Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7720 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 7720 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: COSTANZO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Nicoletti Calogero Antonio Filippo, nato a Caltanissetta, 1’1/01/1975;
avverso la sentenza della prima sezione penale della Corte d’Appello di
Catania n.472/2015 del 20/02/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angelo Costanzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale
Oscar Cedrangolo, che ha concluso per l’inamrnissiiblità del ricorso;
udito il Difensore di Calogero Nicoletti, avvocato Salvatore Bevilacqua del
Foro di Enna, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso, e l’avvocato
Giuseppe Tomasellli del Foro di Siracusa, per la parte civile Russo Graziella, che
ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso,

ha

pronunciato la seguente sentenza.i

Data Udienza: 25/11/2015

2

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. La sentenza emessa dalla prima sezione penale della Corte di Appello di
Catania n.472/2015 del 20/02/2015 ha confermato la condanna (con le
statuizioni civili) pronunciata dal giudice di primo grado per il reato di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni (art.392 cod.pen.) nei confronti di Nicoletti

Nel ricorso presentato per conto di Nicoletti Calogero Antonio Filippo si
chiede l’annullamento della sentenza per: a) violazione di legge e difetto di
motivazione in relazione agli artt.192 e 533 cod.proc.pen. e travisamento della
prova; b) insussistenza del diritto della parte civile al risarcimento del danno e al
pagamento delle spese processuali; c) violazione di legge e difetto di
motivazione in relazione all’art.392 cod.proc.pen..

2. Il ricorso è infondato.
2.1.

Nella sentenza della Corte di Appello è adeguatamente spiegato

per quali ragioni alcuni contrasti fra le dichiarazioni delle testimoni (una delle
quali è la persona offesa costituitasi parte civile) che accusano l’imputato sono
state ritenute non riguardanti “il nucleo centrale dell’imputazione” e su questo
nucleo, invece, coincidenti e costanti e per quale ragione – invece – non è stata
ritenuta attendibile la dichiarazione del teste a difesa. Né è mancata valutazione
circa la rilevanza del contenuto di altre, secondarie, dichiarazioni testimoniali.
Le modifiche apportate dall’art.8 L.20 febbraio 2006, n.46 non hanno
mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane un giudizio di legittimità.
Ne consegue che gli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame” menzionati ora dall’art.606, comma primo, lett.e), cod.proc.pen., non
possono che essere quelli concernenti l’eventuale “travisamento della prova” che
si configura quando il giudice del merito ha utilizzato una prova inesistente o
quando ha presupposto come esistente una prova mai assunta, fatti decisivi,
che – se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto
probatorio – avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella
adottata. Rimane esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e
completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle
risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito. In
altri termini, non è possibile dedurre come motivo il “travisamento del fatto” giacchè è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti

Calogero.

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gradi di merito – mentre è consentito dedurre il “travisamento della prova”, che
ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di merito abbia fondato il suo
convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
incontestabilmente diverso da quello reale. In quest’ultimo caso, infatti, non si
tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini
della decisione, ma di verificare se questi elementi esistano (Cass.pen.: Sez.4,
n.4675 del 17/05/2006, dep.2007, Rv.235656; Sez.4, n.35683 del 10/07/2007,
Rv.237652; Sez.5, n.30440 del 22/06/2006, Rv.234603).

deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile,
tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso
intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia
inopinatamente tratto, mentre non dà luogo al vizio di travisamento della prova
un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione
medesima, ossia la scelta, da parte del giudice, di un’interpretazione delle
dichiarazioni testimoniali, giustificata peraltro da massime di esperienza, in luogo
di altra e diversa interpretazione (Cass.pen.; Sez.5, n.9338 del 12/12/2012,
dep.2013, Rv.255087; Sez.3, n.46451 del 07/10/2009, Rv.245611). Nel caso in
esame è proprio – inammissibilmente – la valutazione da parte del giudice del
significato probatorio complessivo delle dichiarazioni testimoniali quella che viene
contestata. Peraltro, in ogni caso, per rispettare il principio di autosufficienza i il
ricorso in cassazione che denuncia il vizio di travisamento di una prova
testimoniale, dopo aver indicato la citazione saliente della prova operata dai
giudici di merito, deve riportare, inserendola nel corpo del ricorso, la
riproduzione integrale delle dichiarazioni rese dal testimone, in modo da
consentire l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto. (Cass.pen.: Sez..1,
n.25834 del 04/05/2012, Rv.253017; Sez.4, n.37982 del 26/06/2008,
Rv.241023).
2.2.

Il secondo motivo di ricorso risulta infondato in quanto dal

ricorrente semplicemente posto come conseguenziale al primo.
2.3.

Con il terzo motivo – aggiunto ex art.585, comma 4, cod.proc.pen.

– il ricorrente sviluppa argomentazioni miranti a escludere che le condotte
ascrittegli sarebbero, comunque, sussumibili sotto la norma incriminatrice
indicata nel capo di imputazione (art.392 cod.pen.). In realtà si tratta di motivi
nuovi di impugnazione perché riguardano un tema diverso da quello,
concernente la prova dei fatti, posto con il ricorso. I motivi “nuovi”

menzionati

negli artt.311, comma 4, 585, comma quarto, e 611, comma primo,
cod.proc.pen. – presentati a sostegno dell’impugnazione devono avere a oggetto
– a pena di inammissibilità – solo i capi o i punti della decisione impugnata che

In particolare, il vizio di travisamento della prova dichiarativa, per essere

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sono stati già enunciati nei motivi originariamente proposti a norma dell’art.581,
comma 1, lett. a), cod. proc. pen. e investiti dall’impugnazione principale già
presentata (lo si evince anche dall’art.167 disp.att.cod.proc.pen. nel quale si
richiede che nel caso di presentazione di motivi nuovi siano specificati i capi e i
punti della impugnazione ai quali i motivi si riferiscono) essendo necessaria la
sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari
perchè l’ammissibilità di censure non tempestivamente formalizzate entro i
termini per l’impugnazione determinerebbe una irragionevole estensione dei

impugnare (Cass.pen.: Sez.Un.: n.4683 del 4683 del 25/02/1998, Rv.210259;
Sez.6, n.6075 del 13/01/2015, Rv.262343; Sez.3, n.18293 del 20/11/2013,
dep.201, Rv. 259740).
Tuttavia la lettura giuridica adeguata del fatto contestato è punto della
decisione che può essere introdotto anche per la prima volta davanti alla Corte di
Cassazione (art.609, comma 2, cod.proc.pen.), sebbene tale deduzione, pur in
sè ammissibile, subisca i limiti di cognizione della Corte di Cassazione, perché
quando il tema della riqualificazione giuridica è introdotto come motivo nuovo, il
fatto storico con cui è possibile il confronto deve necessariamente essere quello
ricostruito dai giudici dei merito, insuscettibile di letture alternative del fatto (ex
plurimis:

Cass.pen. Sez.1, n.13387 del 1605/2013, dep.2014, Rv.259730;

Sez.6, n.6578 del 25/01/2013, Rv.54543). Valga, affiora, osservare che nel caso
in esame, si contesta che Nicoletti Calogero potesse essere soggetto attivo del
reato dal momento che non sarebbe il titolare del preteso diritto arbitrariamente
soddisfatto (egli era agente di commercio per la società Seventeen, riconducibile
a Fedele Lovi), sicchè non avrebbe potuto ricorrere al giudice (condizione
richiesta dall’art.392 cod.pen.), trascurando che egli era comunque colui che
aveva fornito la merce nell’ambito di una sua autonomia di azione giuridica quale
agente di commercio e, inoltre, che – secondo consolidata giurisprudenza di
questa Corte (fra le altre: Cass.pen., Sez.6, n.23322 dell’8/03/2013,
Rv.2566623; Sez.6, n.15972 del 5/04/2001, Rv.218668) – soggetto attivo del
reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza sulle cose può
essere anche chi esercita il preteso diritto pur non avendone la titolarità. In
relazione all’assunto, coltivato nel ricorso in esame, secondo il quale
mancherebbe nella fattispecie la violenza sulle cose richiesta dalll’art.392
cod.pen., deve rilevarsi che, come è espresso nel secondo comma dell’art.392
cod.pen. per integrare la fattispecie oggettiva del reato è sufficiente il
mutamento della destinazione o della utilizzazione della cosa, indipendentemente
dalla sua fisica alterazione e dal verificarsi di danni materiali (Cass.pen., Sez.6,

tempi di definizione del processo e lo scardinamento del sistema dei termini per

5
n.6187 del 17/12/2008, dep.2009, Rv.243053). Anche sotto i sopra trattati
profili, pertanto, il ricorso risulta infondato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorente al pagamento del& spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo grado di
giudizio dalla parte civile Russo Graziella, spese che liquida in complessivi euro
2300, oltre IVA e CPA..

Così deciso in Roma, il 25/11/2015.

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