Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7702 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7702 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MATINA GIUSEPPE N. IL 28/03/1970
avverso la sentenza n. 2137/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 21/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 12/11/2013

A

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza resa il 4 novembre 2011 il Tribunale di Agrigento dichiarava
l’imputato Giuseppe Matina colpevole del delitto di cui all’art. 9 comma 2 legge n.
1423/56, contestatogli per avere violato le prescrizioni inerenti la misura di
prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune
di residenza, in quanto si associava abitualmente a soggetti pregiudicati, fatto
commesso in Favara dal 23/1/2007 al 28/2/2008 e, per l’effetto, lo condannava alla

processuali.
1.1 Con sentenza resa il 21 dicembre 2012 la Corte di Appello di Palermo,
investita dell’appello proposto dall’imputato, confermava la sentenza di primo
grado.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato
personalmente, chiedendone l’annullamento per l’assoluta carenza dell’elemento
psicologico del reato contestatogli, dal momento che egli si era limitato ad
incontrare compaesani in modo occasionale e sporadico, uno dei quali suo parente
ed altro che non gli era noto come soggetto pregiudicato, senza che in tali incontri
vi fosse alcunchè di pericoloso. Inoltre, non era stato giustificato il diniego delle
circostanze attenuanti generiche.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile perché fondata su censure non consentite e
manifestamente infondate.
1.11 provvedimento impugnato, adeguatamente e logicamente motivato,
resiste alle censure genericamente formulate in ricorso, ove si consideri che la
Corte territoriale, nel valutare il profilo dell’abitualità della frequentazione tra
l’imputato ed i pregiudicati indicati nell’imputazione, ha considerato che egli in poco
più di un anno era stato sorpreso sette volte in compagnia di soggetti già gravati da
precedenti condanne penali e che, sotto il profilo soggettivo, trattandosi di un
piccolo centro, era impensabile non fosse stato consapevole dei pregiudizi di tali
personaggi, con i quali era stato notato intrattenersi a colloquio e non scambiare un
semplice saluto. La pronuncia in contestazione ha quindi considerato in modo fedele
e privo di vizi logici o giuridici le emergenze probatorie, per desumerne la volontaria
e consapevole violazione di una precisa prescrizione imposta dall’imputato.
1.1 In punto di pena, la sentenza impugnata ha giustificato il diniego delle
attenuanti generiche in ragione dei plurimi reati già commessi dall’imputato e
dell’assenza di elementi di segno positivo, tali non potendo considerarsi le sue
1

pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, oltre che al pagamento delle spese

imprecisate condizioni di vita individuali e sociali, che nell’appello erano state solo
genericamente dedotte, ma non specificate.
2. La decisione gravata è dunque supportata da motivazione, che è tutt’altro
che apparente o contraddittoria, in quanto, oltre ad essere in sé logica e coerente,
risulta in linea col dettato normativo dell’art. 62-bis cod. pen., dal momento che ha
giustificato le scelte operate in materia di dosimetria della pena alla luce dei fatti,
della personalità del loro autore e della sua capacità a delinquere, offrendo puntuale
e ben motivata applicazione dei criteri di valutazione dettati dalla norma sopra

2.1 Per contro, l’impugnazione si limita a richiamare profili fattuali già presi in
considerazione e la mancata violazione dell’obbligo di soggiorno, condotta che in
effetti non è stata contestata, per invocarne una diversa e più favorevole
considerazione, operazione preclusa nel giudizio di legittimità, destinato
esclusivamente alla verifica circa la corretta applicazione delle norme di legge
sostanziali e processuali e la tenuta logica dell’apparato giustificativo dei
provvedimenti giudiziari.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa
insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima
equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013.

citata.

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