Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7593 del 11/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7593 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Gianfreda Pierpaolo, nato a Brindisi 1’08/05/1970

avverso la sentenza del 15/02/2012 della Corte di appello di Lecce

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Vito D’Ambrosio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Giacomo Massimo Ciullo, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Pierpaolo Gianfreda, già amministratore unico della S.G.F.
s.r.1., dichiarata fallita dal Tribunale di Brindisi il 26/03/2002, ricorre avverso la
sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce il 15/02/2012: con detta

Data Udienza: 11/04/2013

pronuncia risulta essere stata confermata la condanna del Gianfreda alla pena di
anni 2 di reclusione per addebiti ex artt. 216, 219 e 223 legge fall., in relazione
alla suddetta procedura concorsuale.
Il ricorso è articolato in sei motivi.
1) Inosservanza di norme processuali, anche in relazione all’art. 111 Cost.,
nonché omessa e/o illogica motivazione sul motivo di appello afferente
l’incoerenza tra i capi di imputazione contestati al Gianfreda e la reale
condotta da questi tenuta, non comprendendosi dal testo della sentenza

bancarotta fraudolenta ovvero di bancarotta preferenziale.
Da un lato, infatti, si era ritenuto accertato che il prevenuto avesse
consegnato merce per circa 20.000,00 euro di complessivo valore a due
creditori, a parziale compensazione delle loro pretese e in pregiudizio
degli altri, ma dall’altro – in punto di elemento soggettivo – si era
affermato che l’intento del Gianfreda fosse stato quello di «vulnerare
l’interesse patrimoniale dei creditori alla conservazione della garanzia dei
loro crediti, senza comportamenti preferenziali a favore di taluno dei
creditori».
La Corte di appello, procedendo ad una analisi separata delle due
incriminazioni in fatto, ed evitando di affrontare il problema che era stato
segnalato nei motivi di gravame, sarebbe così incorsa in un vizio di
carenza di motivazione; analoga contraddittorietà dovrebbe rilevarsi
quanto alla presunta compresenza dei reati di bancarotta per distrazione
e documentale, visto che la seconda presuppone l’impossibilità di
determinare o ricostruire il movimento degli affari dell’impresa, quando
alla contestazione delle presunte distrazioni di giacenze di denaro in cassa
e di depositi attivi su un conto corrente era stato possibile pervenire
proprio in virtù delle scritture disponibili.
2) Mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonché erronea
applicazione dell’art. 42 cod. pen. ed omessa assunzione di prova
decisiva.
Il ricorrente censura le argomentazioni adottate nella sentenza impugnata
in ordine alla prova del dolo del delitto di bancarotta documentale,
laddove viene richiamata giurisprudenza di legittimità che si limita a
richiedere la necessità – per rendere non configurabile il meno grave
reato di cui agli artt. 217 e 224 legge fall. – di escludere un mero
atteggiamento di superficialità da parte dell’imprenditore: ciò in quanto le
presunte condotte di sottrazione, distruzione o falsificazione delle
scritture riguardavano periodi in cui il Gianfreda non era amministratore,

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di primo grado se l’addebito meritasse qualificazione in termini di

mentre durante la sua gestione erano al più ravvisabili condotte di tenuta
irregolare, come comprovato da una «relazione tecnica, prova decisiva
non tenuta in alcuna considerazione dal collegio giudicante».
Inoltre, risultava provata la circostanza della tenuta delle scritture
contabili da parte di un professionista, ed avrebbe dovuto escludersi la
stessa possibilità teorica che l’imputato le potesse manomettere od
occultare, visto che vi era stato anche un controllo ad opera della Guardia
di Finanza nel 2002, all’esito del quale non erano emerse irregolarità di

3) Violazione ed erronea applicazione degli artt. 40, 42, 110 cod. pen.,
anche in relazione agli artt. 27 e 111 Cost; mancata assunzione di prova
decisiva e “disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost.”.
Secondo la difesa, non sarebbe condivisibile l’affermazione dei giudici di
merito in base alla quale il Gianfreda dovrebbe quanto meno rispondere
degli addebiti a titolo di concorso ex art. 110 cod. pen., visto che non
risulta in ogni caso accertata la responsabilità di diversi, eventuali
soggetti (viene ricordato, fra l’altro, che nel corso dell’esame del teste
Roberto Sancesario era emersa la necessità di non rivolgergli domande
suscettibili di portarlo a rendere dichiarazioni contra se, con il risultato
che il possibile coinvolgimento di costui nei fatti contestati in rubrica era
rimasta una mera ipotesi). Per converso, posto che tutti e tre i soci
dell’epoca avevano libero accesso alla cassa ed alle altre disponibilità
della S.G.F., nulla autorizzerebbe a indicare proprio nel Gianfreda,
piuttosto che negli altri soci Fanciullo e Sancesario, invece
aprioristicamente esclusi dal novero dei potenziali responsabili, l’autore
delle lamentate distrazioni. Tanto più che, secondo la tesi difensiva,
l’imputato era sì il legale rappresentante della società fallita, ma gli altri
due soggetti ne condividevano l’amministrazione.
4) Erronea applicazione degli artt. 43, 44, 51 cod. pen. e 56 legge fall.,
nonché manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
I presunti pagamenti in favore di due creditori, essendo intervenuti nei
confronti di ditte che avevano rapporti di fornitura pressoché in esclusiva
con la società fallita, avrebbero dovuto essere considerati non già come
condotte di bancarotta preferenziale, bensì quale «legittimo tentativo di
compensazione, ex art. 56 legge fall., per estinguere parte del debito»: a
riguardo, peraltro, il curatore fallimentare aveva ricostruito quelle
operazioni secondo il diverso, ma comunque lecito, schema della dati° in
solutum.

La presenza dell’ufficiale giudiziario al momento della consegna

di quei beni aziendali, stante una procedura formale già in atto su

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sorta.

iniziativa del creditore, aveva poi «contribuito ad ingenerare nel Gianfreda
il legittimo convincimento di agire nel pieno rispetto della legge ex art.
1186 cod. civ.»: ne sarebbe pertanto derivata la violazione dell’art. 51
cod. pen.
Inoltre, il ricorrente rappresenta che nel caso di specie manca del tutto la
prova del dolo, non avendo certamente l’imputato – animato dalla
volontà di realizzare una compensazione legalmente prevista – agito al
fine di arrecare pregiudizio ai creditori, nella consapevolezza del futuro

considerato l’avvio della procedura concorsuale come condizione obiettiva
di punibilità, a fronte della giurisprudenza di legittimità che intende invece
la sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato
di bancarotta.
5) Inosservanza di norme processuali, anche in relazione all’art. 111 Cost.,
per non avere la Corte territoriale risposto a specifiche doglianze mosse
con l’atto di appello.
La censura di omessa od illogica motivazione, con riguardo alla sentenza
impugnata, si riferisce ai già evidenziati aspetti della mancata
individuazione della fattispecie delittuosa in ipotesi realizzata dal
Gianfreda e della sua presunta responsabilità a titolo di concorso ex art.
110 cod. pen.; inoltre, i giudici di secondo grado non si sarebbero
comunque pronunciati sulla istanza di declaratoria di prescrizione,
avanzata dall’appellante (sia pure in subordine).
6) Violazione dell’art. 111 Cost., in ordine alla possibilità che su un atto di
indagine, così dovendosi intendere la relazione del curatore fallimentare
ex art. 33 legge fall. essendone prevista la trasmissione al P.M., possa

validamente fondarsi la decisione assunta all’esito di un giudizio penale:
secondo la difesa, «l’ingresso nel processo, senza alcun contraddittorio, di
un atto complesso, contenente aspetti ricognitivi, valutativi e addirittura
anticipazioni in merito alle responsabilità del fallito, non si concilia con i
principi costituzionali

ex

art. 111, e soprattutto con quello del

contraddittorio nella formazione della prova, che è cardine portante
dell’intero processo penale».

CONSIDERATO IN DIRITTO

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fallimento: a riguardo, la Corte di appello avrebbe erroneamente

1. Il ricorso è solo in parte fondato, in punto di effettiva qualificazione (di
una parte) degli addebiti e di conseguente necessità di prendere atto
dell’intervenuta prescrizione del reato di bancarotta preferenziale.

2. Con riguardo al primo motivo, deve prendersi atto che in effetti dalla
lettura delle due pronunce di merito può emergere qualche profilo di equivocità
nella individuazione esatta dei delitti per cui deve intendersi intervenuta la
declaratoria di penale responsabilità: tuttavia, dalla stessa struttura della

criminose contestate al Gianfreda è da ritenere espressa nei termini di:
– bancarotta per distrazione, quanto alle somme che avrebbero dovuto rinvenirsi
nella disponibilità della società fallita quali saldi attivi di cassa e di conto
corrente;
– bancarotta preferenziale, con riguardo ai pagamenti intervenuti in favore di
Crocefisso Lamarina e della Alimar S.r.l., creditori in ipotesi favoriti rispetto ad
altri perché parzialmente soddisfatti attraverso la consegna di merci della S.G.F.
S.r.l. giacenti in magazzino;
– bancarotta documentale, in ordine alla tenuta delle scritture contabili in
maniera da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento
degli affari.
In vero, pure dinanzi ad alcune incertezze nella esposizione degli elementi a
carico del Gianfreda, la stessa analisi dei presupposti del delitto di cui all’art.
216, comma terzo, legge fall. (tema sul quale la sentenza della Corte territoriale
si dilunga, giungendo a riscontrare detti requisiti anche nel caso di specie)
convince dell’univocità della lettura appena segnalata: del resto, si tratta della
ricostruzione più favorevole all’imputato, ed anche qualora dovessero residuare
margini di dubbio sarebbe necessario privilegiarla. Va altresì rilevato che la
rubrica, anche per come richiamata nell’epigrafe della pronuncia della Corte di
appello, contiene un riferimento alla previsione di cui all’art. 219 comma 3 del
r.d. n. 267 del 1942 che appare un verosimile frutto di refuso (dovendosi invece
leggere proprio come contestazione del reato ex art. 216 comma 3): il secondo
capoverso dell’art. 219 legge fall. contempla infatti una circostanza attenuante,
che non solo sarebbe irrituale menzionare in un capo d’imputazione, ma che – in
concreto – non risulta essere stata presa in considerazione nel computo del
trattamento sanzionatorio, ove si dà atto della prevalenza – sulle circostanze di
segno contrario – delle sole attenuanti generiche.
Tanto precisato, vi è senz’altro la possibilità di un concorso tra i vari reati
ravvisati in concreto dalla Corte territoriale, ben potendo distinte condotte
realizzare ipotesi di distrazione di beni dal patrimonio della società fallita e di

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sentenza di appello oggetto dell’odierno ricorso la qualificazione delle condotte

pagamento totale o parziale di taluni creditori in danno della generalità degli
altri; ancor più evidente – e di gran lunga più frequente nella casistica giudiziaria
– è la possibile compresenza di fattispecie di bancarotta per distrazione e/o
preferenziale da un lato, e di bancarotta documentale dall’altro.
Non vi è, nello specifico, alcuna contraddittorietà nel ritenere che gli
elementi per addivenire alla descrizione in fatto della condotta distrattiva
sarebbero stati desunti dalle risultanze contabili, ed al contempo rilevare che da
quelle scritture non sarebbe stato possibile discernere il movimento degli affari

certamente nell’attestazione di quale sia una giacenza di cassa o su un conto
corrente bancario, ed un conto è che il curatore fallimentare fu posto in
condizione di avvedersi che alcune disponibilità in denaro avrebbero dovuto
esserci (e non c’erano), ben altra cosa è che gli si permise o meno di ricostruire
la consistenza patrimoniale della persona giuridica. D’altro canto, appare
emblematico già evidenziare che secondo la rubrica, a fronte di quei dati finali
sulle disponibilità liquide della S.G.F., risultavano fra l’altro mancanti decine e
decine di pagine dal libro giornale, dal registro degli acquisti e da quello delle
fatture emesse (quest’ultimo “decurtato delle pp. dalla n. 1 alla n. 4”).

3. Con il secondo motivo di ricorso la difesa deduce, sotto il profilo della
presunta omessa assunzione di prova decisiva, vizi che in realtà sembrano
riferirsi alla valutazione riservata dai giudici di merito circa le risultanze di detta
prova (la richiamata relazione di un consulente tecnico): in ogni caso, pur
volendo ammettere la fondatezza in fatto dell’assunto difensivo, secondo cui le
scritture contabili sarebbero state oggetto di manipolazioni dolose in epoca
diversa rispetto a quella in cui il Gianfreda aveva rivestito la qualità di legale
rappresentante, mentre durante il periodo della sua amministrazione formale
avrebbero dovuto riscontrarsi mere irregolarità, la responsabilità dell’imputato
per bancarotta documentale non potrebbe venire meno.

E’ infatti principio

pacificamente affermato nella giurisprudenza di legittimità che l’amministratore
di diritto, quand’anche debba intendersi una semplice “testa di legno” e pure nei
casi di tenuta delle scritture affidata a professionisti esterni, è gravato da un
obbligo personale e diretto di tenere e conservare le scritture medesime, e non si
vede come – dinanzi alle vistose mancanze materiali di pagine e pagine dei libri
sopra ricordati – un legale rappresentante in ipotesi succeduto ad altri possa
intendersi animato da un atteggiamento di mera colpa.

4. Manifestamente infondato è il motivo di ricorso afferente l’ulteriore
censura per mancata assunzione di prova decisiva (qui correttamente formulata,

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dell’impresa: l’attendibilità complessiva dei libri contabili non si esaurisce

in astratto) in ordine alla possibilità di acquisire elementi di accusa a carico di
soggetti diversi dal Gianfreda, con particolare riferimento alla posizione dei
presunti amministratori di fatto Fanciullo e Sancesario, ed alle dichiarazioni che
costoro avrebbero potuto rendere sul punto. Va considerato, a riguardo, che
appare ineccepibile l’esortazione dei giudici di merito a non formulare al
Sancesario domande suscettibili di portare il dichiarante a fornire indicazioni
contra se, senza che ciò comporti alcuna disparità di trattamento.
L’ipotetico concorso di altri soggetti non avrebbe comunque escluso la

non viene in alcun modo allegato un disegno distrattivo peculiare, perseguito da
terzi e di cui il legale rappresentante potesse dirsi all’oscuro: le somme non
rinvenute dagli organi della procedura risultano quelle che avrebbero dovuto
trovarsi nella più diretta e immediata disponibilità (e possibilità di controllo) da
parte del Gianfreda.

5. La previsione di cui all’art. 56 legge fall. non può di certo escludere, ipso
facto, che il pagamento di un creditore in misura parziale costituisca condotta
rilevante ex art. 216, comma terzo, della stessa legge: va anzi considerato che
la norma appena ricordata descrive il diritto del creditore di compensare
eventuali debiti maturati nei confronti del soggetto fallito con i crediti vantati
(ancorché non scaduti), e non ha nulla a che vedere con la possibilità che il
debitore scelga quali pagamenti onorare rispetto agli altri. In punto di dolo, al
momento della consegna delle merci al Lamarina od alla Alimar l’imputato
sapeva trattarsi di creditori della S.G.F., e che altri creditori – in quel momento erano parimenti in attesa di veder soddisfatte le proprie pretese: tanto è
sufficiente per concretizzare l’elemento soggettivo della bancarotta
(preferenziale), non essendo necessario che egli avesse altresì consapevolezza di
un immanente stato di insolvenza dell’impresa o che se ne prefigurasse il
fallimento. Infatti, come si legge in una pronuncia di legittimità che
correttamente la sentenza impugnata richiama, «l’elemento soggettivo del
delitto di bancarotta preferenziale (art. 216, comma terzo, legge fall.) è
costituito dal dolo specifico che è ravvisabile ogni qualvolta l’atteggiamento
psicologico del soggetto agente sia rivolto a favorire un creditore, riflettendosi
contemporaneamente, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel
pregiudizio per altri. Ne consegue che i pagamenti effettuati in situazione di
insolvenza, anche attraverso datio in solutum e più specificamente a mezzo di
compensazioni, sono consentiti in linea generale dagli art. 1186 cod. civ. e
dall’art. 56 legge fall., ma assumono rilievo penalistico se qualificati al fine di

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responsabilità dell’amministratore di diritto, considerando che nel caso di specie

favorire, a danno dei creditori, taluni di essi» (Cass., Sez. V, n. 31894 del
26/06/2009, Petrone, Rv 244498).
La previsione dell’avvio della procedura concorsuale rimane pertanto
estranea alla rappresentazione del fatto sottesa al dolo richiesto per il delitto in
esame, ed è appena il caso di rilevare che la Corte territoriale non evoca affatto
– come invece si lamenta nei motivi di ricorso – lo schema della condizione
obiettiva di punibilità per collocare la sentenza dichiarativa di fallimento nella

6. Come detto, a proposito del quinto motivo assume rilievo la mancata
disamina dell’istanza di declaratoria di prescrizione (non invece la censura mossa
dalla difesa alla affermata responsabilità del prevenuto, in via residuale, a titolo
di concorso, su cui valgono le osservazioni esposte al punto 4): il delitto di
bancarotta preferenziale deve infatti intendersi estinto nel termine massimo di 7
anni e 6 mesi, ergo – non risultando cause di sospensione – già il 26/09/2009,
abbondantemente prima del giudizio di secondo grado.
Non ne derivano peraltro conseguenze in punto di trattamento sanzionatorio,
atteso che il reato di cui all’art. 216, comma terzo, legge fall. risulta avere inciso
soltanto sulla ravvisabilità della aggravante – pur non tecnicamente tale,
secondo le indicazioni offerte dalle Sezioni Unite di questa Corte n. 21039 del
27/01/2011, ric. P.M. in proc. Loy – prevista dal successivo art. 219, comma
secondo, n. 1: stante il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, il
computo della pena appare già effettuato sui minimi edittali (pena base, anni 3
di reclusione, con riduzione ad anni 2 ex art. 62-bis cod. pen.), senza possibilità
di rivisitazioni in me/ius.

Si impone pertanto l’annullamento senza rinvio della

sentenza impugnata nei limiti anzidetti, senza che si ponga un conseguente
problema di rideterminazione della pena inflitta.

7. In ordine infine alla doglianza della difesa sul regime formale riconosciuto
alla relazione del curatore fallimentare, è giurisprudenza consolidata quella
secondo cui «in tema di prova documentale (art. 234 cod. proc. pen.), le
relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come
prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di una
organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti
documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti
nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società.
Ne consegue che è corretto l’inserimento della relazione diretta al giudice
delegato nel fascicolo processuale, in quanto il principio di separazione delle fasi
non si applica agli accertamenti aventi funzione probatoria, preesistenti rispetto

AA110314119

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struttura della norma incriminatrice.

all’inizio del procedimento o che appartengano comunque al contesto del fatto da
accertare» (Cass., Sez. V, n. 39001 del 09/06/2004, Canavini, Rv 229330; v.
anche, sulla prova documentale in genere, Cass., Sez. V, n. 6887 del
13/04/1999, Gianferrari, Rv 213606, dove si afferma che ai fini dell’ammissione
della stessa «sono necessarie due condizioni: a) che il documento risulti
materialmente formato fuori, ma non necessariamente prima, del procedimento;
b) che lo stesso oggetto della documentazione extra-processuale appartenga al
contesto del fatto oggetto di conoscenza giudiziale e non al contesto del

Va peraltro evidenziato che, se è vero che della relazione

ex

art. 33 legge

fall. è prevista la trasmissione in copia al Procuratore della Repubblica, ciò non
equivale a riconoscere alla stessa natura di comunicazione di

notitia criminis,

atteso che il r.d. n. 267 del 1942 assegna all’ufficio del P.M. competenze che
prescindono dalla prospettiva dell’iscrizione di un procedimento penale.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla statuizione che
ha affermato la responsabilità del Gianfreda per bancarotta preferenziale, per
essere tale reato estinto per prescrizione.
Rigetta nel resto.

Così deciso 1’11/04/2013.

procedimento»).

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