Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7729 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7729 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
D’AMICO GENNARO N. IL 17/07/1974
avverso l’ordinanza n. 2167/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 18/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 12/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 18 gennaio 2013 il Tribunale di Sorveglianza di
Roma rigettava il reclamo proposto da Gennaro D’Amico- detenuto in custodia
cautelare in carcere per effetto delle ordinanze emesse dal G.I.P. del Tribunale di
Napoli del 20 maggio 2011, del 5 maggio 2011 e del 14 luglio 2011 con

quale, ex art. 41 bis ord. pen., era stata disposta la sua sottoposizione a regime
detentivo differenziato per la durata di anni quattro.
1.1 Ad avviso del Tribunale tale provvedimento era giustificato da plurimi
elementi: a) l’inserimento del condannato da tempo risalente nei clan
camorristici attivi a San Giovanni a Teduccio di Napoli; b) l’assunzione del ruolo
di capo del clan, costituito con i fratelli sin dall’anno 1993; c) lo scontro
sanguinoso che aveva opposto il gruppo criminale dallo stesso capeggiato e
denominato clan Mazzarella-D’Amico-Formicola al clan Reali-Rinaldi-AltamuraCuccaro, nel quale il D’Amico era rimasto coinvolto personalmente, sino
all’acquisito predominio del primo ed il controllo del traffico di stupefacenti e
delle attività estorsive nella zona d’influenza; d) la perdurante operatività
dell’associazione, quale desumibile da recentissimi omicidi e dalle altrettante
recenti iniziative estorsive in danno di imprenditori locali; e) la condotta
carceraria irregolare consistita in una grave infrazione disciplinare, che gli era
valsa la trasmissione della notizia di reato alla Procura della Repubblica
competente.
2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione,
tramite il difensore di fiducia, l’indagato, il quale ne denuncia l’illegittimità per
difetto assoluto di motivazione e comunque per illogicità e coerenza circa la
sussistenza degli elementi indicativi dell’attuale operatività del gruppo criminale
e della capacità del detenuto di mantenere contatti con i suoi esponenti,
essendosi limitato il Tribunale a passare in rassegna gli indizi di reità in ordine ai
reati contestatigli senz’alcun riferimento a circostanze dimostrative della sua
pericolosità sociale. Inoltre, non aveva considerato che anche i suoi fratelli e
numerose altre persone erano stati sottoposti a misure custodiali, il che
consentiva di escludere la persistenza in vita dell’organizzazione e non erano

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decorrenza 31 maggio 2011- avverso il decreto del Ministro della Giustizia, con il

stati acquisiti elementi, mediante intercettazione, colloqui, dialoghi in genere,
attestanti il mantenimento di collegamenti con familiari e detenuti di interesse
criminale, mentre l’infrazione disciplinare, non illustrata nei relativi
comportamenti e rimasta priva di effetti penali, pareva alludere all’ipotesi di
applicazione del regime detentivo differenziato in presenza di rivolte o di altre

gravi situazioni di emergenza, non ricorrenti nel suo caso.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile, perché basata su motivi non consentiti
dalla legge nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.
1. L’art. 41 bis della legge n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2 della legge
23 dicembre 2002 n. 279, stabilisce prevede la possibilità di sospendere, in tutto
o in parte, le regole del trattamento nei confronti dei soggetti condannati per
taluno dei delitti ivi menzionati allorchè ricorrono “elementi tali da far ritenere la
sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o
eversiva”. Secondo quanto già rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte
(Cass. sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, Emnnanuello, rv. 232684; sez. 1, n.
46013 del 29/10/2004, P.G. in proc. Foriglio, rv. 230136) con orientamento, cui
si ritiene di dover aderire, la chiara formulazione della norma indica che, per il
riconoscimento di detta condizione e diversamente da quanto richiesto per
formulare un giudizio di responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio”, non
debba essere dimostrata in termini di certezza la sussistenza dei detti
collegamenti, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere
ragionevolmente ritenuta probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti. E tra
le fonti di informazione valutabili a tal fine rientrano sicuramente gli elementi,
ricavabili dalla pendenza di procedimenti per altri delitti di criminalità
organizzata, come ricorre nel caso del D’Amico, sottoposto contestualmente a tre
diversi procedimenti per reati di tal natura, circostanza non contestata col
ricorso.
1.1 Va altresì ricordato che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di
Cassazione è stabilito dal comma 2-sexies del novellato art. 41-bis, a norma del
quale il Procuratore generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore

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possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale unicamente per dedurre il vizio di
violazione di legge.
1.2 La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge va
intesa nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre
che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla

quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice
di merito per ritenere giustificata l’adozione del provvedimento, ovvero quando
l’apparato argomentativo sia talmente scoordinato e carente nei suoi passaggi
logici da far rimanere ignote o non comprensibili le ragioni che hanno giustificato
la decisione (Sez. Un. 28/5/2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9/11/2004,
ric. Santapaola, rv. 230203; Sez. 1, n. 449 del 14/11/2003, Ganci, rv. 226628).
1.3 E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere
il vizio di illogicità o contraddittorietà della motivazione dedotto dal ricorrente,
che sotto questo profilo, non può evidentemente trovare ingresso in questa sede.
2. Ciò premesso, è destituita di qualsiasi fondamento la doglianza che
assume l’assoluta carenza di motivazione: al contrario, prendendo spunto dagli
elementi indiziari esposti nelle ordinanze di sottoposizione a custodia in carcere,
-indicativi del ruolo di vertice rivestito nella consorteria di appartenenza,
dell’egemonia ottenuta nell’ultimo biennio sulle sue tradizioni attività criminose
del traffico di droga e delle estorsioni, gestite sino a tempi recenti, dell’attività
violenta e sanguinosa di contrasto al clan rivale, tanto da avere subito
personalmente un attentato, cui era riuscito a sfuggire e che dava conto anche
dell’importanza della posizione rivestita, del compimento di gravissimi fatti di
sangue sino a pochi mesi prima della cattura, del mantenimento anche in carcere
di un atteggiamento prepotente ed aggressivo, consono al suo ruolo di
capocosca, al punto da essere stato denunciato all’Autorità giudiziaria per il
compimento di gravi offese al personale penitenziario-, il Tribunale ha giustificato
il giudizio espresso in ordine alla qualificata ed attuale pericolosità del detenuto
ed alla sua capacità di mantenere contatti con l’associazione criminale di

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mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei

appartenenza.
2.1 Né può ritenersi fondata la censura relativa al fatto che la capacità di
mantenere i collegamenti con la criminalità organizzata è stata affermata dal
Tribunale senza l’indicazione di specifici elementi dimostrativi: pur in assenza di
intercettazioni o di contatti epistolari, è stato evidenziato che il D’Amico

mai dissociato dalle scelte di vita intraprese e dalla militanza camorristica;
pertanto, non ha alcun pregio giuridico e logico sostenere che i fratelli o altre
imprecisate persone ad essi vicine siano state tratte in arresto, non risultando il
completo annientamento della cosca, dei gruppi ad essa alleati e di quanti vi
gravitano attorno e non potendo desumersi, per le caratteristiche stesse del
fenomeno criminoso, destinato a perpetuarsi nel tempo ed anzi a consolidare il
potere sul territorio, l’avvenuto scioglimento del suo clan e la cessazione di
qualsiasi sua attività delittuosa, le ultime delle quali poste in essere appena due
mesi prima dell’emissione dei titoli custodiali.
2.2 Per quanto già esposto, non possono essere prese in considerazione,
perché non proponibili nel giudizio di legittimità, le censure relative all’illogicità e
contraddittorietà dell’impianto motivazionale dell’ordinanza impugnata in
relazione alla mancata valutazione delle precedenti sentenze di assoluzione e
dell’assenza di precedenti condanne per fatti di criminalità organizzata, nonché
del mancato accertamento in sede giudiziale dell’illecito disciplinare ascrittogli,
emergenze già compiutamente prese in esame dal Tribunale, che le ha ritenute
prive di significato dirimente a fronte di quanto acquisito a seguito dell’attività
investigativa, condotta mediante intercettazioni e dichiarazioni di collaboratori di
giustizia e dell’informativa di reato, redatta dalla direzione dell’istituto ove egli è
ristretto.
2.3 Deve dunque concludersi che il Tribunale, con motivazione idonea ad
assolvere alla sua funzione, ha valorizzato elementi particolarmente significativi,
sui quali ha fondato il giudizio di piena legittimità del decreto ministeriale con
tutte le limitazioni ivi previste.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di
esonero – al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende,

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intrattiene contatti con i familiari ancora liberi e comunque non risulta essersi

congruamente determinabile in C 1000,00.

P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013.

spese processuali e al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) in favore

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