Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 767 del 15/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 767 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ZAMPETTI UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ATTANASIO ALESSIO N. IL 16/07/1970
avverso l’ordinanza n. 1629/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di
NOVARA, del 27/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI;
lette/tic le conclusioni del PG Dott. A L FRE DO P. t i i °LAq

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Uditi difensor Avv ;

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Data Udienza: 15/11/2013

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 27.03.2013 il Magistrato di Sorveglianza di Novara
respingeva parzialmente il reclamo proposto da Alessio Attanasio, detenuto ristretto
nel regime di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., che aveva ad oggetto la disposizione di
servizio adottata dal Direttore dell’Istituto penitenziario che impediva la ricezione di
“abbigliamento firmato” all’interno del c.d. “pacco colloquio”.Rilevava in proposito detto Magistrato -ripercorsa la giurisprudenza sul punto di

consentito in quelle materie che non attenessero ai diritti soggettivi, essendo
intangibile dalla giurisdizione penale la scelta discrezionale dell’Amministrazione
determinata da motivi di opportunità. Nella specie, peraltro, era comunque evidente
che ragioni di sicurezza interna ben consigliassero di precludere che, attraverso l’uso
di abbigliamento particolarmente costoso, si determinassero posizioni di supremazia
tra detenuti. Ciò posto -ed in tal senso respinto il reclamo- rilevava però lo stesso
giudice come la nota del DAP 20.05.2011 consentisse l’ingresso limitato di tali capi
“firmati” nel numero di non più di due a testa (onde evitare il formarsi di interi
guardaroba di vestiti di lusso), così invitando la Direzione della Casa Circondariale di
competenza di valutare tale possibilità.2.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto

condannato che motivava l’impugnazione deducendo, con atto personale, violazione
di legge e vizio di motivazione, argomentando -in sintesi- nei seguenti termini :
a) trattandosi di diritti soggettivi, si sarebbe dovuta espletare la “procedura
giurisdizionalizzata prevista dall’art. 14 ter Ord. Pen.”;
b) in base all’art. 14 quater Ord. Pen. le restrizioni per i detenuti soggetti a
regime particolare non possono riguardare il vestiario; peraltro, stante tale regime
che raggruppa pochi detenuti, in concreto non si potevano creare quelle condizioni di
sudditanza poste a base del divieto; mancanza di motivazione sul punto;
c) il Magistrato di Sorveglianza avrebbe dovuto dare ordini alla Direzione della
Casa Circondariale affinché si uniformasse alla circolare del Dap 25.05.2011, e non
limitarsi a consigliare la sua osservanza.Successivamente il ricorrente Attanasio inviava memoria datata 09.07.2013 con
la quale richiamava il dictum della Corte Costituzionale (sentenza n. 135 del
03.06.2013) che ribadiva che le restrizioni ai detenuti sono legittime solo se
funzionali alle esigenze di sicurezza.-

1

rango costituzionale, di legittimità e della Corte europea- che il reclamo non era

Lo stesso Attanasio inviava poi altra memoria datata 09.08.2013 con la quale si
sosteneva, tra l’altro (con riferimento ad altra ordinanza dello stesso Magistrato di
Sorveglianza di Novara in data 23.07.2013), che l’acquisto di un cappotto non
poteva essere vietato in ragione della necessità di coprirsi d’inverno.Considerato in diritto
1. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile con

2. Il condannato Attanasio, detenuto ristretto nel regime di cui all’art. 41 bis Ord.
Pen., ha azionato il reclamo previsto dall’art. 14 ter Ord. Pen. avverso la limitazione,
imposta dal

Direttore dell’Istituto in conformità alla

relativa Circolare

dell’Amministrazione penitenziaria, alla consegna al detenuto stesso, attraverso il
c.d. pacco colloquio, di vestiario di lusso (o “firmato”, cioè di tipo lussuoso, genere
particolarmente costoso). La risposta del competente Magistrato di sorveglianza,
sopra sintetizzata, conforme alla normativa ed alla pertinente giurisprudenza, è del
tutto ineccepibile. La sostanza del provvedimento assume, in primo luogo, che il
reclamo non è ammissibile ove non sia dedotta la violazione di diritti soggettivi dei
detenuti tutelabili con tale rimedio. Di poi, preso atto e rispettata la sfera di
competenza amministrativa, e dunque la Circolare ministeriale che limitava la
consegna di generi di vestiario di tal tipo, detto Magistrato non ha potuto far altro,
nell’ambito dei suoi poteri di vigilanza, che invitare la Direzione del carcere
all’osservanza di tale normativa secondaria di tipo amministrativo, onde non privare i
detenuti di quanto la stessa Amministrazione penitenziaria loro consente.Ciò posto, è di tutta evidenza che i motivi di ricorso dedotti dall’Attanasio sono
decisamente inammissibili.Questa Corte, anche con pronunce recenti, ha affermato che, in base al diritto
vigente, non sussiste un diritto del detenuto a pretendere l’ingresso in carcere, per
sua personale fruizione, di generi di vestiario di tipo lussuoso o comunque di
particolare costo, tale da differenziare -contrariamente alla tendenziale parità di
condizione di tutta la popolazione carceraria scolpita dall’art. 3 Ord. Pen. per cui
“Negli istituti penitenziari è assicurata ai detenuti ed agli internati parità di condizioni
di vita”- sia pur di fatto, ma in modo inevitabilmente vistoso e significativo, la
condizione di alcuni rispetto agli altri. Si è anche rilevato, a sostegno di tali decisioni,
che da un lato vi è una disciplina specifica (art. 7 Ord. Pen. ed artt. 10 e 14 del
relativo regolamento) in materia di vestiario, e che dall’altro è prevista la possibilità
per l’Amministrazione di regolamentare nello specifico la materia, in vista di esigenze
di sicurezza ed in relazione ai regimi differenziati di cui agli artt. 14 bis, 41 bis e 64
2

ogni dovuta conseguenza di legge.-

della L. 354/75.- In tali decisioni (Cass. Pen. Sez. 1°, 23.09.2013, C.; Cass. Pen.
Sez. 1°, 27.09.2013, L.R.; ecc.), ribadito quanto sopra, si è anche motivato in ordine
alle indiscutibili ragioni di sicurezza interna (quali evitare che si ripetano situazioni di
gerarchia di stampo criminale, vassallaggi, umiliazioni, ecc.) nonché alle ben
comprensibili esigenze organizzative interne che giustificano l’intervento
regolamentare, peraltro previsto ex lege, della Amministrazione su tale materia. Né
si vede perché mai dovrebbero godere di maggior favore proprio i detenuti sottoposti
a regime più severo (quale quello di cui all’art. 41 bis) in violazione dell’espresso

già definita che ben risponde, nel merito, a tutti i profili sollevati dall’odierno
ricorrente. In particolare occorre rilevare come erroneamente l’impugnazione invochi
l’art. 14 quater, comma 2, Ord. Pen. posto che il vestiario ivi contemplato è quello
fornito dall’Amministrazione (su cui non sono ammesse deroghe), mentre per quello
che proviene dall’esterno è prevista proprio la limitazione di cui ai regolamenti in
funzione di esigenze di sicurezza, in coerenza agli artt. 10 e 14 del regolamento
(DPR 230/2000) in un quadro di necessaria lettura unitaria.Ma, più in radice, occorre ribadire che sulla specifica materia della possibilità di
fruire di abbigliamento lussuoso o comunque particolarmente costoso non può dirsi
sussistere un vero e proprio diritto soggettivo del detenuto.- In proposito va
premesso che, come è ben noto, in base alle sentenze della Corte Costituzionale (in
particolare la 26/99 e la 526/2000) ed alla giurisprudenza di questa Corte di
legittimità (a partire da Cass. Pen. SS. UU. n. 25079 in data 26.02.2003, Rv.
224603, Gianni), il reclamo ex art. 14 ter Ord. Pen. è consentito quale rimedio
giurisdizionale per la lamentata violazione di diritti soggettivi attinenti la condizione
carceraria. Al di fuori di tale sfera, ogni pur legittima doglianza deve trovare la sua
sede in altri rimedi previsti dall’ordinamento (ricorsi civili o amministrativi). Orbene,
il legittimo accesso al reclamo ex art. 14 ter Ord. Pen. è dunque subordinato al
presupposto che l’istante agisca in forza di un vero e proprio diritto soggettivo di
ambito carcerario che si assume violato (quale il diritto alla salute, allo studio, i
rapporti con la famiglia, ecc.). Si deve trattare, quindi, di situazioni soggettive di cui
si chiede la tutela sulla base di una fonte normativa (Costituzione o legge ordinaria)
che la riconosca. Nella fattispecie, non solo l’Attanasio non ha invocato una qualche
fonte normativa che costituisca un diritto soggettivo per il detenuto a pretendere di
ottenere vestiario di un particolare tipo (va sottolineato : non il vestiario come diritto
primario, o in vista di particolari problemi di salute, ma quello di personale
gradimento e di livello superiore), ma -come si è visto- sussiste normativa del tutto
contraria, tesa ad evitare differenziazioni tra detenuti, e che comunque legittima
l’Amministrazione a limitazioni in funzione di comprensibili ragioni di salvaguardia
3

dettato dell’art. 14, comma 2, DPR 230/2000.- Si tratta, quindi, di giurisprudenza

dell’ordine e della sicurezza interna (dunque in via generale e preventiva). Quanto a
quest’ultimo aspetto, è di tutta evidenza che si tratta di discrezionalità
amministrativa discendente da legge e, dunque, non sindacabile dall’Autorità
giudiziaria ordinaria.- Tanto risponde anche a tutti i diversi profili del ricorso
dell’Attanasio, sia procedurali che sostanziali; in particolare la recente pronuncia
della Corte Costituzionale, invocata nella memoria 09.07.2013, ribadendo che le
limitazioni ai detenuti devono trovare giustificazione in esigenze di sicurezza, interna
o esterna, costituisce conferma del quadro generale, normativo e giurisprudenziale,

esame in piena coerenza con il sistema così delineato.3. In definitiva il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione,
deve essere dichiarato inammissibile ex artt. 591 e 606, comma 3, Cpp.- Alla
declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue

ex lege, in forza del

disposto dell’art. 616 Cpp, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro
1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa
nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della
Cassa delle Ammende.Così deciso in Roma il 15 Novembre 2013 Il Consigliere estensore

Il Presidente

venutosi a costituire sul particolare status dei detenuti e pone, quindi, la decisione in

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