorso si giustifica in
quanto i reati associativi de quibus presentano una differente oggettività in relazione ai beni
giuridici protetti, che risultano in parte diversi, nel senso che tutte le norme incriminatrici dei
delitti associativi tutelano l’ordine pubblico, mentre quella di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309/90
salvaguarda in più anche la salute individuale e collettiva contro i pregiudizi derivanti
dall’assunzione degli stupefacenti e dalla loro diffusione.
Si è, dunque, concluso che, se un’associazione venga costituita al solo scopo di operare
nel settore del traffico degli stupefacenti, gli appartenenti non possono subire punizione a
doppio titolo secondo quanto previsto dalle due norme incriminatrici, mentre se l’associazione
ha lo scopo di commerciare in droga e di commettere anche altri reati, è ben possibile che gli
agenti vengano puniti per la loro partecipazione ad entrambe le consorterie. Pertanto, così
come coloro che, già affiliati a cosca di tipo mafioso, costituiscano e dirigano un’associazione
finalizzata al narcotraffico, che diviene una branca dell’attività del sodalizio mafioso,
concorrono anche nel secondo reato per avere con la loro condotta offerto un contributo
causale determinante per la sua esistenza, gestione e concreta operatività grazie all’appoggio,
alla protezione, ai mezzi ed uomini forniti, altrettanto va detto in riferimento alla posizione di
quanti operino esclusivamente nell’ambito del traffico di stupefacenti, quando siano
consapevoli che questo è gestito e diretto dall’associazione di tipo mafioso. Costoro, quindi,
concorrono anche in questo reato associativo per il fatto di contribuire causalmente alla
realizzazione di una delle finalità tipiche della consorteria criminale; ne segue che la prova
dell’affiliazione ad una delle due associazioni influisce sulla prova dell’adesione all’altra, con la
conseguenza che gli affiliati dell’una devono ritenersi affiliati anche all’altra compagine
associativa, sebbene la sussistenza dei due reati sia ancorata a presupposti diversi, che a tal
fine devono essere tutti specificamente provati per ciascuno di essi.
2.4. Le considerazioni che precedono rivestono carattere assorbente rispetto alla
censura afferente all’aggravante di capo/promotore contestata al ricorrente (pagg. 13-14 del
ricorso), in quanto fondata sugli stessi argomenti già esaminati con riferimento alle due
fattispecie associative in discussione.
3. Nell’interesse di LUCARELLI Antonio, si contesta sotto il profilo della compiutezza
della motivazione la sussistenza della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari.
10

dep. 3/2/2010, Bassano ed altri, Rv. 245875; Sez. 1, sent. n. 17702 del 21/1/2010, Di Lauro

Secondo la tesi del difensore del ricorrente, il provvedimento impugnato avrebbe
confermato il titolo cautelare genetico non tanto sulla base delle videoriprese, quanto sulla
base delle propalazioni dei collaboratori di giustizia, che, tuttavia, permetterebbero, semmai, di
dimostrare l’intraneità del Lucarelli all’associazione finalizzata al narcotraffico ex art. 74 D.P.R.
n. 309/90, reato per il quale l’indagato risulta già condannato: si duole, quindi, il difensore che
l’organo del riesame abbia, in sostanza, desunto la gravità indiziaria del reato di cui all’art. 73
D.P.R. n. 309/90 rubricato al capo 32) da quella concernente il reato-mezzo.
La censura è radicalmente infondata, oltre che contraddittoria.

ricorso, ha riconosciuto nelle videoriprese l’ “unica fonte di prova dell’episodio in
contestazione”), il Tribunale del riesame ha, in modo corretto e logico, fondato la valutazione
di gravità indiziaria sull’esame della videoregistrazione effettuata il 19.6.2009, per circa due
ore e trenta minuti, dalle telecamere installate nella “piazza di spaccio”, che hanno monitorato
una continua attività di cessione di sostanze stupefacenti, riprendendo le autovetture dei clienti
e gli scambi di droga contro denaro reiteratamente susseguitisi; in tale contesto illecito, la
funzione del Lucarelli Antonio è consistita, come quella di Riccio Francesco, nel ricevere
l’ordinativo, ritirare il denaro, segnalare la cessione ai detentori delle dosi e consegnare a
costoro il denaro raccolto dall’acquirente.
Il richiamo alle numerose propalazioni del collaboratore di giustizia Capasso Carlo
(interrogatori al PM del 5.2.2010, 18.2.2010, 12.4.2010, 23.4.2010, 7.5.20120, 14.6.2010,
23.6.2010) e degli indagati di reati connessi Capasso Giuseppe (interrogatori al PM del
25.11.2010 e 10 dicembre 2010) e Capasso Antonio (interrogatori al PM del 24.11.2010,
2.12.2010, 6.12.2010, 28.3.2011 e s.i. dell’11.3.2012) ed alle captazioni effettuate
sull’autovettura di Piscopo Pasquale 1’11.2.2010, il 25.2.2010, il 21.3.2010 e il 24.3.2010, è
stato utilizzato dai Giudici del riesame sia per corroborare il quadro indiziario – per la verità già
solido – relativo al reato ascritto al Lucarelli al capo 32), sia per delineare, in funzione delle
esigenze cautelari di prevenzione speciale, il ruolo di primo piano svolto dall’indagato nella
gestione delle “piazze di spaccio” secondo gli interessi del clan Di Lauro, il livello di affiliazione
fiduciaria dal medesimo raggiunto all’interno della consorteria criminale (le fonti labiali hanno
indicato nel Lucarelli uno dei soggetti preposti alla verifica contabile degli introiti del clan,
gestore della piazza di droghe leggere ubicata nel rione “Terzo Mondo” e custode della latitanza
di Marco Di Lauro), e, di conseguenza, la sua elevata pericolosità sociale, contenibile
esclusivamente con la misura più afflittiva.
Il ragionamento seguito su tale ultimo tema dal Collegio partenopeo è scevro da vizi
logico-giuridici e coerente con le risultanze processuali, sicché non si comprende la ragione
della censura mossa dal ricorrente a proposito di presunti “automatismi” di valutazione,
condizionati dalla “presa in prestito” delle esigenze cautelari da altro procedimento a carico del
Lucarelli e “solo perché affiliato al clan Di Lauro” (come se il rischio di recidiva non
discendesse anche dai precedenti penali e giudiziari dell’indagato e dalla gravità degli stessi).
11

Ed invero, come paradossalmente evidenziato dallo stesso difensore (che, a pag. 16 del

Trawnessa cp ez art. 23
1 cr L. 8-8-9j r. 332

n-.

fic2rna, lì

I

0 6EN. 2014

4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. c.p.p.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2013

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