Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7764 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7764 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CASTELLUZZO JARI N. IL 13/01/1986
.ful9
avverso la sentenza n. 7720/2012 TRIBUNALE di LECCE, del
21/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 12/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza deliberata il 21 febbraio 2013 ai sensi dell’art. 444 cod. proc.
pen. il GII.P. del Tribunale di Lecce applicava a Jari Castelluzzo le seguenti pene
concordate tra le parti:
– previa concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R.
309/90, esclusa la recidiva, anno uno, mesi due di reclusione ed euro 3.000,00 di
multa quanto al delitto di cui al capo a), contestato per avere detenuto a fini di

– euro 1.000,00 di ammenda in relazione al reato di cui al capo b) di porto
ingiustificato di un coltello a serramanico “a farfalla”;
– euro 2.000,00 di ammenda in ordine al reato di cui al capo c) di guida senza
patente.
2.Avverso tale sentenza l’imputato a mezzo del difensore ha proposto ricorso
per cassazione, con il quale ha lamentato inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale in relazione all’art. 4 I. n. 110/75 per non avere il G.U.P.
prosciolto esso ricorrente dal reato di cui al capo b), nonostante la condotta non
potessea essere inquadrata nella norma incriminatrice sopra citata, non essendo
ravvisabili i presupposti per configurare il reato di porto ingiustificato di coltello del
tipo a serramanico: egli si era limitato a far uso della vettura della madre, contro la
volontà di costei, senza essere consapevole della presenza dell’arma.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivo manifestamente infondato.
1.Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti costituisce
istituto processuale, in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza
di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena. Da parte
sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti
giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, una volta verificata
l’evidente insussistenza di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129
cod. proc. pen..
1.1 Ne consegue che, ottenuta l’applicazione di una determinata pena ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., all’imputato non è consentito rimettere in discussione
profili oggettivi o soggettivi della fattispecie con riferimento all’entità della pena,
tranne che la stessa sia illegale, od alla configurabilità di aggravanti o attenuanti,
non considerate o contemplate nell’accordo pattizio (ex multis: Cass., sez. 3, n.
30.11.1995, Canna, Ced Cass., rv. 203.284 e sez. VI, 18.9.2003, Cacciatori, id., rv.

1

spaccio gr. 45 di hashish, suddiviso in stecchette pronte per la cessione;

227.718)
1.2 Per contro, il Tribunale ha correttamente e logicamente ritenuto
insussistente qualsiasi causa di proscioglimento dell’imputato anche in ordine al
reato di cui al capo b) in ragione delle emergenze del controllo su strada, operato
da personale della Questura di Lecce, della vettura condotta dal Castelluzzo,
rinvenuto tra l’altro in possesso del coltello descritto nell’imputazione. In tal modo
la pronuncia in verifica risulta rispettosa dello schema argomentativo proprio della
sentenza di patteggiamento, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte

1.3 Il ricorso deduce che il coltello riposto all’interno della vettura della madre
dell’imputato non era a lui appartenuto e non era nemmeno nella sua disponibilità,
ma trascura di indicare specifiche circostanze indicative di tale assunto in grado di
dimostrare l’erroneità delle valutazioni effettuate dal G.U.P., il quale ha già
considerato l’avvenuto rinvenimento dello strumento in un momento nel quale il
veicolo era condotto proprio dal Castelluzzo; inoltre, il motivo proposto tende a
sollecitare un apprezzamento di dati fattuali non consentito al giudice di legittimità
a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato, che, seppur sintetica, è
comunque presente, effettiva e congrua.
L’impugnazione va dunque dichiarata inammissibile con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della
Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro
millecinquecento, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013.

(Cass. Sez. Unite n. 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, rv. 191135).

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