Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 76 del 22/11/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 76 Anno 2013
Presidente: MARZANO FRANCESCO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) PANSINI PATRIZIA N. IL 28/01/1971
2) VALERIO ROSA N. IL 14/05/1991
3) VALERIO FERDINANDO N. IL 21/09/1989
1) MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 61/2007 CORTE APPELLO di BARI, del
21/11/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
lette/s
le conclusioni d I PG Dott.

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Data Udienza: 22/11/2012

Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia e procuratore speciale di Pansini Patrizia,
Valerlo Rosa e Valeria Ferdinando quali eredi di Valeria Biagio avverso l’ordinanza emessa
in data 21.11.2011 dalla Corte di Appello di Bari che rigettava l’istanza di riparazione
dell’ingiusta detenzione subita (dal 20.3.2001 al 28.3.2001 in carcere e da tale data al
14.5.2002 agli arresti domiciliari per i delitti di estorsione e rapina dai quali era stato poi
assolto con sentenza divenuta definitiva) da Valeria Biagio (nelle more deceduto) a
ricorrenti si erano poi costituiti con atto depositato il 21.10.2007.
La Corte territoriale motivava la sua decisione di rigetto assumendo che i congiunti
costituiti si erano dichiarati eredi di Valeria Biagio e beneficiari della somma pretesa a
titolo di riparazione senza allegare di aver patito un danno a causa della restrizione
cautelare del congiunto: i predetti, dunque, pur agendo iure proprio, avevano totalmente
omesso di provare e finanche di prospettare le conseguenze pregiudizievoli personali a
base della pretesa indennitaria.
I ricorrenti deducono nel ricorso in esame l’erronea applicazione degli artt. 314, 315 e
644 c.p.p. e la mancanza di motivazione. Prospettano, altresì, la violazione di legge ed il
vizio motivazionale in ordine alla ritenuta mancata prova delle conseguenze
pregiudizievoli patite.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per
l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
E’ stata depositata, ad opera dell’Avvocatura generale dello Stato nell’interesse del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, una memoria difensiva a sostegno dell’ordinanza
impugnata.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
E’ palese l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale.
Pur riconoscendo che l’indennizzo per l’ingiusta detenzione, in caso di morte dell’avente
diritto, spetta ai congiunti elencati nell’art. 644 comma 1 c.p.p. (a tal proposito citando
Cass. pen. Sez. IV n. 19322 del 2005), ha respinto l’istanza originaria di riparazione del
de cuius addossando ai congiunti subentrati l’onere probatorio in ordine al pregiudizio
personalmente patito a causa dell’ingiusta detenzione subita dall’avente diritto.
Costoro, però, nel “riassumere” o “proseguire” la causa “interrotta” per effetto
dell’intervenuto decesso del congiunto, subentrano nel diritto all’indennità
originariamente dovuta a quest’ultimo e non già ad una nuova e diversa indennità
commisurata alle ripercussioni dell’ingiusta detenzione nella propria sfera personale.
Invero, “Gli eredi dell’autore della domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione sono
legittimati a proseguire il giudizio in caso di decesso dell’interessato nelle more del
giudizio, trovando applicazione nel caso, dato il carattere economico del “petitum”, la
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seguito di istanza da quello presentata il 2.5.2007, nel cui procedimento gli odierni

disciplina processualcivilistica, che ricollega l’estinzione del processo non alla morte della
parte ma alla mancata prosecuzione o riassunzione in termini dello stesso da parte dei
successori aventi diritto”. (Conf. sull’applicabilità della disciplina del processo civile Cass.
3.2.1998, n. 370, P.M. in proc. Gulli).(Cass. pen. Sez. IV, n. 268 del 22.1.1998, Rv.
210627).
Il disposto dell’art. 315 comma 3 c.p.p. dispone che, nel procedimento per la riparazione
dell’ingiusta detenzione, si applicano (ovviamente per quanto non specificamente
norma sulla riparazione dell’errore giudiziario che disciplina il caso della premorienza del
titolare del diritto è costituita dall’art. 644 comma 1 c.p.p. secondo cui “se il condannato
muore, anche prima del procedimento di revisione, il diritto alla riparazione spetta al
coniuge, ai discendenti e ascendenti ” ; e il secondo comma precisa che a queste
persone non può essere liquidata una somma maggiore di quella che sarebbe spettata al
prosciolto.
La tesi secondo cui il rinvio alle norme sulla riparazione dell’errore giudiziario si
riferirebbe alle sole norme procedimentali è stata rifiutata dalle sezioni unite di questa
Corte con la sentenza 14 dicembre 1994, Libranti e questa soluzione è stata condivisa da
tutta la successiva giurisprudenza di legittimità.
La medesima sentenza ha affrontato anche il problema della compatibilità di queste
norme con l’istituto per la riparazione dell’ingiusta detenzione risolvendolo positivamente
“dato che gli effetti pregiudizievoli dell’ingiusta detenzione, come quelli dell’errore
giudiziario, sono naturalmente destinati a propagarsi nell’ambito familiare, legittimando,
nel caso della morte della persona che ha subito l’ingiusto provvedimento, una pretesa
riparatoria dei congiunti”.
Ma, ciò che più interessa, la norma è idonea a risolvere il problema proposto
indipendentemente dall’inquadramento teorico che si voglia dare all’istituto della
riparazione, e alla natura ad esso riconosciuta, sotto il profilo della personalità del diritto
maturato.
Secondo la comune accezione, la riparazione per l’ingiusta detenzione non ha natura di
risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di
solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale; e ciò in
applicazione dell’art. 24 comma 4 0 della Costituzione oltre che dell’art. 5 comma 5 0 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 9 n. 5 del Patto internazionale dei
diritti civili e politici.
Si tratta di uno dei casi di indennità previsti per ipotesi nelle quali il pregiudizio deriva da
una condotta conforme all’ordinamento che però ha prodotto un danno che deve
comunque essere riparato e per i quali si è fatto ricorso alla figura dell’atto lecito
dannoso: l’atto è stato infatti emesso nell’esercizio di un’attività legittima (e doverosa) da

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disposto) “in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell’errore giudiziario”. La

parte degli organi dello Stato anche se, in tempi successivi, ne è stata dimostrata (non
l’illegittimità ma) l’ingiustizia.
Così ricostruito l’istituto, ne consegue che la natura indennitaria dell’istituto non ne
escluderebbe, in via teorica, la trasmissibilità per via ereditaria, in ogni caso, benchè
l’art. 644 comma 3 0 in esame attribuisca agli eredi un diritto spettante iure proprio e non
iure hereditario (secondo la tesi sostenuta dalle sezioni unite nella ricordata sentenza) il
loro diritto è commisurato a quello della persona defunta e ingiustamente detenuta come
Insomma, come si legge nella sentenza di questa Corte citata dall’ordinanza impugnata
(Cass. pen. Sez. IV, n. 20916 del 19.4.2005 Rv. 231655), che si condivide pienamente,
“la norma attribuisce alle persone in questione, indipendentemente dalla soluzione dei
problemi teorici indicati, il diritto alla riparazione spettante al congiunto defunto di cui
quindi (il legislatore, non l’interprete) ha escluso la natura strettamente personale cui
conseguirebbe l’intrasmissibilità secondo la non condivisibile opinione dei giudici di
merito”.
Conclusivamente, avendo la riparazione per l’ingiusta detenzione natura di indennizzo
conseguente all’atto lecito dannoso e pur attribuendo, pertanto, l’art. 644 cod. proc. pen.
agli eredi un diritto “iure proprio” (come da Cass. pen. Sez. Un. del 14 dicembre 1994),
esso è comunque commisurato a quello della persona defunta, con la conseguenza che i

prossimi congiunti possono far valere in giucjizio il dknno subito dal defunto (Cass. peri.
Sez. IV, n. 20916 del 19.4.2005 Rv. 231655; Sez. IV, n. 19322 del 16.2.2005, Rv.
231552).
Consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari
cui va demandato il regolamento tra le parti private delle spese relative a questo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari, cui demanda anche
il regolamento tra le parti private delle spese per questo giudizio.
Così deciso in Roma, il 22.11.2012

espressamente ivi previsto (v. suora).

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