Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7703 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7703 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PROFETA MARCELLA N. IL 23/06/1971
avverso la sentenza n. 2200/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 23/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 12/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza resa 1’8 marzo 2012 il G.U.P. del Tribunale di Palermo,
all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, dichiarava l’imputata
Marcella Profeta colpevole del delitto di cui all’art. 9 comma 2 legge n. 1423/56,
contestatole per avere violato le prescrizioni inerenti la misura di prevenzione della
sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, in
quanto si era trattenuta al di fuori dell’abitazione dopo le ore 20.00-21.00, senza

fatto commesso in Palermo il 9 marzo 2010 alle ore 03.20 e, per l’effetto, esclusa la
contestata recidiva, la condannava alla pena di mesi otto di reclusione, oltre che al
pagamento delle spese processuali.
1.1 Con sentenza resa il 22 novembre 2012 la Corte di Appello di Palermo,
investita dell’appello proposto dall’imputata, confermava la sentenza di primo
grado.
2.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata a
mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento per:
-violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto dell’art. 9 della
legge n. 1423/56 in ragione dell’erronea qualificazione giuridica del fatto di reato,
rapportabile alla fattispecie di cui al primo comma della norma incriminatrice e non
a quella del suo secondo comma, dal momento che la violazione contestata aveva
riguardato l’obbligo di non rincasare oltre un certo orario e non l’obbligo di
soggiorno;
-violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto degli artt. 530,
533 e 192 cod. proc. pen. per avere i giudici di merito affermato la responsabilità
dell’imputata in contrasto con la regola di valutazione della prova indiziaria, dal
momento che l’esito del controllo aveva dimostrato soltanto la mancata risposta al
suono del campanello, non già l’allontanamento dall’abitazione, ben potendo
l’imputata non avere avvertito il suono stesso perché profondamente immersa nel
sonno notturno o per un guasto nell’impianto, mentre non erano note altre
violazioni alle prescrizioni inerenti la misura applicatale;
-violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena,
in sé eccessiva anche per il diniego delle circostanze attenuanti generiche, di cui,
invece, era meritevole per il modesto disvalore sociale del fatto, mentre non aveva
significato l’unico precedente penale di cui era gravata l’imputata, tanto che era
stata esclusa la recidiva.

Considerato in diritto

1

comprovata necessità e senza darne notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza,

L’impugnazione è inammissibile perché fondata su censure non consentite e
manifestamente infondate.
1.11 provvedimento impugnato, adeguatamente e logicamente motivato,
resiste alle censure genericamente formulate in ricorso, ove si consideri che la
Corte territoriale ha correttamente rapportato il fatto di reato alla fattispecie di cui
al secondo comma dell’art. 9 della legge n. 1423/56, rilevando che, a seguito
dell’intervenuta modifica della norma ad opera del D.L. n. 144 del 2005, la stessa
punisce come delitto qualsiasi violazione degli obblighi e delle prescrizioni imposte

divieto di soggiorno, anche se non specificamente riferite alla permanenza nel
comune di residenza (Cass. sez. 1, n. 1485 del 21/12/2005, Manno, rv. 233436;
sez. 1, n. 8412 del 27/1/2009, P.G. in proc. Iuorio, rv. 242975; sez. 1, n. 47766
del 06/11/2008, P.M. in proc. Lungari, rv. 242748).
1.1 Inoltre, la sentenza impugnata ha già valutato gli elementi probatori
acquisiti e ha desunto la dimostrazione dell’assenza dall’abitazione dell’imputata in
ragione della mancata risposta al suono del campanello, di cui le testimonianze
degli agenti autori del controllo avevano attestato il regolare funzionamento e la
possibilità di essere percepito per averlo azionato più volte ed essere rimasti in
attesa senza che nessuno della casa, tanto meno l’imputata, si fosse mostrato o
avesse risposto. Con logiche e coerenti argomentazioni si è ritenuto inverosimile
che, nonostante il silenzio notturno ed il ripetuto funzionamento del campanello
della porta di casa, la Profeta non ne avesse avvertito il suono e non avesse
nemmeno percepito quello dell’impianto citofonico esterno.
1.2 In punto di pena, la sentenza impugnata ha giustificato il diniego delle
attenuanti generiche in ragione dei plurimi reati già commessi dall’imputata, della
sua personalità negativa, nonché dell’assenza di alcun elemento di valutazione di
segno positivo, per cui, essendo anche già stata esclusa la recidiva, non ha
ravvisato ragioni per operare ulteriori riduzioni della pena, comminata nel minimo
edittale.
2. La decisione contestata è dunque supportata da motivazione, che è
tutt’altro che apparente o contraddittoria, in quanto, oltre ad essere in sé logica e
coerente, risulta in linea col dettato normativo dell’art. 62-bis cod. pen., dal
momento che ha giustificato le scelte operate in materia di dosimetria della pena
alla luce del fatto, della personalità del loro autore e della sua capacità a
delinquere, offrendo puntuale e ben motivata applicazione dei criteri di valutazione
dettati dalla norma sopra citata.
2.1 Per contro, l’impugnazione sul punto si limita a richiamare profili fattuali
già presi in considerazione per invocarne una diversa e più favorevole
considerazione, operazione preclusanel giudizio di legittimità, destinato

con la misura di prevenzione della sorveglianza di pubblica sicurezza con obbligo o

esclusivamente alla verifica circa la corretta applicazione delle norme di legge
sostanziali e processuali e la tenuta logica dell’apparato giustificativo dei
provvedimenti giudiziari.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con la conseguente condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di
colpa insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si
stima equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013.

P. Q. M.

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