Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7714 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 7714 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: COSTANZO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Paradiso Nicola, nato a Lamezia Terme (CZ) il 19/8/1968,
avverso la sentenza n.81 del 13/1/2015 emessa dalla seconda sezione penale
della Corte d’appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Angelo Costanzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Vito
D’Ambrosio, che ha concluso per l’annullamento con rinvio relativamente
all’art.317 cod.pen., per l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione
per l’art.353 cod.pen. e rigetto nel resto;
udito il difensore, avv.to Giancarlo De Marco del Foro di Pescara, che insistito
per l’annullamento della sentenza impugnata.

1

Data Udienza: 24/11/2015

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza n.81 del 13/1/2015, ha

confermato – ma ridefinendo in senso più favorevole la pena – la sentenza con la
quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Livorno il 27/09/2012
aveva condannato Paradiso Nicola, in concorso con altri,

per i reati di

incanti (capo B delle imputazioni, art.353 cod.pen.) e truffa aggravata (capill4E
delle imputazioni, art.640-bis cod.pen.) per il conseguimento di erogazioni
pubbliche. Paradiso Nicola, detenuto inquadrato nella cooperativa San Giacomo,
della quale era vicepresidente Zottola Domenico, al contempo direttore dell’area
rieducativa della casa di reclusione di Porto Azzurro, è stato riconosciuto
colpevole di essersi adoperato per ottenere prestazioni lavorative dai detenuti in
favore della cooperativa San Giacomo oltre gli orari previsti, minacciando di fare
loro perdere (tramite il parere che il predetto Zottola doveva approntare quale
educatore) il beneficio del lavoro esterno.

2.

Nel ricorso per cassazione presentato nell’interesse di Paradiso Nicola si

chiede l’annullamento della sentenza della Corte di Appello per erronea
applicazione della legge e vizio nella motivazione (art.606, lett.c e lett.e,
cod.proc.pen.) nel ritenere sussistente il reato descritto nel capo A delle
imputazioni (art.317 cod.pen) e per non avere dichiarato prescritto il reato
previsto dall’art.353 cod.pen. (capo B delle imputazioni).

3.

A sostegno del primo motivo, nel ricorso – mentre non si contesta la
oSuumu
condotta sopra richiamata – si adduce che l’imputato\Csotto le direttive dei
coimputato Zottola Domenico e per il timore di perdere il proprio posto di lavoro.
Inoltre, si adduce che Paradiso non agì in nome e per conto di Zottola quale
educatore ma di Zottola quale datore di lavoro perché soltanto Zottola – in
quanto datore di lavoro – poteva licenziare i detenuti, così facendo perdere loro il
beneficio del “lavoro all’esterno” disciplinato dall’art.21 L n.354/1975. In realtà,
la sentenza della Corte di Appello di Firenze ha congruamente motivato sul punto,
evidenziando che i contenuti delle conversazioni intercettate indicano che
Paradiso Nicola fruiva di ampia libertà di movimento e la sfruttava nel suo
interesse, trafficando materiale elettronico, beneficiando di permesso-premio
(nonostante che fosse stato un mese prima destinatario di una sanzione
2

concussione (capo A delle imputazioni, art.317 cod.pen.), turbata libertà degli

disciplinare) e non svolgendo materialmente l’attività lavorativa prevista. Sulla
scorta di questi dati, la Corte di Appello ha, con plausibile argomentazione,
concluso che Paradiso non fu una vittima dal momento che trasse dal suo
rapporto con Zottola (che egli affiancava e coadiuvava) vantaggi diversi e
ulteriori rispetto al solo evitare la revoca del beneficio del lavoro esterno. Né ha
mancato di puntualizzare che, in ogni caso, la condotta di Paradiso non sarebbe
sussumibile sotto una delle cause di giustificazione codificate. Anche il secondo
argomento del ricorrente sul punto è inconducente. Già la Corte d’Appello ha

rivoltAtai detenuti risultavano fondate e efficaci proprio perché Zottola cumulava
funzioni differenti (datore di lavoro e educatore) e le esercitò entrambe in modi
convergenti verso la percezione di indebiti vantaggi. Nella sentenza è inoltre
evidenziato che, pur nel diversificato tenore delle minacce, era costante il
riferimento al ruolo istituzionale di Zottola. Su queste basi il primo motivo di
ricorso è infondato.

4. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che il reato descritto
nel capo B delle imputazioni è indicato come commesso “il 23/08/2006”, sicché
esso si è prescritto il 23.rÀ.G 2014, essendo già decorso in quella data il
4
comma
termine massimo della prescrizione (sette anni e 6 mesi ex artr6d.,
cod.pen.), anteriormente alla data della sentenza della Corte di Appello
(13/1/2015). Pertanto il relativo motivo di ricorso va accolto e, per conseguenza,
va eliminata la quantità di pena irrogata per effetto della condanna per il capo B
delle imputazioni (l’aumento in continuazione per i capi B,D,E è stato di 3 mesi e
giorni 15, sicché può computarsi in

1 mese e giorniNl’aumento relativo al capo B,

da ridurre di un terzo ex art.442, comma 2, cod.= 23 giorni), derivandone la
pena rideterminata come in dispositivo.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento al reato di cui
all’art.353 c.p. (capo B), perché estinto per prescrizione ed elimina la
corrispondente pena di giorni 23 di reclusione, rideterminando la pena
complessiva per i residui reati in anni uno, mesi dieci e giorni 27 di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2015.

illustrato le ragioni della inconsistenza di questa interpretazione: le minacce

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