Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 778 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 778 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NATALE MASSIMO N. IL 24/05/1977
NATALE FRANCESCO N. IL 11/01/1974
MINICHINO RAFFAELE N. IL 13/12/1982
MUSOLINO SALVATORE N. IL 28/07/1981
avverso l’ordinanza n. 5044/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
03/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
let4e/sentite le conclusioni del PG Dott. etio.s£1 Luz c< AL-LI

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Data Udienza: 06/12/2013

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Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza resa in data 3.7.2013, il Tribunale del riesame di Napoli confermava il
provvedimento emesso in data 20.4.2013 (con integrazione del 30.4.2013) dal locale GIP, con
il quale era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere a Natale Massimo,
Natale Francesco, Minichino Raffaele e Musolino Salvatore in relazione ai delitti di cui agli artt.
416 bis c.p. (capo 1 della rubrica) e 74 D.P.R. n. 309/90 (capo 2), nonché, per il solo Natale

Nella parte iniziale della motivazione, il Tribunale del riesame richiamava per relationem
l’ordinanza del GIP nella parte incentrata sull’esistenza e l’operatività del clan camorristico “Di
Lauro”, la cui stabile ed organizzata attività di spaccio di sostanze stupefacenti nella zona
settentrionale di Napoli costituiva ormai dato giudiziario notorio, in quanto accertato in
numerosi provvedimenti giurisdizionali, anche recenti.
Nell’ordinanza sottoposta al vaglio del riesame veniva dedicata un’intera sezione
all’organizzazione di tale attività illecita, con ampio spazio per le propalazioni dei collaboratori
di giustizia Capasso Antonio, Capasso Giuseppe, Capasso Carlo, Esposito Salvatore e Lombardi
Vincenzo, convergenti nella descrizione di un sistema gerarchico predeterminato nei minimi
particolari ed incentrato sulla suddivisione del territorio coperto da plurime “squadre” di
spacciatori, definite in gergo “paranze”.
Il chiarimento della strutturazione operativa delle attività di narcotraffico gestite dal
clan Di Lauro, secondo i Giudici del riesame, era di fondamentale importanza per dimostrare la
coesistenza in capo ai medesimi indagati di entrambe le associazioni contestate ai capi 1) e 2)
della rubrica.
I Giudici risolvevano positivamente il tema dell’attendibilità dei dichiaranti, ricordando,
in primo luogo, come le propalazioni della maggior parte di costoro avessero costituito
imprescindibile fondamento probatorio di numerosi provvedimenti giudiziari e, in secondo
luogo, evidenziando come si fossero sostanziate anche in dichiarazioni autoaccusatorie su fatti
non ancora noti agli inquirenti.
Inoltre, l’esame complessivo delle dichiarazioni rese dai collaboranti – di particolare
pregnanza poiché provenienti da soggetti intranei sia al clan Di Lauro che a quello
contrapposto degli “scissionisti” – consentiva di affermare la sostanziale coerenza intrinseca ed
estrinseca del narrato e la convergenza dei riferimenti offerti, nonché la loro rispondenza a
quanto risultava dagli ulteriori elementi obiettivi emersi dalle indagini, costituiti dagli esiti di
intercettazioni telefoniche e ambientale, servizi di osservazione e videoripresa, arresti e
sequestri.
Sulle quasi sovrapponibili posizioni di Natale Massimo e Natale Francesco, il Tribunale
del riesame valorizzava sul piano indiziario le chiamate di correo dei tre collaboratori di
giustizia Capasso Carlo, Capasso Antonio e Capasso Giuseppe, corroborate da individuazioni
fotografiche.
1

Francesco, anche per il reato di cui agli artt. 73 D.P.R. n. 309/90 e 7 L. n. 203/1991 (capo 33).

Tali dichiarazioni, rese nel 2010, ascrivevano ai due Natale il ruolo di stabili addetti allo
spaccio (Natale Francesco anche con il successivo ruolo di controllore dei pusher) presso la
“piazza” delle droghe leggere di via Praga Magica, mediante il quale non solo assicuravano un
costante ed apprezzabile contributo al gruppo organizzato sub 2), ma, al contempo, tenuto
conto della peculiare strutturazione delle “piazze” di spaccio – imperniate su un’organizzazione
precisa e gerarchizzata dell’attività, assistita dalla forza militare delle ronde preposte al
controllo del territorio – dimostravano la loro consapevole partecipazione anche al sodalizio di

Riscontravano le dichiarazioni dei collaboranti: i controlli sul territorio dei Natale in
compagnia di affiliati al clan; gli arresti per reati di spaccio operati il 18.2.2011 e, da ultimo, il
2.2.2013; quanto al Natale Francesco, anche il fatto di aver subito il 6.1.2010 un’aggressione
da parte di “scissionisti” presso un esercizio commerciale di via Camposanto e i risultati delle
videoriprese che avevano documentato il suo immediato subentro nell’attività di spaccio a
taluni sodali arrestati (si tratta di Niola Andrea, Quadretti Antonio ed Albano Salvatore), a
testimonianza di una continuità dell’attività di spaccio nell’interesse del clan.
A carico del Minichino Raffaele venivano valorizzate le dichiarazioni accusatorie rese da
Capasso Antonio e Lombardi Vincenzo, riscontrate dai numerosi controlli effettuati dalla P.G. in
piena notte nel rione “Terzo Mondo”, piazza di spaccio di cocaina e crack, nel corso dei quali il
Minichino era stato trovato in compagnia di altri affiliati al clan.
A carico di Musolino Salvatore, preposto prima allo spaccio di crack e cocaina e quindi a
funzioni di “ronda armata”, venivano valorizzate le chiamate di correo rese da Capasso Carlo
ed Esposito Antonio, riscontrate, come per i correi, dai controlli di P.G. che registravano il suo
accompagnarsi con i sodali dell’associazione camorristica.
Tenuto conto della natura del reato associativo sub 1), il Tribunale del riesame
selezionava per tutti gli indagati, in ossequio al disposto di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p., la
misura di massimo rigore, in mancanza di elementi capaci di vincere la presunzione di
sussistenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p..
L’intraneità dei predetti ad associazioni criminali dedite alla continua commissione di
gravi reati e in attuale piena operatività costituiva indice ulteriore della loro pericolosità
sociale.
Inoltre, i due Natale e Musolino Salvatore risultavano gravati da numerosi precedenti
penali per violazione della legge sugli stupefacenti.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale napoletano hanno proposto ricorso Natale Massimo,
Natale Francesco, Minichino Raffaele e Musolino Salvatore, tramite il comune il difensore,
deducendo:
“Violazione di legge. Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 273,
274 c.p.p., 416 bis c.p., 73, 74 D.P.R. n. 309/90, art. 7 L. n. 203/91. Motivazione carente,
illogica e contraddittoria in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle
esigenze cautelari”.
2

stampo mafioso cui al capo 1) della rubrica.

Sul tema della coesistenza dei reati associativi ascritti ai capi 1) e 2), il Tribunale del
riesame aveva erroneamente fatto ricorso ad una sorta di automatismo per il quale, una volta
acclarata la sussistenza del quadro indiziario in relazione ad una delle fattispecie, doveva
ritenersi allo stesso tempo sussistente il quadro indiziario grave anche per l’altra.
Il Collegio aveva esaurito la propria analisi sostenendo che gli indagati avrebbero
operato esclusivamente nell’ambito del traffico degli stupefacenti, senza chiarire in base a quali
elementi si sarebbe dimostrata la loro consapevolezza della gestione, da parte dell’associazione
camorristica, del traffico di stupefacenti e la loro volontà di aderire all’associazione camorristica

Doveva, quindi, quanto meno escludersi la configurabilità a carico dei ricorrenti del
reato di cui all’art. 416 bis c.p..
Il Tribunale, inoltre, non aveva motivato in modo logicamente adeguato circa
l’attendibilità dei collaboranti.
Anche senza voler considerare l’eventualità di una genesi comune delle informazioni
fornite dai fratelli Capasso, il Collegio del riesame non aveva rilevato l’assoluta genericità delle
loro dichiarazioni, prive di riferimenti temporali e dell’indicazione dell’origine delle informazioni
stesse, ovvero se apprese per conoscenza diretta o de relato.
Quanto alla posizione del Natale Massimo, contraddittorio con l’ipotesi accusatoria
appariva il narrato del Capasso Carlo sulla circostanza che l’indagato, dopo un breve periodo,
fosse stato allontanato dal ruolo di spacciatore perché assuntore egli stesso di stupefacenti,
quindi ritenuto inaffidabile.
Né validi riscontri esterni alla ricostruzione dei collaboranti potevano trarsi dai controlli
di P.G. o dagli arresti e condanne subìti per violazione della legge sugli stupefacenti.
In ordine al reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/90 ascritto al solo Natale Francesco, il
Tribunale non aveva valutato che le videoriprese avevano documentato solamente la sua
presenza nel luogo dove si riteneva venisse svolta attività di spaccio, né detta attività poteva
essere affidata a un solo soggetto, avendo gli stessi collaboratori parlato di “paranze”
composte di più uomini.
Inadeguata, ancora, era la motivazione sulla sussistenza dell’aggravante ex art. 7 L. n.
203/91 con particolare riguardo alla consapevolezza in capo all’indagato di agevolare il clan “Di
Lauro”.
Anche le dichiarazioni accusatorie rese a carico di Minichino Raffaele dai collaboranti
Capasso Antonio e Lombardi Vincenzo peccavano di genericità, non riferendo fatti specifici, né
indicazioni temporali.
Inoltre, i collaboranti si contraddicevano sull’indicazione della “piazza” di spaccio dove
collocare il Minichino (rione di Fiori per lo spaccio di cocaina e crack, indicata dal Capasso;
rione “Terzo Mondo” per lo spaccio di droghe leggere indicata dal Lombardi) e il Lombardi
indicava un luogo di residenza dell’indagato diverso e distante da quello effettivo (via Barbiere
di Siviglia invece di via Monterosa).
3

stessa.

Infine, il Collegio aveva disatteso la documentazione prodotta dalla difesa a
dimostrazione dell’attività lavorativa svolta dal suo assistito, secondo orari incompatibili con
quelli continuativi che, a detta dei collaboranti, caratterizzavano l’attività di spaccio.
Le medesime censure di genericità e imprecisione i ricorrenti muovevano alle accuse
elevate dai collaboranti Capasso Carlo ed Esposito Salvatore nei confronti di Musolino
Salvatore.
In primo luogo, i collaboranti si contraddicevano sull’indicazione della “piazza” di spaccio
dove collocare il Musolino (quella per lo spaccio di cocaina e crack, indicata dal Capasso; quella

In secondo luogo, mancavano i riscontri a talune circostanze da loro indicate.
Così quella della retribuzione in favore dell’indagato, non suffragata dall’esame della
contabilità del gruppo sequestrata.
Analogamente, quella delle numerose rapine che il Musolino avrebbe perpetrato,
sconfessata dagli atti processuali e dal certificato penale.
Infine, il Tribunale non aveva valutato che, a causa di problemi connessi allo stato di
tossicodipendenza, il Musolino non poteva svolgere in maniera stabile e continuativa la
contestata attività di spaccio di stupefacenti, ciò che denotava l’assenza della necessaria
affectio societatis richiesta per la sussistenza del reato associativo.
In relazione alle esigenze cautelari, la motivazione del Tribunale del riesame peccava di
genericità, avendo operato un mero richiamo alla presunzione di cui all’art. 275 comma 3
c.p.p. e non avendo tenuto conto della distanza nel tempo dei fatti ascritti agli indagati e della
non particolare gravità dei precedenti a loro carico, escluso il Minichino che risultava
incensurato.

Considerato in diritto

Devono essere respinti perché infondati i ricorsi proposti nell’interesse di Natale
Francesco, Minichino Raffaele e Musolino Salvatore.
1. Quanto alla posizione di Natale Francesco, il dedotto duplice vizio di violazione di
legge e carenza di motivazione che inficerebbe la decisione impugnata non sussiste.
Invero, i Giudici del riesame hanno correttamente valorizzato a suo carico le chiamate
in correità provenienti dai collaboratori Carlo, Antonio e Giuseppe Capasso, i quali ne hanno
riferito la condizione di affiliato al clan Di Lauro e l’inserimento nelle squadre di spacciatori
quale addetto allo smercio delle droghe leggere nella “piazza” di via Praga Magica, e, per un
tempo, quale responsabile della “piazza” stessa su incarico dei sodali Nunzio Talotti e Antonio
Di Lauro.
Tali informazioni sono state poste in relazione ad elementi oggettivi di riscontro,
confermativi della loro attendibilità, costituiti dagli arresti per spaccio di stupefacente subiti dal
ricorrente in data 18.2.2011 e 2.2.2013, dai numerosi controlli sul territorio che hanno
4

per lo spaccio di droghe leggere indicata dall’Esposito).

attestato il suo accompagnarsi con appartenenti al clan, dalla significativa circostanza
dell’aggressione patita dal predetto il 6.1.2010 da parte di “scissionisti” – fazione antagonista al
clan – presso un esercizio commerciale di via Camposanto (vicenda affrontata nell’ordinanza
genetica per altri indagati), e, infine, dagli esiti delle videoriprese eseguite in occasione
dell’arresto dei sodali Andrea Niola, Antonio Quadretti e Salvatore Albano, valorizzati anche per
la prova indiziaria relativa al reato sub capo 33), riproducenti immagini che documentavano
l’azione del Natale mentre prendeva il posto degli arrestati per poter continuare a svolgere il
traffico di droga nell’interesse del gruppo criminale.

l’attribuzione del ruolo di spacciatore al soldo e alle dipendenze del clan Di Lauro, attivo sulle
“piazze di spaccio” gestite e dirette dagli appartenenti a detto consorzio criminoso ed inserito
nelle c.d. “paranze”, ossia nell’organizzazione del traffico di stupefacenti al dettaglio, turnaria e
ben localizzata sotto il profilo territoriale, oltre che tutelata da apposite vedette e ronde armate
in grado di disciplinare l’approvvigionamento dei venditori su strada e l’afflusso di acquirenti, di
segnalare la presenza delle forze dell’ordine, di verificare l’operato degli spacciatori e
contrastare l’interferenza di concorrenti o altri eventuali disturbatori.
Tale ruolo, ben delineato e specifico, dà, infatti, conto dell’inserimento del ricorrente in
un sistema più ampio ed articolato di traffico di droga al dettaglio e consente di attribuirgli la
piena consapevolezza di agire in un contesto organizzato dagli esponenti del clan camorristico
Di Lauro, egemone in quel territorio – il che giustifica, per il reato-fine di cui al capo 33),
l’aggravante ex art. 7 L. n. 203/91 – di perseguire il comune obiettivo di arricchimento,
personale e del clan, mediante quell’attività criminosa e di avvalersi delle risorse organizzative,
umane, materiali apprestate dal sodalizio per condurla con successo, nonché della relativa
protezione, sia nel corso del suo svolgimento, sia in caso di eventuale arresto, provvedendo la
cosca al mantenimento del detenuto e della sua famiglia, oltre che alle spese legali.
Ciò è, dunque, sufficiente per ravvisare a carico del Natale Francesco la partecipazione
ad entrambe le associazioni criminose di cui ai capi 1) e 2), stante l’orientamento più volte
espresso da questa Corte sulla possibilità di concorso fra i reati di associazione per delinquere,
anche di tipo mafioso, ed il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di
sostanze stupefacenti (Cass., Sez. 2, sent. n. 36692 del 22/5/2012, Abbrescia ed altri, Rv.
253892; S.U., sent. n. 1149 del 25/9/2008, dep. 13/1/2009, Magistris, Rv. 241833; Sez. 6,
sent. n. 4651 del 23/10/2009, dep. 3/2/2010, Bassano ed altri, Rv. 245875; Sez. 1, sent. n.
17702 del 21/1/2010, Di Lauro ed altri, Rv. 247059).
In dette pronunce, si è affermato che la configurabilità del concorso si giustifica in
quanto i reati associativi de quibus presentano una parzialmente differente oggettività in
relazione ai beni giuridici protetti, nel senso che tutte le norme incriminatrici dei delitti
associativi tutelano l’ordine pubblico, mentre quella di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309/90
salvaguarda in più anche la salute individuale e collettiva contro i pregiudizi derivanti
dall’assunzione degli stupefacenti e dalla loro diffusione.
5

Giustamente è stato evidenziato dal Tribunale lo specifico rilievo che assume

Si è, quindi, concluso che, se un’associazione venga costituita al solo scopo di operare
nel settore del traffico degli stupefacenti, gli appartenenti non possono subire punizione a
doppio titolo secondo quanto previsto dalle due norme incriminatrici, mentre se l’associazione
ha lo scopo di commerciare in droga e di commettere anche altri reati, è ben possibile che gli
agenti vengano puniti per la loro partecipazione ad entrambe le consorterie.
Pertanto, così come coloro che, già affiliati a cosca di tipo mafioso, costituiscano e
dirigano un’associazione finalizzata al narcotraffico, che diviene una branca dell’attività del
sodalizio mafioso, concorrono anche nel secondo reato per avere con la loro condotta offerto

grazie all’appoggio, alla protezione, ai mezzi ed uomini forniti, altrettanto va detto in
riferimento alla posizione di quanti operino esclusivamente nell’ambito del traffico di
stupefacenti, quando siano consapevoli che questo è gestito e diretto dall’associazione di tipo
mafioso.
Costoro, quindi, concorrono anche in questo reato associativo per il fatto di contribuire
causalmente alla realizzazione di una delle finalità tipiche della consorteria criminale; ne segue
che la prova dell’affiliazione ad una delle due associazioni influisce sulla prova dell’adesione
all’altra, con la conseguenza che gli affiliati dell’una devono ritenersi affiliati anche all’altra
compagine associativa, sebbene la sussistenza dei due reati sia ancorata a presupposti diversi,
che a tal fine devono essere tutti specificamente provati per ciascuno di essi.
L’analisi condotta dal Tribunale risponde esattamente ai criteri valutativi dettati da
questa Corte e consente di disattendere sotto ogni sua deduzione l’impugnazione.
2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi nei confronti di Minichino Raffaele, che ha
mosso le medesime censure del Natale all’ordinanza impugnata (essenzialmente
stigmatizzando la genericità e l’inconcludenza dei collaboratori di giustizia).
Il provvedimento impugnato ha evidenziato come a carico del Minichino militino le
dichiarazioni accusatorie provenienti da Capasso Antonio e Lombardi Vincenzo, i quali, dopo
averlo riconosciuto in fotografia, averne indicato il soprannome “Santillà” ed il domicilio nel
quartiere Terzo Mondo, lo hanno definito come addetto allo spaccio di stupefacenti per conto
del clan Di Lauro.
Quanto al contrasto, evidenziato nel ricorso, tra le indicazioni fornite dai propalanti
riguardo alla “piazza di spaccio” dove il Minichino aveva svolto la sua funzione servente gli
interessi del clan, correttamente il Tribunale del riesame l’ha giudicato irrilevante sul piano
probatorio, in considerazione della frequente osmosi che interveniva tra gli organici delle varie
“paranze”, secondo quanto concordemente riferito dagli stessi collaboratori.
Le chiamate in correità – ritenute coerenti, logiche e sostanzialmente convergenti
nell’assegnare al Minichino un ruolo specifico nei sodalizi investigati – sono state valutate in
conformità ai criteri prescritti dall’art. 192 c.p.p., anche perché assistite dagli elementi di
riscontro costituiti da una denuncia in stato di libertà subìta dal Minichino il 12.11.2008 per il
reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/90, commesso in concorso con l’affiliato al clan Scotto
6

un contributo causale determinante per la sua esistenza, gestione e concreta operatività

Antonio, e dagli innumerevoli controlli effettuati dalla P.G. sul territorio nell’arco di un
quadriennio (2007-2011), che hanno accertato la costante presenza del ricorrente, anche in
tempo di notte, presso il quartiere “Terzo Mondo” in compagnia di altri sodali.
Vanno, naturalmente, richiamate per la loro immutata validità le osservazioni sovra
esposte circa la giustificata e ragionevole attribuzione al ricorrente del duplice ruolo di
appartenente alla compagine camorristica e a quella finalizzata al narcotraffico.
3. Le censure mosse da Musolino Salvatore ricalcano precisamente quelle già esaminate
a proposito del Minichino.

provenienti da Capasso Carlo ed Esposito Salvatore, i quali, dopo averlo riconosciuto in
fotografia e averne indicato il soprannome “A Mocchia”, lo hanno definito quale affiliato al clan
addetto allo spaccio di stupefacenti.
Anche nel caso del Musolino, come per il Minichino, è stato evidenziato nel ricorso il
contrasto tra le indicazioni fornite dai propalanti riguardo alla “piazza di spaccio” dove il
predetto aveva operato: valgono, pertanto, sul punto i rilievi sopra svolti riguardo all’altro
ricorrente.
Le convergenti chiamate in correità risultano corroborate, in sintonia con i criteri
prescritti dall’art. 192 c.p.p., da oggettivi elementi di riscontro, costituiti da ben tre arresti in
flagranza per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/90 subìti dal ricorrente (in data 27.3.1996,
9.9.1997 e 9.2.2000) e da numerosi controlli di P.G. sulle piazze di spaccio del quartiere
“Terzo Mondo” che ne hanno acclarato la presenza in compagnia di altri affiliati negli anni 2007
e 2008 (vedi il riferimento a pag. 699 dell’ordinanza genetica).
Anche per il Musolino vanno richiamate le osservazioni già svolte sul duplice ruolo di
appartenente al sodalizio camorristico e a quello finalizzato al narcotraffico.
4. Va, infine, disattesa la censura, comune alle tre posizioni esaminate, relativa alla
pretesa “genericità” della motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari.
Si ricorda che, nei confronti dell’indagato del delitto di associazione di tipo mafioso (art.
416 bis), l’art. 275, co. 3, c.p.p. pone una presunzione di pericolosità sociale che può essere
superata solo quando sia dimostrato che l’associato ha stabilmente rescisso i suoi legami con
l’organizzazione criminosa, con la conseguenza che al giudice di merito incombe l’esclusivo
onere di dare atto dell’inesistenza di elementi idonei a vincere tale presunzione. Ne deriva che
la prova contraria, costituita dall’acquisizione di elementi dai quali risulti l’insussistenza delle
esigenze cautelari, si risolve nella ricerca di quei fatti che rendono impossibile (e perciò stesso
in assoluto e in astratto oggettivamente dimostrabile) che il soggetto possa continuare a
fornire il suo contributo all’organizzazione per conto della quale ha operato, con la
conseguenza che, ove non sia dimostrato che detti eventi risolutivi si sono verificati, persiste la
presunzione di pericolosità (Sez. 5, Sentenza n. 48430 del 19/11/2004, Grillo, Rv. 231281;
Sez. 2, Sentenza n. 45525 del 20/10/2005, P.M. in proc. Russo, Rv. 232781; Sez. 2,
Sentenza n. 305 del 15/12/2006, dep. 10/1/2007, Comisso, Rv. 235367; Sez. 6, Sentenza n.
7

A carico del Musolino il Tribunale partenopeo ha utilizzato le dichiarazioni accusatorie

46060 del 14/11/2008, Verolla, Rv. 242041; Sez. 5, Sentenza n. 24723 del 19/5/2010, Frezza
Rv. 248387).
Si rammenta, inoltre, che, per quanto concerne il reato associativo in questione,
l’elemento “decorso del tempo” può essere utilmente valutato ai fini di superare la presunzione
di sussistenza delle esigenze cautelari solamente se e da quando risulti che l’indagato è
receduto dall’associazione o che la stessa si è sciolta. Data la natura permanente del reato de
quo, non è infatti determinante la circostanza che i gravi indizi risalgano nel tempo, perché la
data di questi ultimi non equivale a quella della cessazione della consumazione del reato

210537; Sez. 3, Sentenza n. 30306 del 10/7/2002, Sabatelli G. ed altri, Rv. 223361; Sez. 2,
Sentenza n. 21106 del 27/4/2006, Guerini ed altro, Rv. 234657).
In applicazione di tali principi, il Tribunale del riesame di Napoli ha correttamente
concluso circa l’inesistenza di dati storici rivelatori del recesso, da parte dei tre ricorrenti
summenzionati, dal contesto associativo criminale di appartenenza, valorizzando, per
rafforzare la prognosi di pericolosità relativa a Natale Francesco e Musolino Salvatore, anche i
plurimi precedenti penali per traffico di stupefacenti da cui risultano gravati.
5. Deve essere accolto il ricorso proposto nell’interesse di Natale Massimo.
Nell’attribuire anche a quest’ultimo ricorrente il ruolo di addetto allo spaccio di droga
per conto del clan Di Lauro con carattere di stabilità, il Tribunale non ha rilevato un
significativo elemento di contrasto esistente tra le dichiarazioni rese da Capasso Carlo e quelle
rese dai fratelli Antonio e Giuseppe.
Ed invero, il primo, a differenza degli altri due, ha riferito che il Natale Massimo aveva
svolto solo “per un breve periodo” l’attività di spacciatore di droghe leggere, per poi essere
allontanato “a causa del suo uso di sostanza stupefacente”.
Tale dato probatorio indicherebbe un passaggio solo transitorio del ricorrente nel settore
del traffico di droga gestito dal clan Di Lauro, che mal si concilia, logicamente, con la “stabilità”
del ruolo di spacciatore che i Giudici del riesame gli hanno assegnato.
Tale incongruenza motivazionale impone l’annullamento dell’ordinanza, con rinvio per
nuovo esame dei gravi indizi di colpevolezza del Natale in relazione ad entrambe le fattispecie
associative ascrittegli.
6. Al rigetto dei ricorsi proposti da Natale Francesco, Minichino Raffaele e Musolino
Salvatore consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di Natale Massimo e rinvia per nuovo esame
al Tribunale di Napoli.
Rigetta i ricorsi di Natale Francesco, Minichino e Musolino e li condanna al pagamento
delle spese processuali.
8

associativo (Sez. 6, Sentenza n. 1330 del 10/4/1998, Proc. Rep. in proc. Darione G., Rv.

rt. 23
Trasmessa copia
n. i ter L. 8-8-z,j n. 332
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6
cura
a0n1c4elleria, copia del provvedimento al direttore

dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2013

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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