Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7748 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 7748 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PATERNO’ RADDUSA BENEDETTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE RE PvabLicA PRESSO iL TR1 111) WA L G.
LECCE
nei confronti di:
D’ANGELO ANTONIO N. IL 22/09/1960
avverso la sentenza n. 6204/2013 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di LECCE, del 15/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. BENEDETTO
PATERNO’ RADDUSA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dottne.a. p r

Udit i difensor Av

DI

Data Udienza: 11/11/2015

Ritenuto in fatto e diritto
1. Con la sentenza impugnata, il Gup del Tribunale di Lecce ha dichiarato non
luogo a procedere in danno di D’Angelo Antonio ex art. 425 cod.proc.pen.
ritenendo che , quanto alla imputazione per diffamazione , con condotta resa ai
danni di Seccia Domenico , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Lucera , il fatto non costituiva reato per la ritenuta insussistenza del dolo ;
quanto alla imputazione per calunnia , sempre con condotta posta in danno del

2.

Le condotte addebitate al D’Angelo si concretavano nell’aver offeso la

reputazione del Seccia, accusandolo del reato di abuso di ufficio t pur nella
consapevolezza della innocenza dello stesso, affermando , in tre di verse
richieste di accesso agli atti amministrativi , di essere rimasto vittima di reiterate
vessazioni oggetto di sicuro accertamento giudiziario e che medesime richieste di
accesso erano state sino a quel momento ingiustamente denegate.
2.1. Secondo il Gup, in assenza di approfondimenti probatori diversamente
garantiti dal dibattimento , le dette condotte non concretavano né la calunnia
(perché, nel loro tenore, non idonee ad avviare un procedimento penale a carico
della parte lesa ) né la diffamazione r perché mancava la volontà e
consapevolezza di offendere arbitrariamente la reputazione del magistrato.
Concretavano piuttosto espressioni ineleganti e polemiche, motivate dal rapporto
di contrapposizione con la persona offesa afferente il trasferimento d’ufficio
dell’imputato, Carabiniere in servizio presso la sezione di PG di Lucera , ad altro
ufficio per motivi di sopravvenuta incompatibilità rispetto al quale avevano inciso
due note informative redatte dal Seccia nella qualità.

3. Impugna la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce ..e, lamenta
violazione dell’art. 425 cod.proc.pen. , degli artt. 368 e 595 cod.pen. nonchè
vizio di motivazione.
Tanto perchè il Giudice avrebbe effettuato una valutazione di merito sulla
responsabilità dell’imputato , travalicando i compiti del giudice dell’udienza
preliminare in sede di richiesta di rinvio a giudizio e utilizzando, quale parametro
di valutazione, quello della innocenza dell’imputato e non quello della
sostenibilità dell’accusa in dibattimento.

4. Il ricorso, in ragione di quanto precisato da qui a poco, è inammissibile.

medesimo soggetto , che il fatto era da ritenersi non sussistente.

5. Giova preliminarmente segnalare che il ricorso in disamina muove da un i 0
errore di fondo che attraversa trasversalmente il contenuto dell’intero alt
5.1 . Non può essere condivisa, in diritto, l’affermazione per la quale sarebbe r
preclusa al GUP , in esito alla udienza preliminare, ogni valutazione afferente la
fondatezza nel merito della prospettazione accusatoria.
Tale impostazione, per il vero , affonda le sue radici in diversi arresti di questa
stessa Corte nei quali si suole affermare che la regola di giudizio chiamata a
sovraintendere l’esito della udienza preliminare è essenzialmente limitata alla

indipendentemente dal corpo indiziario raccolto in fase di udienza preliminare,
così limitando, di fatto, il proscioglimento ai casi di prova positiva di innocenza o
assoluta carenza di elementi a carico.
Non di rado si afferma, infatti, che, a meno che ci si trovi in presenza di
elementi palesemente insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio, per
l’esistenza di prove positive di innocenza o per la manifesta inconsistenza di
quelle di colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere non è consentita
quando l’insufficienza o la contraddittorietà degli elementi acquisiti siano
superabili in dibattimento, così da sostenere che “sfuggono all’epilogo risolutivo i
casi nei quali, pur rilevando incertezze, la parziale consistenza del panorama
d’accusa è suscettibile di essere migliorata al dibattimento ( così Sez. 3, n.
41373 del 17/07/2014 – dep. 06/10/2014, P.M in proc. Pasteris e altri, Rv.
260968)
Il criterio di valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non sarebbe
dunque l’innocenza alla luce del quadro probatorio offerto, bensì l’impossibilità di
sostenere l’accusa in giudizio; ciò anche quando ci si trovi innanzi ad elementi
probatori insufficienti o contraddittori e sempre che appaiano destinati, con
ragionevole previsione, a rimanere, tali nell’eventualità del dibattimento.
In coerenza a siffatta impostazione, la decisione di non luogo a procedere
costituirebbe corretto epilogo della udienza preliminare solo quando resa in esito
ad un giudizio prognostico di “immutabilità” del quadro probatorio nella
successiva fase del dibattimento, per effetto dell’acquisizione di nuove prove o di
una diversa rivalutazione degli elementi in atti, nonché quando le fonti di prova
non si prestino a soluzioni alternative e aperte ( così Sez. 6, 3 luglio 2008, n.
35178, P.M. in proc. Brunetti, Sez. 6, 16 novembre 2001, n. 45275, Acarnpora;
Sez. 2, n. 5669 del 28/01/2014 – dep. 05/02/2014, P.M. in proc. Schiaffino e
altri, Rv. 258211).
5.2. Tale impostazione non trova concorde il Collegio.
Piuttosto, in linea con un recente arresto di questa stessa sezione della Corte , è
il caso di ribadire che “il giudice dell’udienza preliminare è chiamato ad una

valutazione prospettica della possibilità di acquisizione di prove in dibattimento,

valutazione di effettiva consistenza del materiale probatorio posto a fondamento
dell’accusa, eventualmente avvalendosi dei suoi poteri di integrazione delle
indagini, e, ove ritenga sussistere tale necessaria condizione minima, deve
disporre il rinvio a giudizio dell’imputato, salvo che vi siano concrete ragioni per
ritenere che il materiale individuato, o ragionevolmente acquisibile in
dibattimento, non consenta in alcun modo di provare la sua colpevolezza. (Sez.
6, n. 33763 del 30/04/2015 – dep. 30/07/2015, P.M. in proc. Quintavalle e altri,
Rv. 264427).

seppur parziale, pedissequa trascrizione in questa sede nei suoi punti più
rilevanti.
Ha, in quella occasione, segnalato la Corte che “con la disciplina introdotta dal
1999, risulta che la regola di giudizio della udienza preliminare non è più (se lo è
mai stata) limitata alla verifica superficiale che non vi siano ostacoli al rinvio a
giudizio; consiste, invece, nel valutare innanzitutto la esistenza di un corpo
indiziario da qualificare come “serio” e, poi ed in aggiunta, nella valutazione di
una seria prospettiva di un risultato positivo per l’accusa nel dibattimento.
Laddove si ammettesse il rinvio a giudizio in assenza di un minimum probatorio,
si consentirebbe la sottoposizione al processo al di fuori di qualsiasi verifica della
necessità di una tale compressione dei diritti della persona imputata.
Già a fronte della iniziale formulazione dell’art. 425 c.p.p. si riteneva che
comunque non potesse darsi lettura diversa da quella per la quale, in sede di
decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio, era prevista una valutazione di
merito.
Va quindi considerato come il comma aggiunto nel 1999 allo stesso art. 425 cit.,
soprattutto se letto rispetto al “diritto vivente” sul quale si andava ad innestare,
era ed è testuale nell’ampliare l’ambito di valutazione del giudice per l’udienza
preliminare richiedendo la esistenza di un minimo probatorio: “il giudice
pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti
risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa
in giudizio”.
Tale disposizione è stata introdotta al chiaro fine di ampliare l’ambito di
intervento del gup, rispetto ad una interpretazione che, si è detto, già riteneva
che ai fini della emissione del decreto ex art. 429 c.p.p. fosse necessario
apprezzare una “consistenza” dell’ipotesi di accusa. Quindi, ragionevolmente,
salvo considerare la norma pleonastica, deve ritenersi che quella riforma
imponesse un sindacato più attento del gup.
La interpretazione letterale del comma aggiunto dell’art. 425 c.p.p. è che la
preclusione al rinvio a giudizio è conseguenza innanzitutto della “insufficienza”

La chiarezza delle argomentazioni esposte in siffatto arresto ne impone la,

del materiale probatorio. Mentre l’espressione “elementi … contraddittori”
potrebbe anche leggersi quale impossibilità di sviluppo dibattimentale,
“elementi… insufficienti”, che certamente non esclude che possa esservi uno
sviluppo dibattimentale (anzi, l’insufficienza degli elementi prodotti all’esito delle
indagini, riduce il materiale che potrebbe essere valutato a favore dell’imputato
rendendo più difficile negare la possibilità teorica di acquisire utili prove nel
dibattimento), non significa altro che quello che è il suo immediato significato:
“scarsità del materiale probatorio”.

possibilità che in dibattimento si raccolgano prove utili – che al momento
dell’udienza preliminare non vi sono -, tale disposizione non avrebbe alcuna
ragione d’essere, potendo disporsi il proscioglimento solo per i casi limite della
accertata innocenza, delle imputazioni macroscopicamente impossibili e dei casi
in cui il materiale a carico non giustifichi neanche la prospettazione di
commissione del reato.
Quanto alla espressione “o comunque non idonei a sostenere l’accusa in
giudizio”, appare evidente che la stessa, per come collocata nel contesto
complessivo, non si raccorda a “insufficienza” o a “contraddittorietà” per
completarne il senso nel caso concreto, bensì impone che nel caso inverso
(ovvero quando gli elementi siano “sufficienti” e “univoci”), non si possa rinviare
a giudizio nei casi in cui, pur a fronte di tali elementi, non vi sia alcuna
prospettiva di ulteriore sviluppo per giungere alla prova piena del fatto.
Al dato testuale diretto, nell’ambito della disciplina specifica della “regola di
giudizio”, si aggiungono altri elementi significativi.
Si è detto come il sistema riformato appaia presupporre sostanzialmente la
“completezza” delle indagini; tale regola risulterebbe dalla lettura dell’art. 421
bis c.p.p. “ordinanza per la integrazione delle indagini”.
Va quindi considerato che, nella introduzione di nuovi e forti poteri del giudice
per l’udienza preliminare, quello di procedere alla raccolta di prove nel corso
della udienza ex art. 422 c.p.p. è potere che può essere esercitato solo al fine di
giungere al proscioglimento mentre un tale limite, invece, non è stato posto alla
ordinanza per la integrazione delle indagini.
La possibilità di integrare le indagini è, ragionevolmente, un indice della
necessità di acquisire un quadro probatorio minimo per il rinvio a giudizio. La
necessità di completamento delle indagini ha ragione d’essere solo se, a fronte di
elementi a carico insufficienti, il giudice sia tenuto al proscioglimento. Se non
fosse necessario ottenere tale quadro probatorio minimo non vi sarebbe
necessità della integrazione delle indagini: il giudice potrebbe rinviare a giudizio
per il possibile sviluppo dibattimentale; ed anzi, proprio nel caso della possibilità

Se, quindi, bastasse il carattere “aperto” degli elementi acquisiti, ovvero la

di integrazione delle indagini, sarebbe innegabile la esistenza di uno spazio per
un ulteriore sviluppo probatorio e, quindi, non vi sarebbe ragione di ritardare il
rinvio a giudizio.
Il potere di integrazione introdotto con l’art. 421 bis c.p., invece, appare
finalizzato, laddove sia in concreto possibile, al completamento della acquisizione
in caso di mancanza di un quadro probatorio minimo per giustificare il giudizio.
Se bastasse la mera notizia di reato per giustificare il rinvio a giudizio,
accompagnata dalla possibilità teorica di ulteriore sviluppo, tale integrazione non

filtro a maglie larghe delle imputazioni azzardate posto che, ogniqualvolta il
pubblico ministero avesse esercitato l’azione penale richiedendo il rinvio a
giudizio in presenza di elementi inidonei per carenza o insufficienza o
contraddittorietà della prova a sostenere l’accusa in dibattimento, il giudice
dell’udienza preliminare non avrebbe potuto prosciogliere l’imputato e, quindi,
l’imputazione azzardata sarebbe sfociata egualmente nel dibattimento. Se,
invece, l’art. 425 c.p.p. fosse stato riferibile pure alle situazioni di prova carente,
insufficiente o contraddittoria, il filtro sarebbe risultato a maglie strette e la
funzione di controllo sulle imputazioni azzardate sarebbe stata effettivamente
espletata”).
Anche guardando le cose da un diverso punto di vista, si giunge a simili
conclusioni:
se la interpretazione della regola di giudizio fosse nel senso che il giudice non
deve valutare in alcun grado la colpevolezza od innocenza, ma solo considerare
se, in base all’esito delle indagini, appaia possibile lo sviluppo dibattimentale
ovvero se, allo stato degli atti presentatigli (integrati da allegazioni, anche di
indagini difensive, della difesa), vi sia la prova positiva di innocenza, si avrebbe
un risultato paradossale che è dimostrato proprio dal ricorso qui in trattazione.
Difatti, il PM, in risposta a quei casi, dei vari oggetto del procedimento, in cui il
gup considerava il materiale indiziario inconsistente, ha obiettato formulando
una osservazione che si può sintetizzare come segue “non si può mai dire,
l’imputato magari confessa, o confessa il presunto complice”. Ovvero, a ritenere
che sia sufficiente la mera notizia di reato accompagnata dalla generica
indicazione di prove da raccogliere in dibattimento, meno materiale offre il PM e
minore è l’ambito in cui il giudice può rilevare la impossibilità di sviluppo
dibattimentale ovvero la prova attuale, positiva, di innocenza.
Palese, inoltre, come, escluso un tale serio ruolo di controllo, l’udienza
preliminare, nella catena di attività che portano al processo ordinario, anziché
strumento di garanzia per l’imputato, cui si intende garantire un controllo contro
la sotto posizione a processo in base a imputazioni inconsistenti ovvero

avrebbe alcuna possibile funzione i gl’udienza preliminare avrebbe costituito un

”azzardate”, diventerebbe ulteriore strumento di “sofferenza” in sè, a fronte
degli inevitabili costi, economici e non, per un mero “passaggio di carte”; la
assenza di un minimo probatorio non precluderebbe affatto il rinvio a giudizio e
anche la possibilità di offrire prova contraria sarebbe una attività consentita nei
limiti della assenza di una attività istruttoria in udienza preliminare.

5.3. Le superiori considerazioni in diritto , pienamente condivise dal Collegio,
rendono giustizia della infondatezza della doglianza con la quale si rivendica

Non può infatti ritenersi resa in violazione del disposto di cui all’art. 425 i comma
IIIcod.proc.pen. la valutazione spesa dal GLID nel giungere all’epilogo risolutivo
della udienza preliminare in termini negativi per l’accusa ove si siano ritenuti,
con motivazione non manifestamente illogica e coerente al dato probatorio di
riferimento, inadeguati, contradditori o non sufficienti gli elementi offerti a
sostegno della richiesta di rinvio a giudizio.
La inconferenza delle emergenze di indagine rispetto al reato contestato; ancora
la ritenuta sostanziale inconsistenza del materiale probatorio offerto alla verifica
del GUP, in presenza di indicazioni in sé inadeguate o di emergenze di indagine
contraddittorie, impone la decisione di non luogo a procedere e rende
assolutamente indifferenti al fine i possibili sviluppi dibattimentali una volta che il
giudice non abbia ritenuto di poter colmare tale situazione attraverso i poteri
officiosi di indagine che il codice di rito gli ha conferito.

5.4. In ogni caso, il semplice e apodittico riferimento alle potenziali evoluzioni
del quadro probatorio eventualmente garantite dal dibattimento , non altrimenti
dettagliate e precisate nel loro effettivo tenore prospettico ( impostazione cui
non sfugge il ricorso in disamina), non avrebbe mai potuto portare ad una
soluzione diversa da quella assunta anche seguendo una linea interpretativa di
fondo differente da quella sopra tracciata,quanto ai poteri di valutazione ascritti
al Gup nel corso della udienza preliminare.
Anche a ragionare diversamente, infatti, resta da dire che senza dedurre
specificamente gli ulteriori elementi di prova che avrebbero potuto essere
acquisiti al dibattimento, né i punti del quadro probatorio suscettibili di
integrazione attraverso il contraddittorio dibattimentale, la doglianza, per la
generica e apodittica rivendicazione in questione avrebbe comunque portato alla
medesima conclusione ( cfr in tal senso Sez. 6, n. 17659 del 01/04/2015 – dep.
27/04/2015, P.G. in proc. Bellissimo e altro, Rv. 263256).

l’erroneità della regola di giudizio sottesa alla decisione qui contrastata.

6. Ciò premesso, alla luce dei superiori principi ed a fronte di una situazione
quale quella fotografata dalla decisione impugnata, il ricorso ex art. 428
proposto dalla parte pubblica avrebbe dovuto prospettare o una erronea
interpretazione del dato normativo di riferimento quale alle ipotesi di reato in
contestazione; o, ancora , momenti di aperta contraddittorietà logica delle
argomentazioni spese a sostegno della decisione assunta dal GUP nel negare
accesso al dibattimento; o, infine,

il travisamento di decisive emergenze

probatorie offerte al Gup.

La affermata violazione di legge inerente le due ipotesi di reato contestate trova
labiale enunciazione nominale nel primo motivo. Nel corpo del ricorso, per
contro, manca ogni specificità argomentativa quanto alle ragioni in diritto sottese
alla violazione addotta , concretandosi i rilievi segnalati in mere valutazioni
alternative del medesimo materiale di indagine, distoniche rispetto al vizio in
questione e maggiormente confacenti al tema della motivazione intrisa da
illogicità.
6.2. Ma anche sotto tale versante , le doglianze prospettate trovano un referente
primario se non esclusivo nel richiamo alla regola di giudizio ( l’asserita necessità
di evitare sovrapposizioni con il giudizio di merito sulla responsabilità
dell’imputato) che il Gup avrebbe violato : riferimento non solo viziato in radice
dalla erroneità in diritto della valutazione spesa a monte, ma altresì del tutto
eccentrico rispetto ai canoni di valutazione della linearità logica della
motivazione.
6.3. Quando poi, nel ricorso, ci si allontana da questa linea di prospettazione, si
segnalano a supporto della manifesta illogicità, parametri di riferimento (i
procedimenti penali promossi a carico della medesima persona offesa
determinati tuttavia da altre, autonome, condotte ascritte al ricorrente ) che, in
linea con quanto segnalato dal Gup ( si veda l’utimo capoverso di pagina 6), non
costituiscono chiave di lettura, né necessaria nè conferente, quantomeno nei
limiti della genericità della doglianza devoluta a questa Corte , delle situazioni in
fatto ( le affermazioni contenute nelle tre richieste di accesso agli atti indicate
nella imputazione) poste all’attenzione del decidente.

7. Da qui la decisione assunta nei termini di cui al dispositivo che segue
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso 1’11 novembre 2015
Il Consigliere estensore

6.1. Non una di queste ipotesi trova riscontro nel ricorso che occupa.

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