Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7695 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7695 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MANCA ANANIO N. IL 28/08/19a
avverso il decreto n. 19/2011 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 14/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 12/11/2013

Ritenuto in fatto
1. Con il decreto reso in data 14 maggio 2012 la Corte d’Appello di Cagliari
riformava parzialmente la pronuncia del Tribunale di Nuoro, confermata nel resto, che
il 5 luglio 2011 in primo grado aveva applicato ad Antonio Manca la misura di
prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e ne riduceva
la durata ad anni tre, sulla base della ritenuta attuale pericolosità sociale del
proposto, desunta dalle plurime pendenze giudiziarie e dalle frequentazioni di soggetti
pregiudicati o parimenti pericolosi.

2. Avverso tale decreto interponeva ricorso per cassazione il proposto a mezzo del
suo difensore, il quale deduceva:
-violazione di legge ed apparenza della motivazione in ordine al presupposto
dell’attualità della pericolosità sociale, che era stata, invece, oggetto di un giudizio
prognostico, in quanto i precedenti penali e giudiziari non avrebbero potuto essere
tenuti in considerazione per dimostrare l’attitudine a commettere delitti e comunque
l’accusa di omicidio volontario era stata ridimensionata nel giudizio di rinvio dalla
Corte di Assise di Appello di Cagliari, che aveva qualificato il fatto come omicidio
colposo;
-violazione di legge ed apparenza della motivazione in relazione all’attualità della
pericolosità sociale, nonostante lo stato di detenzione del proposto, in atto da diversi
mesi rispetto al momento della proposta e da un anno e mezzo rispetto al momento
della decisione impugnata, il che non avrebbe consentito alla Corte territoriale di
limitare la propria analisi alla constatazione della prossimità temporale tra la data di
commissione dei reati per i quali erano in corso i procedimenti penali e quella di
formulazione della proposta.
Considerato in diritto

1. Il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere
dichiarato inammissibile.
2. Va in via preliminare premesso che, per effetto della disciplina stabilita dalla
legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 10, il decreto con il quale la Corte di
Appello decide in ordine al gravame proposto dalle parti avverso il provvedimento del
Tribunale applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza (art. 3 della legge citata) è ricorribile per cassazione
esclusivamente per violazione di legge, vizio quest’ultimo nel quale è compreso, per
consolidata lezione interpretativa di questa Corte, quello della motivazione del tutto
omessa, ovvero apparente, costituente violazione dell’obbligo imposto dallo stesso
art. 4, comma 9, intendendosi per tale quella che non rende comprensibile il percorso
argomentativo del giudice, ovvero che “sia del tutto avulsa alle risultanze processuali
1

o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di
proposizioni prive di efficacia dimostrativa” ( ex multis: Cass. sez. 5, n. 24862 del
19/05/2010, Mastrogiovanni, rv. 247682). Pertanto, la verifica conducibile in sede di
legittimità si deve arrestare alla corrispondenza degli elementi valorizzati nel
provvedimento impugnato ai criteri dettati dalla legge ed all’esistenza delle ragioni
della decisione. Il sindacato così contenuto, riconosciuto come non irragionevole dalla
Corte Costituzionale (sent. n. 321/2004), non si estende all’adeguatezza e coerenza
logica del percorso giustificativo del provvedimento impugnato (Cass. sez. 6, n. 35044

dell’8/03/2007, Bruno, rv. 237277;sez. 6°, n. 15107 del 17/12/2003, Criaco, rv.
229355).
1.1 A siffatta circoscrizione del perimetro cognitivo, proprio dei procedimenti di
prevenzione, si sommano i limiti intrinseci del giudizio di legittimità, che, com’è noto,
non può addentrarsi nella revisione del giudizio di merito, né nella valutazione dei
fatti, ma deve attenersi alla verifica della correttezza giuridica e logica del
provvedimento impugnato, rispetto alle cui statuizioni la Corte di Cassazione non
dispone del potere di sostituire una propria alternativa decisione.
2. La considerazione del ricorso alla luce dei superiori principi induce in primo
luogo ad escludere che il decreto impugnato sia affetto da violazione di legge per
totale carenza o apparenza della motivazione. Al contrario, esso ha illustrato in modo
adeguato, chiaro e comprensibile, oltre che aderente ai motivi d’appello proposti, le
ragioni di confutazione di tali censure; in particolare, ha considerato che con
sentenze, ancorchè non definitive, il Manca era stato condannato per i delitti di
omicidio colposo, detenzione illegale di armi, tentata estorsione aggravata e
continuata, detenzione e porto di un ordigno esplosivo, oltre che per detenzione e
porto di un panetto di tritolo del peso di 194 grammi, delitti indicativi di una spiccata
propensione al crimine, all’uso della violenza e delle armi. Ha quindi preso in esame le
frequentazioni personali del proposto con pregiudicati e soggetti comunque a loro
volta socialmente pericolosi.
2.1 In punto di attualità della pericolosità sociale la Corte territoriale ha rilevato
l’estrema prossimità temporale tra la commissione dei reati sopra citati, databile tra il
17/9/2010 ed il 24/11/2010 e la proposta formulata dal Procuratore della Repubblica
di Nuoro il 4/3/2011, ossia sei mesi dopo, rispetto alla quale la decisione del Tribunale
era intervenuta a distanza di altrettanti pochi mesi.
2.2 Al riguardo, va ricordato che il procedimento valutativo tipico del giudizio di
prevenzione, funzionale ad un giudizio prognostico avente ad oggetto la probabilità
della futura commissione di reati, verte sulla pericolosità sociale del soggetto, che per
dar luogo alla sottoposizione alla misura deve essere concreta ed attuale, desumibile
da specifici comportamenti (Corte Cost., 12/11/1987; Cass., sez. 5, n. 34150 del
22/09/2006, Commisso, rv. 235203; Cass. S.U., n. 6 del 25/03/1996, Tumminelli, rv.

2

194063; sez. 6 n. 38471 del 13/10/2010 Barone, 248797), per la cui ricostruzione il
giudice di merito è legittimato a servirsi di elementi di prova e/o indiziari tratti da
procedimenti penali, anche se non ancora conclusi, e, nel caso di processi definiti con
sentenza irrevocabile, anche indipendentemente dalla natura delle statuizioni
conclusive in ordine all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato. Tale
potestà incontra due limiti: a) il giudizio deve essere fondato su elementi certi,
sottoposti a puntuale disamina critica per affermarne la refluenza sul giudizio di
pericolosità sulla base di un ragionamento immune da vizi logici; b) gli indizi dai quali

desumere la pericolosità sociale non debbono avere i caratteri di gravità, precisione e
concordanza, richiesti dall’art. 192 c.p.p. soltanto per il giudizio di responsabilità nel
procedimento di cognizione (Cass., sez. 6, n. 16030 del 18/12/2008; sez. 1, n. 4764
del 6/11/2008, Mendicino, rv. 242507; sez. 1, n. 6613 del 17/01/2008 n. 6613,
Carvelli e altri, rv. 239358; sez. 1 n. 20160 del 29/04/2011, Bagalà, rv. 250278).
Resta dunque confermata la piena autonomia per struttura e finalità dei due
procedimenti, quello penale, funzionale all’accertamento della responsabilità in ordine
ad una fattispecie di reato, e quello di prevenzione, ancorato ad una valutazione di
pericolosità attuale, espressa mediante condotte che non necessariamente
costituiscono reato, con la conseguente esclusione di un rapporto di pregiudizialità del
primo rispetto al secondo ed affermazione della reciproca indipendenza
nell’apprezzamento del materiale indiziario con l’obbligo di indicare nella motivazione
del decreto applicativo della misura le ragioni delle valutazioni condotte.
2.3 Inoltre, il giudizio di attualità della pericolosità deve essere condotto con
riferimento al momento della decisione di primo grado (Cass.sez. 1, n. 5227 del
22/09/2000, Santarpi, rv. 217328) in presenza di chiari indici di una persistenza dei
dati fattuali sintomatici, mentre lo stato di detenzione del proposto non impedisce
l’emanazione del decreto applicativo della misura di prevenzione personale, dovendosi
distinguere tra momento genetico del provvedimento e momento esecutivo, e
potendo il soggetto sempre avanzare, nella ricorrenza dei presupposti, la richiesta di
revoca ex art. 7 L. 1423/56 (cfr. Cass. S.U. n. 10281 del 25/10/2007, Gallo, rv.
238658).
Di tali principi il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione, per cui
le doglianze espresse in ricorso risultano manifestamente infondate in ogni deduzione
e lo stesso va dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed, in relazione ai profili di colpa, insiti nella
proposizione di siffatta impugnazione, al versamento della somma, ritenuta congrua,
di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

3

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore
della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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