Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7768 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7768 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da

CABEZA VALENCIA Betty Paola, nata in Ecuador il 18/7/1964
avverso la sentenza del 28/1/2013 della Corte di appello di Milano, che ha
confermato la sentenza ex art.442 cod. proc. pen. emessa il 23/2/2012 dal
Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, con la quale la ricorrente
è stata condannata, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche,
alla pena di quattordici anni di reclusione perché colpevole con la qualifica di
organizzatrice e coordinatrice dell’associazione del reato previsto dall’art.74 del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, commesso in Ecuador, Milano (sede della
associazione) e Bologna fino al 15/1/2010;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Nicola
Lettieri, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito per l’imputata l’avv. Antonio D’Amelio, che ha concluso chiedendo
accogliersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28/1/2013 la Corte di appello di Milano ha confermato
la sentenza ex art.442 cod. proc. pen. emessa il 23/2/2012 dal Giudice

Data Udienza: 04/12/2013

dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, con la quale la ricorrente è stata
condannata, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena
di quattordici anni di reclusione perché colpevole con la qualifica di
organizzatrice e coordinatrice dell’associazione del reato previsto dall’art.74 del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, commesso in Ecuador, Milano (sede
dell’associazione) e Bologna fino al 15/1/2010
La Corte di appello ha ritenuto provato che la ricorrente ebbe un ruolo
rilevante all’interno dell’associazione criminosa avente sede in Milano dedita

particolare curando la ricezione e la successiva cessione agli acquirenti italiani
della sostanza stupefacente. Dopo avere analiticamente ripercorso la
ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice sulla base degli atti processuali
(pagg.1-4), la corte territoriale ha esposto le ragioni che conducono a ritenere
l’esistenza di una associazione stabilmente dedita al traffico internazionale di
sostanze stupefacenti e a qualificare come di vertice il ruolo rivestito
dall’imputata all’interno dell’organigramma italiano, non potendosi, invece,
ravvisare diverso reato della stessa natura con riferimento ai “traffici paralleli”
posti in essere dalla medesima imputata nell’arco di tempo in cui si sono svolte
le indagini.
La Corte di appello ha respinto l’ipotesi avanzata in sede di appello che una
struttura organizzata sia sorta solo dopo l’interposizione della persona che ha
collaborato con gli inquirenti e dopo l’avvio delle indagini svolte mediante
persone sotto copertura; si legge in motivazione che la struttura associativa può
ben funzionare mantenendo livelli essenziali alla finalità di acquisto e cessione, e
dunque conservarsi snella e fondata su poche regole condivise, purché
sussistano i caratteri di continuità, condivisione del progetto, predisposizione
degli strumenti essenziali. Tali caratteri vengono individuati nelle circostanze
esposte nella prima parte di pag.8.
2. Avverso tale decisione l’avv. Antonio D’Annelio nell’interesse della sig.ra

all’impostazione di rilevanti quantità di cocaina dal territorio dell’Ecuador, in

Cabeza Valencia propone ricorso in sintesi lamentando:
a. errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. e
vizio motivazionale ai sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. con riguardo alla
partecipazione all’associazione criminosa e al ruolo di vertice rivestito nella
stessa: l’assenza di risultati effettivi di tutti i commerci di sostanza stupefacente
progettati nel lungo arco temporale di indagine sono la prova che i contatti fra le
persone non hanno mai raggiunto il livello di concretezza richiesto dall’art.74 del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 (sul punto si rinvia alla decisione del Giudice delle
indagini preliminari di non concedere la misura cautelare per il reato associativo
di cui al capo 1). Inoltre, sia l’assenza di strutture (la società per gestire le

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importazioni fu costituita a Bologna su iniziativa dell’intermediario), sia l’assenza
di prove di pregressi commerci, sia, infine, la mancanza di disponibilità
economiche adeguate costituiscono elementi che escludono la presenza dei
presupposti di una stabile organizzazione criminosa;
b. errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. con
riferimento all’art.4 della legge 16 marzo 2006, n.146 e alla circostanza
aggravante della transnazionalità. Contrariamente a quanto affermato dalla
Corte di appello con richiamo anche alla sentenza n.10976 del 22/3/2010 (rv

trovare applicazione al reato associativo (Sez.5, n.1937 del 21/1/2011); sul
punto sono intervenute le Sezioni Unite penali (n.18374 del 31/1/2013) che
hanno escluso che l’aggravante possa essere applicata quando il gruppo penale
transnazionale coincide con l’associazione criminosa per cui vi è imputazione;
c. errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. con
riguardo al calcolo della pena, posto che l’aumento di pena per la circostanza
aggravante della transnazionalità è stata applicata dopo e non prima della
riduzione ex art.62-bis cod. pen. (v. art.7 del d.l. 13 maggio 1991, n.152,
convertito in legge 12 luglio 1991, n.203).

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene che il ricorso meriti accoglimento esclusivamente nella
parte in cui censura l’applicazione dell’art.4 della legge 16 marzo 2006, n.146, in
tale decisione assorbita la fondata contestazione (terzo motivo di ricorso)
dell’errata procedura di calcolo della pena; procedura che, se correttamente
applicata avrebbe comportato una pena finale di 13 anni e 4 mesi di reclusione
(21 anni più anni 8 ex art.4, citato, meno 9 anni ex art.62-bis cod. pen.,
ulteriormente ridotti ex art.442 cod. proc. pen.).
2. Va osservato preliminarmente, alla luce del contenuto del primo motivo di
ricorso, che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della
corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire
un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta
di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite
Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e
quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n.47289 del 2003,
Petrella, rv 226074).

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246336), la recente giurisprudenza ritiene che detta aggravante non possa

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può
essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n.26 del 2007 della
Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica
introdotta dalla legge n.46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico
ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello
costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni
giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non
attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece)

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha “la
pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di
appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art.606, lett. e) c.p.p. non
autorizzi affatto il ricorrente a fondare la richiesta di annullamento della sentenza
di merito sulla sollecitazione al giudice di legittimità affinché ripercorra l’intera
ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.
Ancora successivamente alla modifica della lett.e) dell’art.606 c.p.p.
apportata dall’art.8, comma primo, lett.b) della legge 20 febbraio 2006, n.46,
l’impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime decisioni di legittimità, a
partire dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14
giugno 2007, P.G. in proc.Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n.
24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto
convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è “preclusa al
giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti” (fra tutte: Sez.6, n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006,
Bosco, rv 234148).
Ciò non significa, ovviamente, che la presenza di manifesta illogicità della
motivazione, rilevante ai sensi della citata lettera e) dell’art.606 c.p.p., non

dall’appello”.

debba essere riconosciuta allorquando a fronte di plurime ipotesi ricostruttive dei
fatti i giudici di merito non abbiano dato conto in modo coerente e corretto sul
piano logico delle ragioni per cui l’ipotesi accolta abbia forza sufficiente per
escludere la solidità delle ipotesi alternative sottoposte al loro giudizio.
3. Ebbene, i giudici di merito hanno esposto con ampiezza e coerenza
logica gli elementi di fatto che depongono per la partecipazione pro-attiva della
ricorrente a un’associazione criminosa operante a livello sovranazionale.
Molteplici elementi depongono, secondo i giudici di merito, in tal senso, a partire
dal sequestro di un non modesto quantitativo di cocaina definita purissima per
giungere ai viaggi all’estero per finalizzare gli accordi telefonici e la durata nel

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tempo dei contatti e delle attività. Si tratta, come si è visto, di valutazioni che
attengono al merito della decisione e che sono precluse al giudice di legittimità in
presenza di una motivazione non manifestamente illogica. Con la conseguenza
che il primo motivo di ricorso dev’essere rigettato.
4. Merita, invece, accoglimento il secondo motivo di ricorso. L’esame dei
capi di imputazione formulati a carico di Zambrano Leon (n.10295/11 R.G.N.R. e
n.2333/11 R.G. G.i.p.) e a carico di Cabez Valencia e Pelaes Cruz (n.20734/11
R.G.N.R. e 5326/11 R.G. G.i.p.) evidenziano la identità del capo 1, che ipotizza

n.309, aggravata ex art.4 della legge n.146/2006, a carico di numerose persone
aventi compiti diversamente ripartiti: compiti di spedizione della sostanza affidati
a Ortega Cortez e altri; compiti di ricezione in Italia affidati a Cabeza Valencia,
Pelaes Cruz, Beltran Zamora, Villalta Lopez e altri; compiti di successiva cessione
affidati agli incaricati della ricezione con accordi di consegna agli acquirenti
italiani (Della Costa, barbaro, Damiolini e altri). Giova segnalare che l’episodio di
importazione di circa 39 chilogrammi di sostanza del dicembre 2009, con arrivo a
Bologna, risulta contestato in entrambi i procedimenti.
5. Tali elementi impongono di ritenere che sussista sostanziale coincidenza
fra l’ipotesi di associazione criminosa contestata alla ricorrente e quella
contestata a Zambrano Leon, con la conseguenza che la dimensione
transazionale della struttura appartiene alla struttura illegale unitariamente
considerata. Ciò conduce a escludere l’esistenza di un “gruppo criminale
organizzato” diverso rispetto all’associazione criminosa e conduce a dare
applicazione ai principi fissati dalle Sezioni Unite penali con la sentenza n.18374
del 31/1/2013, Adami e altro.
6. Questa decisione, risolvendo il contrasto formatosi in giurisprudenza, ha
fissato il principio che la circostanza ex art.4, citata può trovare applicazione
anche al reato associativo ex art.74, citato, ma solo ove si escluda l’elemento
della “immedesimazione” tra le due diverse strutture organizzate; ciò in quanto
la immedesimazione delle due strutture è incompatibile con l’esistenza
dell’apporto causale esterno all’associazione richiesto dalla norma e dà luogo,
invece, al carattere transnazionale dell’associazione medesima ex art.3 della
legge n.146 del 2006.
7. Sulla base delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata
deve essere annullata limitatamente alla circostanza aggravante prevista
dall’at.4 della legge n.146 del 2006, che esclude, con rinvio ad altra Sezione
della Corte di appello di Milano per la determinazione della pena.

P.Q.M.
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l’esistenza di una associazione criminosa ex art.74 del d.P.R. 9 ottobre 1990,

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla circostanza
aggravante prevista dall’at.4 della legge n.146 del 2006, che esclude, e rinvia ad
altra Sezione della Corte di appello di Milano per la determinazione della pena.
Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 4/12/2013

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