Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 772 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 772 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CONSOLI VINCENZO N. IL 19/09/1944
avverso l’ordinanza n. 3792/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 11/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/setite le conclusioni del PG Dott. 1,1 t co LA L e
“k:Z- Nzpze,

1.J vha .

dit i difensor Avv.;

Data Udienza: 21/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza pronunciata 1’11.04.2013,
ha accertato l’insussistenza della qualità di persona che collabora con la giustizia
oggetto della richiesta formulata ex art. 58-ter Ord.Pen. da Consoli Vincenzo,
detenuto in espiazione della pena di anni 30 di reclusione (determinata ex art.
78 cod. pen.) per i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio
aggravato e altri reati, commessi fino al 1982.
A sostegno della richiesta, il Consoli aveva dedotto di aver collaborato con la

Duisburg”, alla quale non aveva partecipato ma di cui aveva appreso durante la
detenzione carceraria rilevanti informazioni, nonché di aver collaborato con la
DDA di Messina e il Pubblico Ministero di Milano in relazione ai delitti (da lui
commessi) che stava espiando; invocava pertanto il disposto dell’art. 16-nonies
comma 5 legge n. 82 del 1991, agli effetti della concessione dei benefici ivi
richiamati.
Il Tribunale, premesso che l’accertamento della qualità di collaboratore di
giustizia agli effetti richiesti dal Consoli prescinde dall’ammissione del soggetto
alle speciali misure amministrative di protezione volte a tutelarne l’incolumità
personale, esigendo invece la positiva verifica di una condotta collaborativa
riferita ai delitti normativamente indicati che si sia tradotta, sul piano
processuale, nella dissociazione dal sodalizio criminale, nell’effettivo impegno per
evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori (anche
mediante concreto aiuto all’Autorità di polizia o all’Autorità giudiziaria nella
raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione e
l’arresto degli autori dei reati), e che risulti suscettibile di apprezzamento ai fini
della graduazione della pena mediante la concessione delle attenuanti previste
dal codice o dalle leggi speciali, rilevava che dalle informazioni assunte presso la
DNA era emerso che il Consoli aveva effettivamente reso, anche in sede
dibattimentale, informazioni decisive – agli effetti della condanna dei relativi
autori – sulla c.d. “strage di Duisburg”, sulla struttura delle cosche di ndrangheta
Nirta e Strangio e su vasti traffici internazionali di stupefacenti, riferendo
peraltro fatti ai quali non aveva preso parte ma che aveva appreso de relato in
carcere, così che la sua posizione era assimilabile più alla figura del testimone di
giustizia ex art. 16-bis legge n. 82 del 1991 che a quella del collaboratore di
giustizia, con la conseguenza che le propalazioni rese, per quanto rilevanti, non
erano suscettibili di positiva valutazione agli effetti di poter beneficiare di
circostanze attenuanti, e dunque non erano idonee a integrare la fattispecie
collaborativa di cui al 10 comma dell’invocato art. 16-nonies.
Ciò escludeva, ad avviso del Tribunale, anche la ricorrenza dell’ipotesi prevista
1

DDA di Reggio Calabria in relazione alle indagini riguardanti la c.d. “strage di

dal 5 0 comma del medesimo articolo, relativa alla collaborazione prestata, dopo
la condanna, per fatti diversi da quelli per i quali la condanna era intervenuta,
proprio perché si trattava di fatti commessi da altri soggetti ai quali il Consoli era
estraneo, con conseguente impossibilità di beneficiare di attenuanti di sorta.
Quanto alla collaborazione prestata per i reati in corso di espiazione, e
segnatamente per il delitto di cui all’art. 630 cod. pen., il Tribunale osservava
che il Consoli, rimasto latitante dal 1978 al 2002, arrestato in Brasile nel 2002,
estradato in Italia nel 2006 e interrogato il 29.09.2006, aveva confessato la
propria responsabilità nel sequestro Airaghi (commesso negli anni 1981-82) per

il quale era già stato condannato in via definitiva, e nel sequestro Armani Dino
(commesso nei primi mesi del 1979, quando era latitante) in relazione al quale
aveva indicato anche i nomi dei correi; il procedimento penale che ne era
scaturito era stato tuttavia archiviato perché insuscettibile di utili sviluppi, in
quanto taluni dei correi erano già stati giudicati o erano nel frattempo deceduti,
mentre per gli altri era maturato il termine di prescrizione del reato, così che le
dichiarazioni collaborative non avevano apportato alcun aiuto concreto alla
ricostruzione dei fatti e all’individuazione e cattura dei responsabili, costituente il
necessario presupposto per l’accertamento della condizione prevista dall’art. 58ter Ord.Pen..
2. Ricorre per cassazione Consoli Vincenzo, a mezzo del difensore, deducendo
inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 16nonies comma 5 legge n. 82 del 1991 e 47-ter Ord.Pen., sostanziatasi nella
disapplicazione della relativa disciplina da parte dell’ordinanza impugnata, di cui
chiede l’annullamento.
In particolare, il ricorrente censura come errata l’interpretazione operata dal
Tribunale della norma di cui al citato comma 5 dell’art. 16-nonies nel senso di
escludere l’applicazione della fattispecie collaborativa ivi prevista al soggetto che,
come il Consoli, dopo la condanna riportata in via definitiva per altri reati, avesse
prestato una rilevantissima collaborazione per altri fatti delittuosi di eccezionale
importanza per i quali era stata emessa una sentenza di 10 grado confermativa
della sussistenza (nella collaborazione prestata) dei requisiti stabiliti dall’art. 9
comma 3, sul presupposto – non previsto dalla legge – che il collaborante non
avesse assunto la qualifica di imputato con riguardo ai fatti ai quali la
collaborazione si riferiva; proprio il richiamo ai requisiti della collaborazione
prestata previsti dall’art. 9 comma 3, e non dall’art. 16-nonies comma 1, della
legge n. 82 del 1991, rendeva invece evidente, secondo il ricorrente, la voluntas
legis di premiare le condotte collaborative qualificate ex art. 9 comma 3 anche
nell’ipotesi in cui la collaborazione provenisse da un soggetto condannato per
reati diversi da quelli indicati nel

10 comma dell’art. 16-nonies (come
2

(Ì»

riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità citata nel ricorso), a prescindere
dalla partecipazione o meno del collaborante al reato al quale la collaborazione si
riferiva.
3. Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto
del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Occorre premettere che nessuna doglianza risulta proposta dal ricorrente con
riferimento alla mancata valorizzazione, agli effetti dell’accertamento della
condizione di persona che collabora con la giustizia di cui all’art. 58-ter Ord.Pen.,

della collaborazione prestata dal Consoli in relazione ai fatti oggetto della
condanna attualmente in espiazione, per i quali l’ordinanza impugnata ha
escluso, con motivazione puntuale, qualsiasi utilità investigativa delle
dichiarazioni collaborative, che riguardano fatti assai risalenti (si tratta di
sequestri di persona a scopo di estorsione commessi in un arco temporale
compreso tra il 1979 e il 1982), per i quali è maturata la prescrizione del reato o
comunque i correi, indicati dal collaborante, che non siano nel frattempo
deceduti, sono già stati giudicati in via definitiva.
2. Con riguardo alla collaborazione prestata per l’accertamento dei fatti inerenti
la c.d. “strage di Duisburg” e la struttura delle cosche di ndrangheta Nirta e
Strangio (nonché i connessi traffici internazionali di stupefacenti), il ricorso è,
invece, infondato.
L’importanza della collaborazione investigativa che è stata fornita, sul punto, dal
ricorrente è stata riconosciuta dall’ordinanza impugnata, e non è in discussione:
essa, tuttavia, non può assumere rilevanza al fine del riconoscimento della
condizione necessaria per la fruizione dei benefici premiali in deroga, previsti dal
10 comma dell’art. 58-ter Ord.Pen., in quanto rispetto a tali fatti il Consoli
assume la veste di un testimone – e non di un collaboratore – di giustizia,
essendo egli (pacificamente) estraneo ai fatti stessi, ed essendosi la sua
collaborazione sostanziata nel riferire quanto appreso (de relato) da altri soggetti
durante la comune detenzione carceraria.
Difetta, dunque, uno degli elementi essenziali per l’accertamento di una
collaborazione giuridicamente rilevante agli effetti della normativa premiale
invocata dal ricorrente, rappresentato dall’assunzione di responsabilità derivante
dalla natura (anche) autoaccusatoria che deve caratterizzare le dichiarazioni del
collaborante – per quanto aventi ad oggetto fatti diversi da quelli per i quali è
intervenuta la condanna in corso di espiazione – posto che altrimenti non può
neppure prospettarsi una questione di meritevolezza delle attenuanti previste dal
codice penale o dalle leggi speciali, come effetto della collaborazione prestata,
proprio perché il dichiarante non ha partecipato alla commissione del reato, e

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j–1

dunque non è ipotizzabile a suo carico l’irrogazione di alcuna pena suscettibile di
graduazione sanzionatoria.
Sul punto, va richiamato il precedente, in termini, di cui alla sentenza di questa
Corte, Sez. 1, n. 14929 del 21/02/2008, rv 240136, che ha escluso qualsiasi
equiparazione dei testimoni di giustizia ex art. 16-bis legge n. 82 del 1991
(destinatari di una disciplina limitata alla fruizione di speciali misure di
protezione) alle persone che collaborano con la giustizia, ai fini della spettanza
dei benefici penitenziari riconosciuti a questi ultimi dalla normativa premiale,

condannato-collaboratore del soggetto interessato a ottenerli, non avendo invece
rilievo (a tali fini) la collaborazione, per quanto utile e meritevole, prestata come
testimone al di fuori della condanna per delitti di criminalità organizzata o per
uno dei reati comunque previsti dall’art. 4-bis comma 1 dell’ordinamento
penitenziario.
Inconferente si rivela, di contro, il richiamo operato dal ricorrente alla sentenza
della Sez. 1 n. 5852 del 25/01/2006, De Napoli, che riguarda un’ipotesi di
(illegittimo) diniego di benefici penitenziari a un soggetto condannato per reati,
diversi da quelli in espiazione, in relazione ai quali era stata riconosciuta la
diminuente prevista dall’art. 8 della legge n. 203 del 1991, così che, anche in
quel caso, la collaborazione prestata si riferiva a reati alla cui commissione il
soggetto – che invocava il beneficio premiale – aveva partecipato (tanto da
riportare condanna).
Il fatto che il comma 5 dell’art. 16-nonies richiami l’art. 9 comma 3 (della
medesima legge n. 82 del 1991) per individuare le caratteristiche che la
collaborazione deve possedere, per poter essere positivamente apprezzata agli
effetti dell’accertamento richiesto ex art. 58-ter Ord.Pen., non può pertanto
comportare alcuna deroga al principio che la collaborazione, munita di quelle
caratteristiche, deve essere stata prestata dal soggetto che è stato condannato
(anche solo in primo grado) per i reati ai quali si riferisce.
L’ordinanza impugnata ha fatto dunque corretta applicazione della disciplina
normativa, e il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del
Consoli al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21/11/2013

proprio perché la possibilità di fruire di tali benefici presuppone la qualità di

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