Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7760 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7760 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MIKROS ANASTASIOS N. IL 23/01/1954
avverso la sentenza n. 3244/2013 GIP TRIBUNALE di BARI, del
24/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 12/11/2013

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Ritenuto in fatto

1.Con sentenza deliberata il 24 gennaio 2013 ai sensi dell’art. 444 cod. proc.
pen. il G.I.P. del Tribunale di Bari applicava a Anastasios Mikros, concesse le
circostanze attenuanti generiche, la pena concordata tra le parti di anni quattro,
mesi sei di reclusione ed euro 388.890,00 di multa in relazione al reato di cui agli
artt. 12, commi 1, 3 lett. a) e c), 3-bis e 3-ter del D.Lgs. 286/1998, contestatogli

extracomunitari di nazionalità afgana, trasportandoli all’interno del semirimorchio di
pertinenza dell’autoarticolato dallo stesso condotto in condizioni disumane e
degradanti, fatto accertato in Bari il 16 marzo 2012.
2.Avverso tale sentenza l’imputato personalmente ha proposto ricorso per
cassazione, con il quale ha lamentato l’erronea qualificazione giuridica del fatto in
ragione della ritenuta congiunta integrazione dei presupposti per ravvisare
entrambe le circostanze aggravanti previste dai commi 1 e 3 dell’art. 12 D.Lgs.
286/98, mentre avrebbe dovuto essere applicata soltanto quella di cui al comma 1
con la conseguente rideterminazione della pena in entità inferiore.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivo manifestamente infondato.
1.Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti costituisce
istituto processuale, in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza
di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena. Da parte
sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti
giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, una volta verificata
l’evidente insussistenza di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129
cod. proc. pen..
1.1 Ne consegue che, ottenuta l’applicazione di una determinata pena ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., all’imputato non è consentito rimettere in discussione
profili oggettivi o soggettivi della fattispecie con riferimento all’entità della pena,
tranne che la stessa sia illegale, od alla configurabilità di aggravanti o attenuanti,
non considerate o contemplate nell’accordo pattizio (ex multis: Cass., sez. 3, n.
30.11.1995, Canna, Ced Cass., rv. 203.284 e sez. VI, 18.9.2003, Cacciatori, id., rv.
227.718)
1.2 Per contro, il Tribunale ha correttamente e logicamente ritenuto
insussistente qualsiasi causa di proscioglimento in ragione di quanto emerso dal
verbale di arresto in flagranza e dei risultati dell’operazione di p.g., ritenuti
1

perché compiva atti diretti a procurare l’ingresso illegale di 35 cittadini

indicativi dell’effettiva integrazione del delitto ascrittogli. In tal modo risulta
rispettato lo schema argomentativo proprio della sentenza di patteggiamento, come
delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Unite n. 5777 del
27/3/1992, Di Benedetto, rv. 191135).
1.3 Inoltre, in punto di trattamento sanzionatorio, pur non avendolo esplicitato
in motivazione, ha di fatto applicato le circostanze attenuanti generiche come
prevalenti rispetto alle aggravanti contestate, tanto da avere ridotto la pena base

per l’imputato ha prodotto la contestazione e la mancata esclusione di una delle
due circostanze.
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti
ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della Cassa delle ammende di
sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro millecinquecento, ai
sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013.

individuata nella massima misura di un terzo, sicchè alcun effetto pregiudizievole

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