Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7577 del 14/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7577 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
PRESSO TRIBUNALE DI NAPOLI
nei confronti di:
1) OREFICE GIUSEPPE N. IL 19/03/1977 * C/ ‘Ai 9 ”
2) SPALLIERI GIUSEPPINA N. IL 18/03/1979 * C/ Vai”-

cerlAAAS

avverso l’ordinanza n. 3426/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
14/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA
J„._A_CALORCIA;
~sentite le conclusioni del PG Dott. C-c – \.f0 i ‘ 6 C-1–Q)-C-A41.0 g-0) 011.31.A1-0-1-“Ldr r
,

ci

Uditi difenprAVv.;

Data Udienza: 14/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Napoli con ordinanza in data 14-5-2012 annullava quella del
10-4-2012 con cui il Gip del tribunale della stessa città aveva disposto la custodia
cautelare in carcere nei confronti di Giuseppe OREFICE e Giuseppina SPALLIERI,
indagati per il reato continuato di detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti,
aggravato dalla finalità di favorire l’associazione camorrista clan Belforte.

di correo formulata dal collaboratore di giustizia Pasquale Aveta, storico affiliato al clan
Belforte -che aveva dichiarato di aver autorizzato, durante un periodo di detenzione,
l’Orefice a spacciare hashish in zona già di sua competenza-, non risultava assistita da
riscontri. Infatti le conversazioni intercettate, tra le quali una in cui l’indagato, parlando
con tale ‘cinese’, faceva riferimento ad una festa di compleanno, nonché gli esiti dei
controlli effettuati, davano conto di approvvigionamento di droga per uso personale e
dell’esistenza di un giro di soggetti dediti all’uso di stupefacenti, piuttosto che di un
traffico facente capo all’indagato. In tal modo doveva interpretarsi, secondo l’ordinanza
impugnata, l’esito del controllo effettuato nella tarda serata dell’8-10-2011 a carico
dell’Orefice che, fermato dopo l’incontro con tale Gualtieri, era stato trovato in possesso
di un piccolo quantitativo di hashish e di un imprecisato quantitativo di cocaina, sintomo
di un acquisto piuttosto che di una cessione. Allo stesso modo i contatti concitati con la
moglie Giuseppina Spallieri, mediante telefono cellulare, mentre l’indagato si trovava in
questura, con i quali la invitava a nascondere il contenuto di un bicchiere in un pacco di
pasta, erano interpretati come un tentativo per non far trovare alle forze dell’ordine,
che di lì a poco avrebbero effettuato una perquisizione domiciliare -rimasta infruttuosa
in quanto la Spallieri aveva provveduto alla distruzione invece che all’occultamento-,
qualcosa, forse stupefacente, di quantitativo peraltro indeterminato, tale da poter
essere compatibile con l’uso personale.
3. Ha proposto ricorso il PM deducendo mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione in punto di mancanza dei gravi indizi di colpevolezza.
4. A sostegno richiamava in primo luogo una conversazione intercettata tra l’Orefice e la
moglie del collaboratore Aveta, Francesca Giordano, n. 291 del 24-8-2011, da cui
risultava la preoccupazione dell’indagato di essere denunciato da tale Flavia, con cui
aveva una relazione sentimentale, per averla trascurata dopo che si erano drogati
insieme e dopo che in precedenza le aveva dato ‘150 euro più la droga prima di partire’.
La predetta aveva in effetti parlato dell’Orefice al sovrintendente capo della polizia di
stato Tranfa accennando al fatto di aver intrapreso una relazione con costui, che però
voleva allontanare avendo appreso che era sposato.
5. In secondo luogo il PM richiamava la vicenda dell’8-10-2011 in cui, dopo un
appuntamento preso telefonicamente con Giovanni Gualtieri, l’indagato si era incontrato
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2. Il tribunale riteneva non raggiunta la soglia della gravità indiziaria in quanto la chiamata

con lui e, al successivo controllo, era risultato in possesso dei due quantitativi di droga.
Il PM valorizzava in particolare gli ulteriori sviluppi della situazione allorché, dalla
questura, l’indagato aveva contattato di nascosto la moglie affinchè facesse sparire lo
stupefacente detenuto in casa in un bicchiere, vicenda poi oggetto di altre telefonate in
cui il predetto si autodefiniva molto fortunato. Ulteriore telefonata evidenziata dal PM
quella al ‘cinese’, identificato in Antonio Coppola, cui Orefice chiedeva qualcosa -un
caffè- in quanto la sera avrebbe avuto una festa di compleanno, ritenuta dal ricorrente

CONSIDERATO IN DIRMO

1. Il ricorso è fondato.
2. Il tribunale è pervenuto alla conclusione che gli elementi, indicati a conferma della
chiamata in correità proveniente da Pasquale Aveta, fossero privi di capacità di
riscontro della stessa, attraverso l’esame atomistico dei primi, isolati l’uno dall’altro e
singolarmente valutati come indizi piuttosto che come elementi di riscontro, sì da
raggiungere il risultato, perdendone il collegamento con la chiamata, che essi non erano
sufficienti a dimostrare l’assunto accusatorio.
3. Tale modus procedendi trascura però di considerare che ai c.d. riscontri individualizzanti
non si richiede lo spessore di indizi, trattandosi di elementi o dati probatori, a
morfologia non predeterminata, di natura sia rappresentativa che logica, che devono
investire tanto il fatto reato quanto la riferibilità dello stesso all’accusato, essendo
peraltro sufficiente che riguardino la sfera personale di quest’ultimo e che siano
riconducibili al fatto da provare perché direttamente lo rappresentano, ma anche
soltanto perché ne forniscono conferma, in via indiretta, attraverso un procedimento
logico-deduttivo (Cass. 1263/2006; 36451/2004). Secondo l’orientamento di questa
corte a sezioni unite, poi, essi devono essere tali da assumere idoneità dimostrativa in
ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, restando tuttavia
ferma la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio
prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato,
rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in
ordine alla colpevolezza dell’imputato (Cass. Sez. U, 36267/2006).
4. Alla stregua di tali principi, l’iter argomentativo dell’ordinanza risulta affetto, come
rilevato dal ricorrente, da manifesta illogicità. Infatti la telefonata del 14-10-2010 con il
‘cinese’ in cui Orefice affermava di aver bisogno di ‘un caffè’ perché la sera aveva una
festa di compleanno e ancor più il concitato ordine di occultamento impartito alla moglie
Spallieri via sms, mentre si trovava in questura perché trovato in possesso di due
quantitativi di due diverse sostanze stupefacenti, sono stati a senso unico interpretati,
isolandoli dal contesto e valutandoli come se dovessero da soli confermare l’ipotesi

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una richiesta di droga da spacciare in occasione di tale evento.

accusatoria -mentre sarebbe stato necessario saggiarne la portata di riscontro, insieme
con gli altri elementi, alla chiamata di correo-, la prima quale sintomo ‘evidente’ di
richiesta di droga per consumo proprio, il secondo come inidoneo a dimostrare l’assunto
accusatorio in quanto il quantitativo ‘eventualmente’ detenuto ‘ben avrebbe potuto
essere compatibile con l’assunzione personale’. Per contro è manifestamente illogica la
considerazione che non poteva escludersi che l’ordine impartito alla moglie riguardasse
una quantità di stupefacente limitata -quindi di possibile uso personale-, posto che,
non solo ‘eventualmente’, detenuta nell’abitazione dei due coniugi, per di più in un
contenitore compatibile anche con un quantitativo non esiguo) e che dovesse essere,
anziché buttata, occultata in un pacco di pasta (la Spallieri l’avrebbe poi distrutta di sua
iniziativa, contravvenendo alle istruzioni, il che la indica come consapevole partecipe
alla condotta del marito), rende più plausibile la tesi che il quantitativo avesse un valore
economico (visto che, nell’ottica di Orefice, bisognava salvaguardarlo), con conseguente
idoneità alla conferma della tesi del fine di spaccio e quindi possibile valenza di riscontro
alla chiamata.
5. D’altro canto il PM ricorrente non ha neppure mancato di evidenziare, fornendone
completa citazione testuale, anche ulteriori conversazioni intercettate, non considerate
nel provvedimento impugnato, quale quella il cui Orefice, tra l’altro parlando con la
moglie di Aveta (il chiamante in correità che lo ha indicato come il soggetto da lui
autorizzato a spacciare, durante la sua detenzione, in zona di propria competenza, del
quale risultano quindi confermati gli stretti rapporti con l’indagato, trascurati nel
provvedimento in esame), si preoccupava che la sua amante Flavia (alla quale
significativamente confessava di aver dato ‘150 euro più la droga prima di partire’)
potesse denunciarlo; o quelle in cui, parlando con amici e conoscenti dopo il controllo
dell’8-10-2011, si qualificava come ‘troppo fortunato, troppo troppo’. Dati, questi, la
cui elevata compatibilità con la prospettazione accusatoria della finalità di spaccio (dal
momento che la notoria non punibilità dell’uso personale non avrebbe giustificato, da un
lato, la preoccupazione di una denuncia, dall’altro la soddisfazione per averla scampata
bella) -e la conseguente possibile idoneità a costituire riscontro alla chiamata-, non
sono state valutate nell’ordinanza.
6. Il provvedimento merita quindi annullamento con rinvio al giudice a quo per nuovo
esame.
P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale della Libertà di Napoli per nuovo esame.
Così deciso in Roma il 14-11-2012

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invece, il fatto che la sostanza fosse contenuta in un bicchiere (dunque certamente, e

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