Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7713 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 7713 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
RAMAJ ANDI, nato il 24/03/1978
RICCI VANESSA, nata il 17/12/1985

avverso la sentenza n. 417/2011 della Corte di appello di Firenze del 11/06/2014;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Antonio Corbo;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Vito D’Ambrosio,
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che ha concluso chiedendo dichiararsi
dei ricorsi;
Uditi i difensori Avv. Maria Cristina Masetti per il Rannaj e Avv. Vittorio Sgronno per la Ricci,
che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa 1’11 giugno 2014, la Corte di appello di Firenze, in parziale
riforma della decisione di primo grado, pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, condannava
alle pene ritenute di giustizia Rannaj Andi e Ricci Vanessa, il primo per il reato di cui agli artt.
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Data Udienza: 24/11/2015

81 cpv. cod. pen. e 73 d.P.R. 11 ottobre 1990, n. 309, commesso fino all’aprile 2007, la
seconda per il reato di cui agli artt. 81, cpv. cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. 11 ottobre 1990,
n. 309, commesso fino al marzo 2007, in tutti e due i casi con riferimento a detenzione e
cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, concedendo ad entrambi gli imputati le
circostanze attenuanti generiche.
L’affermazione di penale responsabilità pronunciata dal giudice di secondo grado, sul
punto pienamente conforme al decisum del primo giudice (la riforma è stata esclusivamente in

intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite nel periodo intercorrente dalla fine di
dicembre 2006 all’aprile 2007 e sulle dichiarazioni confessorie dell’imputato, nonché, nei
confronti della Ricci, sui risultati di attività di osservazione della polizia giudiziaria e di
intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuate nel marzo del 2007, e sulle dichiarazioni
della coimputata Girleanu, ritenute pienamente riscontrate dalle indicate operazioni
investigative.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la precisata sentenza della Corte di
Appello l’avvo.to Maria Cristina Masetti, difensore di fiducia del Ramaj, e l’Avv.to Vittorio
Sgromo, difensore di fiducia della Ricci.
2.1. Nel ricorso presentato dall’avvocato Masetti, si deduce, con un unico motivo, la
violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309
del 1990 e all’art. 546 cod. proc. pen.
L’impugnae lamenta, precisamente, l’assenza di indizi univoci per ricostruire le reali
dimensioni del traffico di stupefacenti attribuibile al Ramaj, osservando che le singole cessioni
avevano riguardato una cerchia ristretta di acquirenti ed avevano ad oggetto quantitativi
contenuti (nell’ordine di 5 grammi di cocaina per volta). Contesta, in particolare, la rilevanza
che la sentenza impugnata ha attribuito alla protrazione nel tempo delle condotte ed a due
conversazioni intercettate, nelle quali l’imputato, in un caso, si era dichiarato creditore di circa
11.000 Euro per forniture di droga (captazione ambientale dell’8.3.2007), e, nell’altro, si era
lamentato di non “lavorare” più come prima, quando vendeva da 100 a 150 grammi di cocaina
a settimana (captazione telefonica del 17 marzo 2007). Osserva, in proposito, che: a) la
perduranza nell’attività di spaccio non è incompatibile con la fattispecie della lieve entità, di cui
all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit., atteso che lo stesso legislatore, all’art. 74, comma 6, del
medesimo testo normativo, ipotizza la configurabilità di un’associazione “costituita per
commettere i fatti descritti dall’art. 73, comma 5”; b) non vi sono prove per ritenere che le
condotte illecite fossero svolte al precipuo ed unico scopo di procurarsi un reddito; c) la
cessione avveniva “con mezzi e modalità del tutto rudimentali”, attraverso contatti telefonici e
spaccio “di strada”; d) il credito per forniture di stupefacenti poteva essere maturato anche
nell’arco dei quattro mesi oggetto di intercettazioni, e, quindi, essere riferibile ad uno smercio
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ordine alla pena irrogata alla Ricci), si è fondata, nei confronti del Ramaj, sui risultati di

giornaliero contenuto (pari a circa 2 grammi); e) doveva ritenersi condivisibile l’osservazione
del G.I.P. nel provvedimento impositivo della misura di arresti domiciliari emesso al termine
delle indagini che quantificava l’oggetto delle cessioni in cinque o dieci grammi sulla base di
alcune conversazioni intercettate.
L’atto di impugnazione, quindi, muovendo dalla premessa dell’avvenuta cessazione delle
condotte illecite alla data del 30 aprile 2007, chiede che, previo riconoscimento dell’ipotesi del
fatto di lieve entità, la Corte emetta una pronuncia di annullamento per estinzione del reato

2.2. Nel ricorso presentato dall’avvocato Sgronno, si deducono due motivi.
2.2.1. Con il primo motivo, si censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen. per vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza e
travisamento degli atti. Il ricorrente, in proposito, lamenta che la Corte di appello, ai fini della
decisione, abbia valorizzato anche la chiamata in correità della coimputata Girleanu, sebbene si
trattasse di un elemento in alcun modo considerato nella sentenza di prima cura: invero, tale
novum,

modificando la struttura del primo giudizio, integrerebbe una ipotesi di “cd.

travisamento degli atti”.
2.2.2. Con il secondo motivo, si censura la violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc.
pen. e dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per violazione di norma processuale
sanzionata da inutilizzabilità, e per mancanza di motivazione in ordine alla credibilità intrinseca
ed estrinseca della chiamata di correo. Il ricorrente, precisamente, si duole, della assoluta
carenza di motivazione in ordine ai criteri indicati dalla giurisprudenza per valutare
l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni accusatorie, nonché della motivazione solo
apparente e comunque illogica con riferimento ai criteri inerenti alla verifica dell’attendibilità
estrinseca. Contesta, in particolare, la rilevanza attribuita nella sentenza impugnata al fatto
dell’avere la Ricci accompagnato un acquirente di stupefacente dal Ramaj e al contenuto di una
conversazione intercettata in cui l’imputata diceva “di sbrigarsi” ad un soggetto che la aveva
contattata telefonicamente e che le preannunciava di essere in procinto di arrivare con una
amica bionda.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, pur ammissibili, non sono fondati. Tuttavia, tale situazione processuale, se
determina il rigetto dell’impugnazione del Ramaj, impone anche l’annullamento senza rinvio
della sentenza di condanna emessa nei confronti della Ricci per la sopravvenuta prescrizione.

2. Il ricorso del Ramaj è incentrato sulla configurabilità della fattispecie meno grave
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di,
cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
3

per prescrizione.

Lo stesso, pertanto, pone innanzitutto il problema dell’individuazione della linea di
confine tra la fattispecie di cui all’art. 73, commi 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990 e quella
di cui all’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R., alla luce dei criteri elaborati dalla
giurisprudenza di legittimità, e, poi, quello di accertare se la sentenza impugnata abbia
ricostruito i fatti, inquadrandoli nella fattispecie più grave, senza incorrere nella mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nei termini indicati dall’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen.

fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit. alle sole ipotesi di “minima
offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli
altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze
dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti
negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio”. Tale
principio, infatti, già affermato in almeno due occasioni dalle Sezioni Unite (cfr. Sez. U, 35737
del 24062010, Rico, Rv. 247911, e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668), è
stato ribadito anche dopo gli interventi normativi (d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, conv. in
legge 21 febbraio 2014, n. 10, e d.l. 21 marzo 2014, n. 36, convertito in legge 16 maggio
2014, n. 79) che hanno trasformato la fattispecie di lieve entità da circostanza attenuante a
reato autonomo e ne hanno modificato la cornice edittale (in questo senso, v., in particolare,
Sez. 3, n. 23945 del 29 aprile 2015, Xhihani, Rv. 263651, e Sez. 3, n. 27064 del 19/03/2014,
Fontana, Rv. 259664).
Non va trascurato, tuttavia, che secondo una soluzione ermeneutica non
necessariamente incompatibile, ma comunque non del tutto coincidente con quella
precedentemente indicata, la fattispecie autonoma di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309
del 1990, è configurabile nelle ipotesi di cosiddetto “piccolo spaccio”, che si caratterizza per
una minore complessiva portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con
una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende
anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente – a dosi conteggiate a
“decine” (così Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015, Driouech, Rv. 263068).
2.2. Si accolga l’una o l’altra prospettiva, poi, residua un ineliminabile margine di
discrezionalità nella valutazione dei fatti da parte del giudice di merito (quando uno degli indici
rilevanti può definirsi negativamente assorbente? quando esattamente può dirsi che la
‘provvista’ attiene a dosi conteggiate a “decine” anche tenendo conto del valore e della
tipologia della sostanza stupefacente?), il cui esercizio può essere sindacato in sede di
legittimità solo sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, all’esito di una verifica condotta alla luce del principio dellmal di là di ogni
ragionevole dubbio”.
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2.1. Orientamento consolidato della Corte di cassazione è quello che riferisce la

3. Nella vicenda in esame, indipendentemente dall’adesione alla prima o alla seconda
delle due impostazioni indicate, deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia correttamente
affermato, a carico del Ramaj, la sussistenza della fattispecie più gravemente sanzionata.
3.1. Il giudice di appello, infatti, ha valorizzato, in particolare, le circostanze consistite
nell’ininterrotta protrazione dell’attività per almeno quattro mesi al solo scopo di produrre
reddito, e nella ‘movimentazione’, da parte del Ramaj, di quantitativi di droga e di denaro di

ha evidenziato che non risulta che l’imputato facesse uso di cocaina, non essendo stata tale
addott-a\situazione né nel corso dell’interrogatorio, né mediante l’allegazione di documenti
sanitari o altri dati. In relazione al secondo profilo, poi, la Corte toscana segnala, innanzitutto,
che, nelle intercettazioni ambientali, il Ramaj ha riferito, in termini oggettivamente credibili, al
coindagato Murino Andrea di aver speso 11.000 euro per droga e di avere crediti per
complessivi 10.850 euro, e che, per questa ragione, non gli cederà più droga a credito
(conversazione oggetto di intercettazione ambientale n. 5 dell’8.3.2007). Aggiunge, poi, che il
padre del precisato Murino, nella fase di avvio delle indagini, nel dicembre 2006, aveva
formalmente dichiarato ai Carabinieri che il figlio era debitore per l’acquisto di cocaina nei
confronti di un albanese di nome Andi o Randi di una somma pari a 6.000 euro come residuo di
un maggior debito, e che tale importo deve aggiungersi a quello di 10.850 euro di cui sopra,
atteso che dai colloqui captati in occasione della citata intercettazione ambientale il Murino
risultava ormai debitore nei confronti dell’odierno imputato di soli 1.000 euro. Rileva, infine,
che il Ramaj, nel corso della telefonata n. 125 del 17.3.2007, si era lamentato che in quel
momento gli affari non andavano più ‘bene’ come in precedenza, quando vendeva da 100 a
150 grammi di cocaina a settimana.
Si può aggiungere che, dalla motivazione della sentenza della Corte di appello di
Firenze, emerge con assoluta chiarezza che le cessioni di cocaina erano effettuate dal Ramaj a
soggetti – come il Murino, Bruzzi Niccolò, Ricci Luca e la coimputata Ricci Vanessa – i quali
erano non solo consumatori, ma anche, a loro volta, spacciatori al ‘minuto’.
3.2. Sulla base di tali evidenze, risulta corretta l’esclusione di una ipotesi di “minima
offensività penale della condotta”, o anche di “piccolo spaccio”.
Indubbiamente, come osserva la difesa dell’imputato, il dato della perduranza
nell’attività di spaccio non è incompatibile con la fattispecie della lieve entità, di cui all’art. 73,
comma 5, d.P.R. cit., atteso che lo stesso legislatore, all’art. 74, comma 6, del medesimo testo
normativo, ipotizza la configurabilità di un’associazione “costituita per commettere i fatti
descritti dall’art. 73, comma 5”.
Tuttavia, i fatti descritti nella sentenza impugnata offrono la rappresentazione di
un’attività di cessione di stupefacente di tutto rilievo. In primo luogo, è significativo, per
individuare l’entità dei valori economici in ‘gioco’, il dato, evidenziato senza vizi logici o aporie,
5

obiettiva consistenza e significatività. Quanto al primo dei due profili, la sentenza impugnata

e sostanzialmente non contestato dalla difesa, consistente nell’avvenuta effettuazione, da
parte dell’imputato, di un acquisto di droga per un importo pari a 11.000 Euro, nonostante la
contestuale ‘titolarità’ di crediti da riscuotere non inferiori a 10.850 Euro. Sono poi segnalati
altri elementi di fatto – anch’essi non specificamente contestati dalla difesa nel ricorso – di
indubbia rilevanza e pienamente coerenti con quello appena indicato, quali: la non
eccezionalità di cessioni a credito di significative quantità di droga (nel dicembre 2006, il
Ramaj era creditore di 6.000 Euro nei confronti del Murino); l’esistenza di periodi in cui lo

grammi a settimana (per un provento quantificabile – se si assume a base di calcolo il prezzo,
indicato nella sentenza impugnata come riferito dall’imputato in una conversazione
intercettata, di 50 Euro a grammo – in 5.000/7.500 Euro); la ripetuta attività di vendita della
sostanza stupefacente a soggetti non solo consumatori, ma anche spacciatori.

4. Il ricorso della Ricci non è manifestamente infondato con riferimento al secondo
motivo.
4.1. Il primo motivo si pone in palese contrasto con il principio consolidato e risalente
che riconosce effetto devolutivo all’appello.
La censura in discorso, infatti, è diretta a contestare la sentenza impugnata laddove ha
valorizzato, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputata, una fonte di prova – la
chiamata in correità della coimputata Girleanu – non indicata nella pronuncia di condanna
emessa in primo grado.
Si consideri, però, che già a metà degli anni novanta, le Sezioni Unite affermarono che
per il giudice di secondo grado non opera nessuna preclusione in relazione ai punti oggetto dei
motivi proposti, con la conseguenza che lo stesso “ben può – senza esorbitare dalla sfera
devolutiva dell’impugnazione – accogliere il gravame in base ad argomentazioni proprie o
diverse da quelle dell’appellante” (Sez. U, n. 1 del 27/09/1995, dep. 04/01/1996, Timpanaro,
Rv. 203096). Sulla base di questo insegnamento, è ormai pacifico l’orientamento secondo cui,
in ordine allo specifico punto di decisione attinto dall’appello, il giudice dell’impugnazione può
pervenire allo stesso risultato cui è pervenuto il primo giudice anche sulla base di
considerazioni ed argomenti diversi da quelli considerati da quest’ultimo o alla luce di dati di
fatto non valutati in primo grado (così, in particolare, tra le più recenti decisioni massimate,
Sez. 5, n. 40981 del 15/05/2014, Giunnelli, Rv. 261366, nonché Sez. 3, n. 9841 del
10/12/2008, dep. 04/03/2009, Pizzi, Rv. 242995, la quale, in applicazione del principio, ha
specificamente affermato che il giudice di appello può motivare la conferma della sentenza
impugnata sulla base di elementi di prova diversi da quelli indicati nella pronuncia di primo
grado).

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4.2. Il secondo motivo, invece, contesta in modo non manifestamente infondato la gi1
violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e la motivazione della sentenza impugnata, laddove
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smercio di cocaina compiuto dal ricorrente, per sua stesa ammissione, era pari a circa 100/150

questa, nell’individuare come elemento centrale per l’affermazione della penale responsabilità
della Ricci le dichiarazioni della coimputata Girleanu, trascura di fornire qualunque
giustificazione in ordine all’attendibilità intrinseca della stessa, soffermandosi esclusivamente
sui dati di riscontro esterno.
E’ sicuramente persuasivo e pienamente condivisibile, infatti, l’insegnamento secondo
cui la verifica della credibilità soggettiva del dichiarante, dell’attendibilità oggettiva delle sue
dichiarazioni e dell’esistenza di riscontri esterni non implica una valutazione compiuta

29/11/2012, dep. 14/05/2013, Aquilina, Rv. 255145, e, ancor più recentemente, Sez. 1, n.
22633 del 05/02/2014, Pagnozzi, Rv. 262348).
Tuttavia, quando il secondo giudice, innovando rispetto alla decisione appellata,
incentra il proprio discorso probatorio sulle dichiarazioni di un coimputato o di un coindagato,
completamente pretermesse in prima cura, è doveroso un esame specifico dei profili relativi
alla credibilità soggettiva del dichiarante ed alla attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni.
Nel caso di specie, la Corte di appello, dopo aver valorizzato le dichiarazioni della
Girleanu, di cui non si dava alcun conto nella decisione del G.U.P., qualificando le stesse come
“decisive per confermare che da accanita consumatrice la Ricci si era trasformata in una
spacciatrice al minuto”, si è limitata ad evidenziarne la coerenza con i risultati delle
intercettazioni telefoniche ed ambientali, senza svolgere alcun discorso sulla credibilità
soggettiva della coimputata.

5. Alla non manifesta infondatezza del ricorso della Ricci segue la dichiarazione di
prescrizione del reato alla stessa contestato.
La condotta per la quale è intervenuta condanna in sede di merito, infatti, risulta
accertata fino al marzo 2007. Non emergono dagli atti cause di sospensione del corso della
prescrizione. I fatti interruttivi, inoltre, non possono comportare l’aumento di più di un quarto
del tempo necessario al verificarsi della causa estintiva.
Invero, sebbene la sentenza impugnata rilevi che la Ricci è stata condannata per fatti
commessi anteriormente a quelli oggetto del presente processo, non è necessario verificare se
sussistano i presupposti per l’applicazione della recidiva: quest’ultima non è mai stata
contestata all’imputata, e, quindi, di essa il giudice non può in alcun caso tenerne conto (cfr.,
in tal senso, Sez. 2, n. 14248 del 05/04/2011, Cannavacciuolo, Rv. 250214, ma anche,
sostanzialmente, Sez. 3, n. 14439 del 30/01/2014, Resnlini Bellotti, Rv. 258734). Tale
principio, in effetti, è coerente con quello secondo cui, anche ai fini del decorso del termine di
prescrizione, la recidiva opera solo se ed in quanto positivamente accertata dal giudice, che
può escluderne l’applicazione pur in presenza della obiettiva reiterazione delle condotte illecite,
qualora ritenga che la ricaduta nel reato non sia “indice di insensibilità etico/sociale del
colpevole” (così, espressamente, in motivazione, tra le ultime, Sez. 6, n. 39849 del
7

attraverso passaggi rigidamente separati (così, in particolare, Sez. U, n. 20804 del

16/09/2015, Palombella, Rv. 264483, nonché Sez. 2, n. 31891 del 02/07/2015, Angileri, Rv.
264653): se, infatti, la recidiva deve essere positivamente accertata dal giudice, premessa
indispensabile di tale valutazione è la sua rituale contestazione nelle forme previste dal codice.
Non può, poi, darsi prevalenza ad una diversa e più favorevole formula di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., attesa la significatività degli elementi probatori
acquisiti a carico della ricorrente.

Andi, con conseguente condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali, mentre la
sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di Ricci Vanessa perché il
reato ascritto alla medesima è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Ricci Vanessa, perché il
reato ascrittole è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso di Ramaj Andi, che condanna al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24 novembre 2015

Il Consigliere estensore

6. Conclusivamente, deve essere rigettato il ricorso proposto nell’interesse di Ramaj

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