Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7608 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7608 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
MOREA MARIO

n. Il 04.04.1964

Nei confronti del
MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE
avverso l’ordinanza n. 12/2010 della Corte d’appello di Lecce – sezione
distaccata di Taranto- del 15.12.2011
Visti gli atti, l’ ordinanza ed il ricorso
Udita in UDIENZA CAMERALE del 3 dicembre 2013 la relazione fatta dal
Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Lette le richieste del Procuratore Generale nella persona del dott. Aldo
Policastro che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il

Ministero

dell’Economia

e

delle

Finanza,

rappresentata

dall’Avvocatura dello Stato con memoria depositata in termini chiede
dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 03/12/2013

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

Con l’ordinanza, indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Milano ha
rigettato la richiesta, presentata da MOREA Mario,

di riparazione per

ingiusta detenzione, in riferimento al procedimento penale che lo aveva visto
imputato dal reato di traffico di stupefacenti, dal quale era stato assolto, con

rinvio dalla Suprema Corte, definitiva in data 13.03.2009.
Rifacendosi alle risultanze istruttorie esaminate nella sentenza assolutoria,
la Corte di Appello ha evidenziato che l’applicazione della misura cautelare
restrittiva era stata disposta, tra l’altro, sulla base di elementi probatori
emersi nella fase delle indagini e rimasti provati con certezza. In particolare
si rileva che la sentenza pone in evidenza che il MOREA aveva fatta richiesta di
acquisto di stupefacente a tale Dicè Raffaele, capo di un sodalizio mafioso
operante in Laterza e zone limitrofe, all’epoca dei fatti detenuto, e questi aveva
dato indicazioni alla moglie, nel corso di un colloquio in carcere, circa le
complicate modalità di consegna dello stupefacente.
Tale condotta è stata ritenuta ostativa all’accoglmento della domanda di
riparazione.
Avverso l’ordinanza il MOREA propone ricorso per cassazione, a mezzo del
difensore. L’istante denuncia vizi di motivazione dell’atto, consistenti in una
errata valutazione della sua condotta, apoditticamente ritenuta integrare
l’ipotesi di colpa grave, gravità sulla quale manca una convincente ed analitica
motivazione, che possa superare la valutazione della sentenza di assoluzione,
per la quale gli indicati elementi sono stati ritenuti inconsistenti o insufficienti
per una affermazione di penale responsabilità. In sostanza il provvedimento
restrittivo era stato emesso non per comportamenti illeciti od equivoci del
ricorrente, ma solo sulla base di accertamenti (intercettazioni ambientali) che
hanno avuto ad oggetto dichiarazioni intercorse tra altri. Il Morea non
conosceva il Dicè, né tanto meno la moglie 0;,quel Sangiorgio Cosimo, detto
Mimmo, con cui secondo l’originaria accusa, avrebbe dovuto incontrarsi per
acquistare la sostanza stupefacente.
Si denuncia altresì come illogica la motivazione della Corte nella parte in cui
si evidenzia che il MOREA si è limitato a negare gli addebiti nel corso
dell’interrogatorio di garanzia reso in sede di udienza di convalida. Sicchè il
silenzio serbato è stato ritenuto comportamento che ha contribuito a
rafforzare l’errore degli inquirenti a mantenere la custodia cautelare.

la formula per non aver commesso il fatto, con sentenza della Corte d’Appello
#
di Lecce – sezione distaccata dy) Taranto – in data 10.07.2008, in sede di

Con il parere scritto il P.G., nella persona del dott. Aldo Policastro, nel
chiedere di dichiarare inammissibile il ricorso ha evidenziato che
l’impugnata ordinanza appare adeguatamente motivata in quanto in essa
vengono specificati, con riferimento al caso concreto, i comportamenti del
ricorrente caratterizzati da spiccata leggerezza o macroscopica
trascuratezza o evidente imprudenza. Il provvedimento, dunque, era stato
emesso in un quadro gravemente indiziario cui aveva dato luogo anche il
ricorrente con un comportamento gravemente colposo che aveva reso

Il ricorso va rigettato essendo i relativi motivi infondati.
Appare conferente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui
(cfr. fra tutte Cass. Pen., IV” sez., n. 2830, del 12.5.2000) “il sindacato del
Giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la
riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del
procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o
negare il presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece
nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito la valutazione sull’esistenza e
la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo restando al giudice di legittimità
soltanto il compito di verificare la correttezza logica del ragionamento”
Per il caso che ci occupa, l’iter argomentativo, sia pure sintetico, seguito
dalla Corte d’Appello, resiste alle censure di cui al ricorso in quanto 4 gli
elementi probatori già sussistenti nella fase delle indagini che, se da un lato
non sono stati ritenuti, successivamente all’esito del giudizio di appello,
sufficienti per un’affermazione di responsabilità penale del MOREA in ordine ai
fatti a lui addebitati, costituiscono, per altro verso, condotte rilevanti una
eclatante e macroscopica negligenza ed imprudenza; presupposto che ha
ingenerato la falsa apparenza della loro configurabilità come illecito penale e
dando luogo, così, alla detenzione con rapporto di causa ed effetto.
In sostanza la Corte d’appello, in sede di rinvio, richiamando il primo
colloquio, intercorso tra la moglie ed il Dicè il 18.11.1996, rileva che
quest’ultimo aveva effettivamente organizzato un incontro tra Mariolino
(l’istante) e Mimmo per la consegna di un imprecisato quantitativo di
“Iorella”, dando alla moglie l’ordine di consegnare a Mimmo il proprio telefono
perché il numero di quel telefono sarebbe stato utilizzato da colui con il quale
sarebbe stato attivato il contatto; lo stesso Dicé aveva, quindi, dettate le
istruzioni sul luogo e sulle modalità dell’incontro, chiarendo che la consegna
della cocaina non doveva avvenire presso il luogo dell’incontro, ma in un
momento successivo ed ad un indirizzo che Mimmo avrebbe dovuto

credibili le accuse mosse nei suoi confronti.

comunicare al Mariolino. Il giudice di rinvio riteneva, tuttavia, che le
conversazioni successive non fossero la prosecuzione temporale e logica di
quella del 18 novembre 1996, per cui concludeva nel senso che non vi era
prova del fatto che Mariolino si fosse effettivamente incontrato con Mimmo
per portare a compimento l’acquisto di un imprecisato quantitativo di droga.
Ciò che la Corte della riparazione pone correttamente in evidenza è che la
richiesta di acquisto di droga da parte del Mariolino al Dicè è un fatto storico
accertato, come pure è rimasto accertato che il Mariolino delle intercettazioni

che tali fatti siano stati accertati indirettamente e non sulla base di
comportamenti del MOREA caduti sotto la diretta percezione visiva o uditiva
degli inquirenti.
La stessa ordinanza ha valutato negativamente, come secondo elemento
integrativo della causa ostativa, il silenzio – pur lecito – serbato dal MOREA.,,
L’ordinanza impugnata, dunque, ascrive alle condotte gravemente colpevoli del
ricorrente l’apparenza della sua responsabilità, e, in relazione alla durata della
detenzione, ne trova la ragion d’essere nella gravità delle accuse contenute e
nella strategia difensiva dell’istante….che ha tenuto pacificamente e
consapevolmente un comportamento silente, che, seppure legittimo, acquista
un valore determinante… .quale ulteriore fattore colpevole idoneo a spiegare il
mantenimento della custodia cautelare”.
Di fronte alla condotta volontaria del ricorrente su descritta,, sussistevano,
dunque, concrete probabilità che egli potesse essersi reso responsabile dei reati
contestatigli e, comunque, ad aver colpevolmente indotto l’Autorità giudiziaria a
credere nel suo coinvolgimento e a procedere all’applicazione della misura
cautelare personale eT 71-6,21-dk.
Ed appare evidente che il GIP, nella valutazione complessiva della condotta
criminosa del ricorrente, in relazione alla verifica dei presupposti per emettere il
provvedimento cautelare, ha tenuto senz’altro conto dei dati oggettivi ma anche
del comportamento dell’indagato, e di tanto pii, ha tenuto in conto la Corte
territoriale, nell’esaminare la richiesta

de qua, sotto il profilo della colpa,

indipendentemente dalla relativa valutazione di non valenza criminale operata
dalla sentenza della Corte d’Appello in sede di gravame.
Al rigetto del ricorso segue al condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e alla rifusione delle spese in favore del costituito Ministero che si
liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

si identifica con l’odierno ricorrente; ciò, indipendentemente dalla circostanza

oltre alla rifusione in favore del costituito Ministero dell’Economia e delle
Finanze delle spese che liquida in complessivi C 750,00,vtfre accessori cofrie
t~.

Così deciso in Roma alla udienza camerale del 3 dicembre 2013.

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