Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7669 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7669 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GANGI ALFONSO N. IL 14/05/1954
avverso la sentenza n. 946/2010 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 04/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 12/11/2013

Ritenuto in fatto
1.Con sentenza emessa in data 4 ottobre 2012 la Corte di Appello di
Caltanissetta confermava la sentenza resa il 19 aprile 2010 dal Tribunale di
Caltanissetta, che aveva dichiarato Alfonso Gangi responsabile dei reati di
detenzione abusiva e di ricettazione di un fucile cal. 16 a canne mozze, privo di
matricola e di contrassegni nel castello e con matricola abrasa nelle canne, nonché
di 40 cartucce cal. 16 marca Fiocchi, fatto commesso in Santa Caterina Villermosa il

anni due, mesi cinque di reclusione ed euro 800,00 di multa.
2.Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione l’imputato
personalmente, chiedendone l’annullamento per:
-violazione e falsa applicazione della legge e vizio di motivazione in relazione al
disposto degli artt. 648 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. quanto alla ritenuta
sussistenza del delitto di ricettazione, ricostruito sulla base della sola circostanza
del rinvenimento dell’arma funzionante in possesso dello stesso ricorrente,
senz’alcuna indagine circa l’elemento psicologico e senza tenere conto delle
giustificazioni offerte alla detenzione del fucile e della ritenuta superfluità della
denuncia alle autorità di p.s.;
-violazione e falsa applicazione della legge e vizio di motivazione in relazione alla
mancata ammissione della prova richiesta in sede di rinnovazione dell’istruttoria,
respinta con motivazione carente ed illogica, che aveva valorizzato quanto riferito
dal teste Cacopardo, ossia il riconoscimento del fucile in base agli intarsi presenti
sull’arma, mentre in realtà il teste si era espresso in termini incerti ed imprecisi;
-violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto dell’art. 648 cod.
pen., comma secondo: i giudici di merito avevano escluso di poter riconoscere la
fattispecie attenuata del fatto di lieve entità senza dare ragione delle cause ostative
e senza valutare tutte le componenti oggettive e soggettive del fatto, ossia la
collaborazione prestata da esso ricorrente e la qualità del fucile, vetusto e
modificato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
1.1 II gravame articola censure aspecifiche, indifferenti al percorso
argomentativo che è stato posto a giustificazione della decisione impugnata. Per
contro, la sentenza impugnata ha dato conto in modo analitico delle ragioni della
decisione, ha correttamente valutato tutti gli elementi risultanti dagli atti con

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22 gennaio 2002 e che, con la contestata recidiva, l’aveva condannato alla pena di

motivazione congrua, adeguata e priva di erronee applicazioni della legge penale e
processuale e, come tale, non censurabile in questa sede di legittimità.
1.2 In particolare, ha evidenziato che dalle circostanze della perquisizione
domiciliare e dalle dichiarazioni delle testi dell’accusa escussi era emerso che, al
momento del rinvenimento, l’arma con le canne mozzate e recanti l’abrasione di
segni identificativi era stata occultata all’interno di una pressa nell’abitazione in cui
si era trovato l’imputato ed era risultata funzionante ed in grado di sparare,
ancorchè di antica fabbricazione, perché risalente al periodo tra il 1920 ed il 1930.

perpetrato in danno di tale Mario Cacopardo, si è evidenziato che l’arma era quella
asportata da ignoti dall’abitazione del Cacopardo perché questi al dibattimento ne
aveva fornito la descrizione e ne aveva operato il riconoscimento, riferendo trattarsi
dell’antico fucile da caccia, già appartenuto al nonno ed al padre, in ragione della
presenza di una particolare lavorazione ad intarsio, presente nel punto di giuntura
tra canne e calcio e per la corrispondenza tra il numero di matricola, impresso sul
fucile e quello presente anche nella denuncia presentata dai precedenti legittimi
proprietari.
1.3 Non risponde dunque al vero che la sentenza impugnata abbia basato il
giudizio di reità sulla sola circostanza dell’accertato possesso dell’arma non
denunciata, ma ha valorizzato tale elemento unitamente alle emergenze,
univocamente indicative della provenienza illecita del fucile, quale la significativa
corrispondenza del numero di matricola “88” impresso sull’arma e già presente su
quella denunciata dai Cacopardo.
1.4 Inoltre, il ricorso ha richiamato in modo generico le giustificazioni fornite
dall’imputato in ordine alle modalità di acquisizione dell’arma senza illustrarle nel
loro contenuto e nella rilevanza dimostrativa al fine di escludere il dolo del delitto di
ricettazione, in ciò incorrendo nel difetto di autosufficienza, sicchè non può
fondatamente dolersi dell’illogicità e della carenza della motivazione per non avere
tenuto in considerazione argomentazioni che non sono state portate a conoscenza
in modo dettagliato e specifico di questa Corte.
1.5 In punto di diritto giova ricordare che, per costante insegnamento
giurisprudenziale, la prova dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione, il cui
contenuto di disvalore è legato all’acquisto o alla ricezione di un bene oggetto di
precedente reato, può essere offerta con ogni mezzo ed essere ricavata anche dal
contegno processuale dell’imputato quando questi non offra alcuna indicazione,
oppure ne dia di assolutamente infondate, circa le circostanze di tempo e luogo
dell’acquisizione del bene; infatti, l’aver taciuto tali vicende o averle riferite in modo
risultato non attendibile viene ritenuto univocamente indicativo della volontà di

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Circa l’origine illecita del fucile, ritenuto provento del pregresso delitto di furto

occultare la reale ed illecita provenienza del bene stesso. E di tali principi la
sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione.
2. Anche la doglianza che denuncia l’erronea mancata ammissione della prova
richiesta con l’istanza di rinnovazione dell’istruttoria risulta generica, dal momento
che il ricorrente non esplicita quale fosse l’approfondimento probatorio necessario e
per quali ragioni lo stesso avrebbe apportato elementi di conoscenza in grado di
condurre ad un esito decisorio più favorevole per la sua posizione. Né è dato
conoscere se tale prova fosse già stata assunta, oppure se si trattasse di elemento

negativamente anche la valutazione sulla ricorrenza dei presupposti richiesti
dall’art. 603 cod. proc. pen..
2.1 In punto di diritto è noto che la norma di cui all’art. 603 cod.proc.pen. in
tema di rinnovazione dell’istruttoria in appello a richiesta delle parti contiene due
previsioni differenziate, a seconda che si tratti della riassunzione di prove già
acquisite o dell’assunzione di prove nuove, oppure sopravvenute o scoperte dopo il
giudizio.
2.1.1 Nel primo caso di riassunzione di prove già introdotte, oppure di prove
nuove, ma preesistenti o concomitanti al giudizio di primo grado, il giudice d’appello
deve disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale solo se ritiene di non
essere in grado di decidere sulla base del materiale probatorio già acquisito e quindi
della necessità dell’integrazione in funzione delle prospettate possibilità di riforma
della sentenza impugnata. Questa disciplina si fonda sul principio di presunzione
relativa di esaustività e completezza dell’indagine istruttoria condotta nel grado
precedente, ed è oggetto di valutazione discrezionale del giudice d’appello, non
rimessa alla disponibilità delle parti processuali, sulle quali grava soltanto l’onere di
allegazione, ossia di indicazione dei mezzi di prova da assumere e della loro
necessità; la rinnovazione del dibattimento in appello è dunque delineata come
istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il
giudice ritenga, nell’ambito dei suoi poteri di apprezzamento discrezionale, di non
potere decidere allo stato degli atti.
2.1.2 Nel diverso caso di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di
primo grado, per tali s’intendono quelle sopraggiunte in via autonoma senz’alcuno
sforzo di ricerca ed oggettivamente concretizzatesi in un certo momento successivo
alla sentenza di primo grado, nonchè quelle individuate a seguito di un’opera
specifica condotta in tal senso, la quale dia esiti positivi in un momento posteriore
alla decisione (Cass. sez. 3, n. 11034 del 21/10/1993, Bavagnoli, rv. 195940; sez.
3, n. 11530 del 29/01/2013, A.E., rv. 254991); in tali situazioni il giudice deve
procedere alla rinnovazione dell’istruttoria, fermi restando i limiti di cui all’art. 495
cod. proc. pen., comma 1, riguardanti il diritto alla prova ed i requisiti della stessa,

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nuovo sopravvenuto o scoperto dopo il giudizio di primo grado, il che condiziona

per cui dovrà valutare l’ammissibilità secondo i parametri della non manifesta
superfluità o irrilevanza dell’adempimento istruttorio e previa allegazione o
dimostrazione, ad iniziativa della parte istante, degli elementi concreti per ritenere
la prova realmente sopravvenuta (sez. 3, n. 37917 del 27/06/2012, G., rv. 253578)
2.1.3 Alla diversità di presupposti per procedere alla rinnovazione
dell’istruttoria in appello corrisponde poi un differente onere motivazionale in capo
al giudice, nel senso che, quando le richieste delle parti siano respinte, la
giustificazione della decisione potrà anche essere implicita e desumibile dalla

sussistenza di elementi sufficienti all’affermazione o alla negazione di responsabilità
dell’imputato e si desuma per implicito la superfluità degli adempimenti richiesti,
con la ulteriore conseguenza che in sede di impugnazione della decisione reiettiva,
la mancata assunzione di una prova decisiva può costituire motivo di ricorso per
cassazione ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1 lett. d), solo quando si
tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo la pronuncia di primo grado, che
avrebbero dovuto essere ammesse secondo il disposto del secondo comma dell’art.
603 cod. proc. pen..
Si richiede, invece, una puntuale giustificazione nel caso di ammissione di
prove che non siano nuove o sopravvenute (Cass. sez. 2, n. 31065 del 10/05/2012,
Lo Bianco e altri, rv. 253526; sez. 4, n. 47095 del 02/12/2009, Sergio e altri, rv.
245996; sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009, Pacini, rv. 246859; sez. 5, n. 1075 del
1’1/2/2000, ric. Lavista, riv. 215772; sez. 2, n. 8106 del 7/7/2000, ric. Accettala,
riv. 216532; Sez. 5, 8.8.2000, n. 08891, ric. Callegari, riv. 217209) e la relativa
decisione è contestabile col ricorso per cassazione sotto l’unico profilo della
mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato e sempre che la prova non ammessa sia in grado di
giustificare un differente esito decisorio.
Per la generica formulazione del secondo motivo di gravame non è dunque
consentito riscontrare la violazione di tali principi da parte della Corte territoriale.
3. Infine, anche con riferimento all’attenuante di cui al secondo comma di cui
all’art. 648 cod. pen. si è rilevato come il fatto non potesse essere considerato
trascurabile, mentre il ricorso si basa soltanto sull’indicazione della pretesa
collaborazione dell’imputato, le cui dichiarazioni sono state ritenute inverosimili e
prive di fondamento, nochè sulla vetustà dell’arma e sull’assemblaggio delle sue
componenti, che però non ne avevano compromesso la funzionalità; gli elementi
rappresentati col ricorso sono dunque volti a sollecitare un inammissibile
apprezzamento di profili fattuali, interdetto nel giudizio di legittimità.
L’impugnazione è dunque inammissibile e ne segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella
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struttura argomentativa della sentenza d’appello, con la quale venga evidenziata la

proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equo
determinare in euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013.

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