Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7774 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7774 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Gubbiotti Federico

nato il 28.11.1979

avverso la sentenza del 6.12.2012
del Tribunale di Perugia, sez. dist. di Todi
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P. G., dr. Fulvio Baldi, che ha
chiesto il rigetto del ricorso

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Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO

2. Ricorre per cassazione Gubbiotti Federico, a mezzo del difensore, denunciando, con il
primo motivo, l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (artt.521 e 522
c.p.p.), nonché la violazione dell’art.6 CEDU e della Direttiva 2012/13/UE sul diritto
all’informazione nei procedimenti penali.
A seguito di opposizione a decreto penale, il Gubbiotti era stato tratto a giudizio per
rispondere del reato di cui all’art.37 DPR 547/55 per aver ampliato il deposito di oli lubrificanti,
senza la preventiva autorizzazione del competente comando dei VV.FF.
Tale fattispecie incriminatrice, abrogata dall’art.304 D.L.vo n.81/2008. sanzionava chi nella
costruzione di nuovi impianti o di modifica di quelli esistenti non li sottoponeva al preventivo
collaudo da parte dei Vigili del Fuoco.
Nel corso dell’istruttoria dibattimentale emergeva che il Gubbiotti era titolare del prescritto
certificato per complessivi 100 Kg. di oli lubrificanti e che nel corso del controllo erano state
rinvenute 138 confezioni di olio lubrificante per un totale complessivo di 122,82 Kg. (di poco
superiore cioè al quantitativo indicato nel certificato),
Il Tribunale, ritenendo l’identità del fatto, provvedeva a riqualificarlo ex art.20 D.L.vo
139/2006, che sanziona però chi, quale titolare di una delle attività soggette al rilascio del
certificato di prevenzione, ometta di richiederne il rilascio o il rinnovo alle competenti autorità.
Trattasi di una condotta ontologicamente diversa da quella contestata al ricorrente (l’aver
ampliato il deposito di oli minerali senza la preventiva autorizzazione dei Vigili del Fuoco).
E’ stato violato quindi il principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Con il secondo motivo denuncia la violazione degli artt.157 e 161 c.p.
Il Tribunale ha omesso di dichiarare la prescrizione, benché maturata prima dell’emissione
della sentenza impugnata.
Dalla bolla di accompagnamento in atti risulta che, in data 27.8.2007, fu acquistato un
quantitativo complessivo di Kg. 115,56 di oli lubrificanti. E’ da tale data, pertanto, e non da
quella dell’accertamento, che decorreva il termine massimo di prescrizione di anni 5.
Con il terzo motivo deduce l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art.20 D.L.vo
139/2006. Il lieve superamento del limite previsto dal certificato di prevenzione non
costituisce condotta sussumibile nella previsione della suddetta norma, che sanziona chi
omette di chiedere il rilascio o il rinnovo del certificato prevenzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. E’ assolutamente pacifico che si ha violazione del principio di correlazione tra sentenza ed
accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato
in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una
vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito.
La verifica dell’osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della
salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che
la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta – che realizza l’ipotesi

2

1 Con sentenza in data 6.12.2012 il Tribunale di Perugia, sez. dist. di Todi, in composizione
monocratica condannava Gubbiotti Federico alla pena di euro 800,00 di ammenda per il reato
di cui all’art.20 D.L.vo 139/2006, così qualificata l’originaria contestazione ex art.37 DPR
547/55.
Assumeva il Tribunale che, a seguito di sopralluogo della G.d.F., era stato accertato che
presso il distributore API, sito in Massa Martana, gestito dalla società di cui il Gubbiotti era
socio accomandatario, erano presenti Kg.122,82 di oli lubrificanti, mentre il certificato di
prevenzione incendi, rilasciato nel giugno 2003, ne prevedeva un quantitativo massimo di Kg.
100.
Il fatto emerso dall’istruttoria era conforme a quello contestato, per cui la diversa
qualificazione giuridica non determinava una immutazione dell’originaria imputazione.

3. Al Gubbiotti risultava contestato di aver ampliato il deposito di oli minerali lubrificanti
senza la preventiva autorizzazione del competente comando dei Vigili del Fuoco.
Il Tribunalei senza alcuna immutazione del fatto, si è limitato a riqualificarlo ex art.20 D.L.vo
139/2006.
Non può, invero, essere revocato in dubbio che l’ampliamento richiedeva il rilascio di nuovo
certificato di prevenzione, essendo quello in possesso del ricorrente relativo ad un deposito
con “capacità” inferiore (presso il distributore poteva essere detenuto un quantitativo di
Kg.100 di oli lubrificanti).
In presenza di un quantitativo maggiore di prodotti infiammabili, era necessario verificare
nuovamente i fattori di rischio in relazione all’ubicazione ed alle caratteristiche dei locali di
deposito.
Del resto il prevenuto ha avuto modo di difendersi in ordine al fatto contestato, tanto che ha
prodotto documentazione, eccependo anche la prescrizione del reato.
Erroneamente, però, ritiene che il mero ampliamento non richiedesse nuovo certificato di
prevenzione, tanto che non indica neppure quale sarebbe la norma violata (“Il caso quivi in
esame presenta evidenti profili di atipicità..”).
4. Quanto al secondo motivo, il reato non era certo prescritto al momento dell’emissione della
sentenza impugnata.
L’accertamento venne effettuato in data 2.11.2007 ed a tale data era presente presso il
distributore un quantitativo di oli lubrificanti in misura superiore al consentito senza che
l’imputato fosse in possesso della relativa autorizzazione-certificazione antincendi.
La sentenza richiamata (Cass. Pen. Sez. 3 n.4006 del 12.2.1998) è rimasta isolata, essendo
stata superata dalla giurisprudenza successiva, secondo cui “l’omissione del preventivo esame
e collaudo da parte dei Vigili del Fuoco per i progetti di nuovi impianti relativi a lavorazioni
pericolose, è configurabile come reato proprio e come reato permanente (perdurando per
volontà dell’agente la lesione del bene giuridico protetto fino all’ottenimento del certificato di
prevenzione o alla cessazione dell’attività pericolosa “(cfr.. Cass.pen. sez. 3 n.8346 del
13.4.2000).
ricorrente al
5. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del
pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che pare congruo
determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.

3

astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione- venga mutata nei
suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell’originaria
contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l’imputato non ha avuto modo di
difendersi (cfr. ex multis Cass.pen.sez.VI, 8.6.1998 n.67539).
Sìcchè “non sussiste violazione del principio di correlazione n della sentenza all’accusa
contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli
stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l’immutazione si
verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di
Incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione,
sostituzione o variazione dei contenuti essnziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto,
così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità
d’effettiva difesa” (cfr.sez.6 n.35120 del 13.6.2003).
Anche più di recente questa Corte ha ribadito il principio che “si ha violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali
in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa”
(cfr.Cass.sez.6 n.12156 del 5.3.2009).
Deve cioè trattarsi di una trasformazione sostanziale dei contenuti dell’addebito, tale da
impedire di apprestare la difesa in ordine al fatto ritenuto in sentenza.
Inoltre “il mutamento di per sé non è sufficiente per ritenere violato il principio di correlazione
tra fatto contestato e ritenuto in sentenza in quanto necessita la ulteriore verifica intesa a
controllare se, comunque, nel corso del processo l’imputato è stato posto in grado di confutare
e difendersi concretamente anche sulla parte di condotta non formalmente inserita nel capo di
imputazione” (cfr. Cass.pen. Sez. 3 n. 21584 del 17.3.2004).

5.1. L’inammissibilità del ricorso preclude, poi, ogni possibilità di far valere e rilevare d’ufficio,
ai sensi dell’art.129 cod.proc.pen., l’estinzione del reato per prescrizione, maturata dopo la
sentenza impugnata.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni,
ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale
derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno
dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di
impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non
punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto
invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria
absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di
assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo
altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato
il giudicato sostanziale”.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00 .
Così deciso in Roma il 5.12.2013

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