Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 76 del 31/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 76 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

LEOBILLA PASQUALE n. 5/8/1956
avverso la sentenza n. 1468/2011 del 30/4/2012 della CORTE DI APPELLO
DI LECCE
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MARIO FRATICELLI che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito il difensore avv. MAURO MELLINI che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte di Appello di Lecce con sentenza del 30 aprile 2012, in parziale
riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Brindisi sezione
distaccata di Ostuni il 24 marzo 2011 nei confronti di Leobilla Pasquale,
riqualificava il fatto come reato di cui agli artt. 81 e 316 ter cod. pen.
rideterminando la pena e sospendendola sotto condizione della restituzione
dell’importo di € 20.000 all’Inps.
Il ricorrente era accusato di avere indotto in errore l’inps di Brindisi che gli
erogava il contributo di disoccupazione dal 2001 al 2007 per l’importo di circa
euro 20000 in base alla falsa dichiarazione della sua condizione di
disoccupazione nel periodo in cui, invece, percepiva redditi sia dalla società
Ecopuglia 2004 srl della quale cedeva fittiziamente le proprie quote ma

Data Udienza: 31/10/2013

continuava a svolgere attività di amministrazione, sia esercitando altra ditta
individuale.
Il fatto, inizialmente contestato quale truffa aggravata, risultava accertato
sulla scorta delle indagini della GdF e dell’Inps. In risposta ai motivi di appello, la
Corte osservava che, comunque, atteso che l’indennità di disoccupazione non è
dovuta a fronte della disponibilità di qualsiasi reddito, poiché effettivamente il
ricorrente ne percepiva non aveva quindi alcun diritto a detta indennità. Rilevava
anche la infondatezza della tesi difensiva basata sulla mera apparenza della

fruizione di redditi asseritamente per essere restata erroneamente a suo nome
la delega all’incasso dei mandati di pagamento della società anzidetta pur dopo
la cessazione della sua attività di dirigente. Inoltre le stesse disponibilità
finanziarie finalizzate alle operazioni sulle quote societarie escludevano lo stato
di bisogno che giustificavano la richiesta di indennità.
La riqualificazione del reato era effettuato in conformità a quanto richiesto
dalla difesa.
Leobilla Pasquale propone ricorso con atto firma del proprio difensore. Con
primo motivo deduce la violazione legge quanto all’articolo 316 ter cod. pen. .
Osserva che, al fine della corresponsione dell’indennità di disoccupazione, non
interessa il profilo operativo dello stato di bisogno poiché l’indennità trova causa
in un contratto di assicurazione. E non ha funzione esclusivamente assistenziale.
Non vi è, quindi, una specifica norma di legge violata che consenta di ritenere la
sussistenza del reato contestato.
Con secondo motivo deduce la violazione legge in relazione al medesimo
articolo 316 ter nonché il vizio di motivazione sul punto. Rileva che non vi è
norma specifica che imponesse le dichiarazioni sulle condizioni personali che
sarebbero state commesse dal ricorrente.
Con terzo motivo deduce il vizio di motivazione in ordine alla affermata
insussistenza del diritto di percepire indennità di disoccupazione. La Corte
avrebbe operato solo con mere presunzioni nel determinare il reddito.
Con quarto motivo deduce la carenza di motivazione per la parte in cui si
individuano i periodi per i quali vi è stata percezione in frode. Il periodo di
contestato andrebbe riformulato. Inoltre i periodi di fruizione di redditi non
corrispondono a quello indicato quale di commissione del reato.
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
Vengono riproposte questioni già ampiamente risolte dai giudici di merito,
senza uno specifico confronto con le relative motivazioni:
quanto al primo ed al secondo motivo, la Corte ha precisato come l’indennità
di disoccupazione fosse attribuita solo ai soggetti privi di reddito ed in stato di
bisogno ed a fini assistenziali. L’omissione delle dichiarazioni personali è stata

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ragione per la corresponsione della indennità, dimostrando il dolo del reato
ascritto o comunque rappresentando gli artifizi o raggiri di cui alla originaria
contestazione di truffa. Il ricorso si limita a riproporre la propria tesi cui ha già
avuto risposta.
Quanto al terzo motivo a fronte della motivazione sui flussi di reddito in
favore del ricorrente, non è sufficiente affermare che si tratta di “elucubrazioni
gratuite e contraddittorie”, ma andava individuato l’eventuale errore dei giudici
di merito.

riferimento della percezione indebita e le relative cifre; non essendo individuato
uno specifico errore dei giudici di merito, ma venendo prospettata una diversa
ricostruzione dei complessivi periodi di fruizione di redditi, si richiede una
valutazione in merito preclusa in sede di legittimità.
Valutate le ragioni della inammissibilità, la sanzione pecuniaria può essere
determinata nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Amm nde.
Rom così deciso il 23 maggio 2013
Il C

lier

stensore

il Presidente

Quanto al quarto motivo, la sentenza di appello individua gli anni di

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