Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 777 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 777 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI REGGIO CALABRIA
nei confronti di:
BELLOCCO FRANCESCO N. IL 15/05/1989
avverso l’ordinanza n. 22/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 17/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
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Data Udienza: 06/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza resa in data 21.1.2013 (data di deposito del dispositivo in esito
all’udienza camerale tenutasi il 17.1.2013), il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria
annullava il provvedimento emesso in data 21.11.2012 dal locale GIP, nella parte in cui aveva
applicato a BELLOCCO Francesco la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di cui
agli artt. 110, 628 co. 3 nn. 1, 3 e 3-bis c.p. e 7 L. n. 203/1991 (capi B e F), 81 cpv., 110 c.p.,
2-7 L. n. 895/67, 23 stessa legge e 7 L. n. 203/91 (capi C e G, non contestato per il capo G

H, non contestato per il capo H l’art. 23 L. n. 110/75), 110, 648 c.p. e 7 L. n. 203/91 (capo E).
Nella parte iniziale della motivazione, il Tribunale del Riesame richiamava un ampio
stralcio del provvedimento coercitivo sottoposto al proprio vaglio (pagg. 4-25), dedicato alla
ricostruzione dell’assetto organizzativo della cosca Bellocco di Rosarno e del ruolo di BELLOCCO
Francesco cl. ’89 in particolare, definito dalla sentenza emessa in data 7.11.2011 dal Tribunale
di Palmi, che lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., “braccio
operativo/militare della cosca” stessa.
A quest’ultimo veniva contestato il ruolo di mandante di due rapine a mano armata,
quella commessa il 2.11.2009 da ZUNGRÌ Francesco e da altro soggetto non identificato ai
danni del negozio “Abbigliamento Daniela” sito in Gioia Tauro e quella consumata il 9.7.2010 ai
danni del supermercato “Dimeglio”, sito in Melicucco, da PIROMALLI Luigi e TIMPANI Luigi.
Per tali reati, che nella prospettazione accusatoria si inscrivevano nel programma
criminoso dell’associazione per delinquere facente capo ai BELLOCCO, i predetti esecutori
materiali erano stati condannati in primo grado.
Nel passaggio cruciale concernente il ruolo del BELLOCCO Francesco di concorrente
morale nella rapina ai danni del supermercato “Dimeglio”, l’organo del riesame osservava che
l’iniziale isolamento del PIROMALLI Luigi da parte di tutti gli accoliti per una sospetta delazione
(avrebbe confessato ai Carabinieri il furto di un motociclo), l’indagine interna per accertarne la
colpevolezza o l’innocenza, la riabilitazione del predetto, il sostegno economico in suo favore,
comandato dal Bellocco al Ligato per le spese in carcere e l’assistenza legale, la certezza in
capo al PIROMALLI che alla punizione del TIMPANI Luigi avrebbero dovuto procedere i “grandi”
Bellocco (cioè i capi anziani della cosca), non essendo sufficiente l’intervento del solo
“rampollo”, erano tutti elementi che dimostravano oltre ogni dubbio non già, come affermava il
GIP, la riconducibilità della rapina in questione a BELLOCCO Francesco, bensì la partecipazione
del PIROMALLI alla cosca Bellocco.
In un brano successivo della motivazione, il Tribunale reggino si discostava dalla
interpretazione fornita dal GIP alle frasi, intercettate in carcere nel corso di colloqui con i
familiari, pronunciate dal PIROMALLI Luigi nel lamentarsi di essere stato allontanato dal
giovane boss (“Per questo Ciccio non vuole vedermi”)

che lo credeva un infame come

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l’art. 23 L. n. 110/75), 110 c.p., 4-7 L. n. 895/67, 23 stessa legge e 7 L. n. 203/91 (capi D e

sostenuto dal Timpani: “No…se io sono qua dentro, non sono anche per lui?” e: “Io là, dove mi
mandava lui andavo”.
Tale passaggio, interpretato dal GIP come elemento a carico del BELLOCCO nella forma
della chiamata di correo, veniva, viceversa, interpretato dai Giudici del riesame come indicativo
della mancanza di responsabilità da parte dell’indagato, atteso che il PIROMALLI aveva risposto
alla domanda rivolta dal padre Vincenzo sul ruolo del predetto

(“E là lui, lui?”; “Là, lui, sta

rapina, lui pure”) con la battuta: “No, là siamo andati noi”.
Tale espressione, raccordata con l’altra “Io là, dove mi mandava lui andavo”, significava

BELLOCCO, era anche in condizione di compiere azioni in autonomia; significavano anche tali
espressioni che il Francesco generalmente non partecipava quale esecutore materiale alle
azioni delittuose, ma le ordinava ai sottoposti; con riferimento al caso di specie, le frasi captate
potevano plausibilmente interpretarsi nel senso che la rapina al supermercato “Dimeglio” era
stata decisa ed attuata in piena autonomia, senza il concorso morale né materiale del boss.
Quanto alla tentata rapina in danno del negozio “Abbigliamento Daniela”, il Tribunale
del riesame non condivideva la valutazione operata dal GIP circa la pregnanza probatoria della
circostanza per cui ZUNGRÌ Francesco, esecutore materiale del reato reo confesso, dopo
essersi ferito nell’azione criminosa, era stato condotto dal suo complice (rimasto non
identificato) presso l’abitazione del BELLOCCO Francesco.
Tale circostanza, ad avviso del Collegio, non poteva considerarsi elemento certo di
coinvolgimento del correo nella rapina, in assenza di ulteriori elementi convergenti in tal senso,
ma solo della ricerca di aiuto, in un momento critico, da uno dei punti di riferimento della cosca
alla quale lo stesso ZUNGRÌ apparteneva.
L’ulteriore elemento indiziario valorizzato dal GIP, ad avviso del Tribunale, costituiva
frutto di un travisamento del fatto.
Nello scambio di sms telefonici intercorso il giorno successivo alla rapina tra ZUNGRÌ
Gaetano e BELLOCCO, diversamente da quanto affermato dal GIP, era lo ZUNGRÌ che forniva
al BELLOCCO notizie sulle condizioni di salute del fratello, non il contrario. Anche tale
circostanza deponeva certamente per l’intraneità dello ZUNGRÌ alla cosca – essendo questa la
ragione per cui ZUNGRÌ Gaetano aveva ritenuto di informare delle condizioni del fratello il
BELLOCCO Francesco – ma non poteva valutarsi quale indizio certo ed univoco rispetto al
coinvolgimento del predetto nella rapina di cui al capo B).
2. Ha proposto ricorso avverso la menzionata ordinanza il Procuratore della Repubblica
di Reggio Calabria – D.D.A., denunciando quale unico motivo di ricorso la “mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione”.
Con riferimento alla rapina ai danni del supermercato “Dimeglio” di Melicucco, il
ricorrente censura il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria per non aver inquadrato i
dialoghi intercettati in carcere fra PIROMALLI Luigi e il padre Vincenzo nel più ampio contesto
probatorio di cui pure era stato dato atto in alcuni passaggi del provvedimento, contesto, che,
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per il Tribunale che, sebbene il PIROMALLI fosse soggetto, di norma, a disposizione del

ai fini d’interesse, aveva messo in luce: la figura di BELLOCCO Francesco, figlio del boss
Carmelo, esponente di spicco dell’omonima consorteria mafiosa al quale, all’interno del
sodalizio di appartenenza, era riservato il ruolo di esecutore materiale di azioni criminali,
rapine comprese (egli stesso era gravato da un precedente per rapina), rientranti nella
strategia e nel programma criminale della cosca; la figura di PIROMALLI Vincenzo, padre di
Luigi, che, all’indomani dell’arresto del figlio per la rapina in discorso, si era messo subito a
disposizione del Francesco (“Se avete bisogno di me, sono sempre a disposizione, anche se
conv. a pag. 6 del ricorso), all’epoca in regime di arresti domiciliari,

dimostrando di conoscere appieno le dinamiche della cosca e il ruolo normalmente operativo
ricoperto dal predetto con riferimento a reati-fine a sfondo violento.
La considerazione dei tratti caratterizzanti i due descritti profili avrebbe dovuto indurre il
Tribunale del Riesame a conferire all’espressione di PIROMALLI Luigi “Se io sono qua dentro,
non sono anche per lui?” l’unico significato logico possibile di una chiamata in correità del
BELLOCCO, non essendo altrimenti spiegabile – e il Tribunale non lo spiegava, né dava una
spiegazione alternativa – per quale ragione il PIROMALLI addossasse al coindagato la
responsabilità del suo stato detentivo.
A questo punto, la domanda rivolta dal padre Vincenzo (“E là, lui, lui?”) al figlio Luigi,
non era finalizzata a conoscere ciò che gli era stato appena detto e che aveva pienamente
compreso (ossia del coinvolgimento anche del BELLOCCO nella rapina in parola), ma piuttosto
per sapere se il complice vi avesse materialmente partecipato, come era dato desumere
dall’uso dell’avverbio “là”, a indicare il luogo della rapina. Il figlio, dal canto suo, ben
intendendo ciò che voleva sapere il padre – che, come lui, conosceva BELLOCCO Francesco
per un soggetto che non solo ordinava la commissione dei reati, ma non disdegnava affatto di
compiere egli stesso azioni delittuose violente – rispondeva che solo lui e TIMPANI erano stati
gli autori materiali della rapina (“No, là siamo andati noi”), ma dopo aver precisato che il
mandante era sempre il BELLOCCO (“Io là dove mi mandava lui, io andavo”).
Tale ultima espressione, contrariamente a quanto in modo illogico ritenuto dal
Tribunale, andava correlata con la precedente “Se io sono qua dentro, non sono anche per
lui?”, tenendo conto del profilo criminale del BELLOCCO, soggetto operativo all’interno della
cosca e gravato da un precedente specifico proprio per rapina.
Eludendo di motivare sul punto, il Collegio del riesame non aveva, in definitiva, chiarito
la ragione per la quale PIROMALLI Luigi dovesse ritenere di trovarsi in carcere per
responsabilità anche di BELLOCCO, giungendo, con un salto logico, ad affermare che la rapina
al supermercato era stata decisa e attuata in piena autonomia, senza il concorso morale o
materiale del correo.
Se così fosse realmente accaduto – prosegue il ricorrente – non si spiega perché il
BELLOCCO avrebbe avuto ragione di temere di incontrare il PIROMALLI, come da questi riferito
ai genitori in uno dei colloqui intercettati:

“Per questo non voleva vedermi a me

Ciccio…non…perché si spaventava…”. Tale timore, ad avviso del Procuratore reggino, non
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non c’è mio figlio”:

poteva che spiegarsi con il rischio di mettere gli inquirenti sulla pista di un suo coinvolgimento
nella rapina commessa dal PIROMALLI e dal TIMPANI.
Anche l’omessa considerazione di tale elemento inficiava la tenuta della motivazione
dell’organo del riesame.
Quanto alla rapina in danno del negozio “Abbigliamento Daniela”, il ricorrente deduceva
che la motivazione aveva liquidato in poche righe la valenza probatoria della circostanza per la
quale lo ZUNGRÌ Francesco, autore materiale del delitto, dopo essere stato ferito nell’azione
criminosa, si era recato presso l’abitazione di BELLOCCO Francesco, all’epoca ristretto in

Proprio per il ruolo di giovane boss in ascesa delineato dallo stesso Tribunale, l’azione
dello ZUNGRÌ poteva spiegarsi solo in ragione della determinazione a commettere il reato
ascrivibile al BELLOCCO; in caso contrario, egli difficilmente si sarebbe recato a casa di
quest’ultimo, esponendolo al rischio dell’aggravamento della misura cautelare, ma si sarebbe
diretto verso l’abitazione di qualsiasi altro affiliato alla cosca in posizione sotto ordinata
deputato a compiti del genere.
Errava, poi, il Tribunale nel ritenere che mancassero ulteriori elementi rafforzativi del
quadro indiziario.
Gli stessi giudici, infatti, prendevano in esame, per escluderne la valenza indiziaria,
anche l’elemento dei contatti tramite sms, intercorsi il giorno successivo al delitto, tra ZUNGRÌ
Gaetano e il BELLOCCO a proposito delle condizioni dello ZUNGRÌ Francesco.
Posto che nessun contatto tra i due era stato registrato prima della rapina e che il
Gaetano era certamente estraneo al delitto, era chiaro che egli si fosse rivolto al BELLOCCO in
questa specifica occasione proprio perché al corrente del suo coinvolgimento nella rapina che il
fratello aveva commesso.
Il Tribunale non chiariva, al riguardo, come mai lo ZUNGRÌ si fosse rivolto al BELLOCCO
e non a qualsiasi altro affiliato alla cosca, limitandosi illogicamente ad affermare che lo ZUNGRÌ
aveva contattato il giovane boss perché sapeva che il fratello era intraneo al sodalizio
criminale.
Il Collegio del Riesame, infine, non spiegava perché, essendo pacifica la materiale
responsabilità dello ZUNGRÌ Francesco, ferito nel tentativo di rapina, il BELLOCCO avesse
chiesto al fratello del predetto se questi fosse stato interrogato; tale richiesta, secondo il
ricorrente, trovava l’unica spiegazione nel timore da parte del BELLOCCO che lo ZUNGRÌ
potesse chiamarlo in correità.
In conclusione, male il Tribunale aveva governato la norma di cui all’art. 192 c.p.p.,
decontestualizzando i vari indizi e valutandoli in modo atomistico.
3. In data 3.12.2013 è pervenuta via fax memoria redatta da una dei due difensori di
BELLOCCO Francesco, che si conclude con la richiesta di declaratoria d’inammissibilità o, in
subordine, di rigetto del ricorso.

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regime di arresti domiciliari.

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria – D.D.A. va
accolto limitatamente ai reati di cui ai capi F) (rapina pluriaggravata, commessa in concorso
con PIROMALLI Luigi e TIMPANI Luigi in danno del supermercato “Dimeglio” di Melicucco in
data 9.7.2010), G) (detenzione illegale aggravata della pistola usata per commettere la rapina
sub F), in concorso con i predetti PIROMALLI e TIMPANI) e H) (porto illegale aggravato in
concorso della stessa arma sub G) e dichiarato inammissibile nel resto.

nel segno, laddove mettono a nudo carenze e incongruenze motivazionali manifeste a
proposito della interpretazione del contenuto di un colloquio intercorso in carcere il 26.10.2010
tra PIROMALLI Vincenzo e il figlio Luigi, autore materiale della rapina sub F) con il TIMPANI
Luigi.
Le scarne battute sono riportate a pag. 37 dell’ordinanza impugnata, e sono precedute
dalle lamentele esternate da Luigi al padre per il trattamento ostile riservatogli dal BELLOCCO
per una sospetta delazione (“Per questo non voleva vedermi a me Ciccio…”):
LUIGI: “No…se io sono qua dentro, non sono anche per lui?”;
VINCENZO: “Eh!”;
LUIGI: “Io là, dove mi mandava lui andavo”;
VINCENZO: “E là, lui, lui?”;
LUIGI: “Ah?”,
VINCENZO. “Là, lui, ‘sta rapina lui pure”,
LUIGI: “No, là siamo andati noi…”.
L’interrogativo retorico iniziale, che sottende, all’evidenza, una scontata risposta
affermativa (“…se io sono qua dentro, non sono anche per lui?”)

non poteva essere che

interpretato, secondo il PM ricorrente, nei termini di una esplicita chiamata in correità del
BELLOCCO, mentre il Tribunale del Riesame reggino non lo aveva tenuto in adeguata
considerazione nell’analizzare il dialogo tra i due congiunti e inferirne il significato conclusivo.
La censura è fondata.
Pur avendo correttamente premesso che le frasi captate andavano messe in relazione
l’una con l’altra, l’organo del riesame ha sviluppato, poi, un ragionamento carente ed
incongruo laddove:
– ha escluso l’attribuzione di qualsiasi significato a parole che, nell’economia del dialogo,
andavano adeguatamente valutate per avere il PIROMALLI evocato, in relazione alla sua
contingente specifica vicenda giudiziaria – e non ad altre – che lo vedeva ristretto proprio per
la rapina di Melicucco (“…se io sono qua dentro”), una qualche forma di responsabilità anche
del BELLOCCO (“…non sono anche per lui?”);
– ha ritenuto, da un lato, che le espressioni del PIROMALLI “là siamo andati noi” e “io là,
dove mi mandava lui andavo” significassero che il BELLOCCO Francesco in genere non
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1.1. I rilievi svolti dal ricorrente riguardo alla vicenda di cui ai capi F), G) e H) colgono

partecipava materialmente alle azioni delittuose, ma le ordinava ai suoi sottoposti, tra i quali il
PIROMALLI Luigi – il che è esattamente coerente con la prospettazione accusatoria – dall’altro,
ha fatto scaturire da tali affermazioni la manifestamente illogica conseguenza di escludere che
il loro significato potesse essere inteso nel senso che il BELLOCCO non aveva partecipato
materialmente alla rapina de qua (“Là siamo andati noi”), ma ne era stato, comunque, il
mandante;
– ancora, ed infine, è approdato ad una interpretazione della frase “Là siamo andati
noi”, nel senso di inferirne il riferimento ad un’azione criminale decisa in autonomia dal

complessivo del dialogo e che, comunque, è parsa travalicare il significato immediato
dell’espressione, che registra, semplicemente, l’affermazione della propria presenza fisica
(“siamo andati noi”)

sul luogo del delitto (“là”), impregiudicata ogni questione relativa

all’esistenza di un mandante (la circostanza di essersi recati insieme a compiere un delitto non
esclude, sul piano logico, che quel delitto possa essere ispirato da altra persona).
Per gli evidenziati profili di carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, l’ordinanza impugnata va annullata in parte qua, con rinvio al Tribunale di Reggio
Calabria per nuovo esame.
1.2. Quanto ai residui capi di imputazione ascritti al BELLOCCO (capi B, C, D ed E,
incentrati sull’episodio della rapina in danno del negozio “Abbigliamento Daniela” di Gioia
Tauro), il ricorso va dichiarato inammissibile.
Questa stessa Sezione, con sentenza n. 43535 del 26.9.2013, emessa nei confronti di
ZUNGRI’ Francesco su ricorso avverso altra ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio
Calabria, confermativa di titolo cautelare per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., aveva già
negato, seppure con riferimento al diverso reato associativo, pregnanza indiziaria univoca alle
stesse circostanze oggi riproposte dal PM ricorrente a sostegno dell’ipotizzato coinvolgimento
del BELLOCCO, quale mandante, nella rapina materialmente commessa dallo ZUNGRI’.
Le possibilità di lettura alternativa della condotta dello ZUNGRI’, che escludono la
gravità indiziaria, rimandano, quanto alla decisione dell’autore della rapina di rifugiarsi a casa
del BELLOCCO, alla speranza di non essere identificato come l’autore del reato (identificazione
certa in caso di ricovero in ospedale, come poi avvenne), oppure, come ha ritenuto il Tribunale
del riesame, alla ricerca di aiuto, in un momento critico, da parte di uno dei punti di riferimento
della cosca alla quale lo stesso ZUNGRÌ apparteneva.
Anche le informazioni richieste dal BELLOCCO sullo stato di salute di ZUNGRI’ e sul fatto
che fosse stato interrogato potevano spiegarsi come conseguenza della preoccupazione per lo
stato di salute dell’amico e del timore di essere magari coinvolto in una vicenda criminosa che
non lo riguardava.
Le considerazioni esposte dal ricorrente si risolvono, invero, in censure in punto di fatto,
che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura degli episodi di causa,

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PIROMALLI e dal TIMPANI, con una opzione ermeneutica del tutto avulsa dal contesto

ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità in relazione ad una
pronuncia che appare, sul punto, congruamente motivata.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata relativamente ai reati di cui ai capi F), G) e H) e rinvia
per nuovo esame al riguardo al Tribunale di Reggio Calabria; dichiara inammissibile nel resto il
ricorso.

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2013

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