Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7648 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7648 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

.

LO NARDO FRANCESCO N. IL 16/02/1952
avverso l’ordinanza n. 118/2012 GIP TRIBUNALE di ASTI, del
31/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 12/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 31 ottobre 2012 il Tribunale di Asti, deliberando in
funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva per la carenza dei presupposti di
legge l’istanza proposta da Francesco Lo Nardo, diretta ad ottenere l’applicazione
della continuazione in sede esecutiva ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen..
2. Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione
l’interessato, sia personalmente, sia a mezzo del difensore, chiedendone

dell’art. 671 cod. proc. pen., non avendo rilevato il primo Giudice che sull’istante
grava l’esclusivo onere di specificare i fatti giudicati con le sentenze irrevocabili e
che i fatti di reato erano stati commessi a distanza di quindici giorni e nello stesso
ambito territoriale e che in ogni caso erano stati già unificati per continuazione dai
giudici della cognizione nell’ambito di ciascuna sentenza.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile.
1.11 provvedimento impugnato, adeguatamente e logicamente motivato,
resiste alle censure genericamente formulate in ricorso, ove si consideri, che il
giudice dell’esecuzione, nell’escludere la configurabilità della continuazione, ha
valorizzato, con plausibili argomentazioni, le ragioni fattuali desunte dalle sentenze
di condanna, in particolare l’assenza di una significativa contiguità spaziale e
temporale fra gli episodi criminosi, nonché, in punto di diritto, l’ormai consolidato
orientamento giurisprudenziale, secondo il quale l’identità del bene giuridico violato
ed il ridotto lasso temporale intercorso fra le varie condotte costituiscono aspetti da
soli insufficienti a dare la dimostrazione dell’esistenza di quell’unico iniziale
programma in vista di uno scopo determinato, ricomprendente le singole violazioni,
che costituisce l’indefettibile presupposto per il riconoscimento della continuazione.
Ha quindi concluso che le violazioni per le quali era intervenuta la condanna
costituivano espressione di una generale abitudine a delinquere in danno dell’altrui
patrimonio.
1.1 La decisione contestata è dunque supportata da motivazione, che, oltre
ad essere in sé logica e coerente, risulta in linea col dettato normativo e con i
principi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, mentre il
ricorso presentato personalmente allude all’unico disegno criminoso costituito
dall’intento di trarre profitto dalla commissione di rapine, ossia richiama quello che
è stato il movente venale delle azioni criminose, non il preventivo programma di
realizzarle con modalità deliberate almeno nelle linee generali, mentre quello a
1

/

l’annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto

firma del difensore richiama in modo generico la distanza cronologica ravvicinata
fra i fatti di reato, la tipologia, il bene protetto e l’omogeneità delle violazioni, ossia
elementi astrattamente indicativi dei presupposti per il riconoscimento della
continuazione, ma nel caso concreto soltanto enunciati e non corredati
dall’illustrazione dei relativi profili fattuali.
1.2 Parimenti irrilevante risulta la già operata unificazione per continuazione da
parte dei giudici della cognizione, che ha riguardato i reati contestati nei singoli
procedimenti, perché commessi nelle stesse circostanze di tempo e luogo e per le

ideato ed attuato in modo unitario.
L’impugnazione va dunque dichiarata inammissibile per la genericità dei motivi
e per la loro manifesta infondatezza con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella
proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di euro
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013.

medesime finalità antigiuridiche, quindi considerati espressione dello stesso disegno

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