Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7571 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7571 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCUSO PANTALEONE N. IL 27/08/1961
avverso l’ordinanza n. 442/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 09/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENZO IANNELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/12/2013

-1- Mancuso Pantaleone, cl. 1961, ristretto in custodia cautelare in carcere in forza dell’ ordinanza
emessa il 25.3.2013 dal gip del tribunale di Catanzaro per i delitti di associazione a delinquere di
stampo mafioso e di tentativo di estorsione ex artt. 81 cpv.,416 bis commi da 1 al 6, c.p. 12
quinquies D.L. n. 306/1991 e 7 1. n. 203/1991 — capi 1, 28 e 29 dell’ imputazione- ricorre per
cassazione avverso l’ ordinanza del predetto tribunale che, in sede di riesame ed in data
9.5/20.6.2013, confermava il pregresso provvedimento restrittivo.
-2- In breve la ricostruzione operata dai giudici di merito: la posizione dell’ imputato viene
collocata nel contesto operativo del clan Mancuso di Limbadi nella provincia di Vibo Valentia, di
cui viene ricostruita la storia e gli organigrammi, segnalando l’esistenza di due fazioni in contrasto
tra loro, al vertice di una delle quali si collocavano Mancuso Luigi cl. 1954 e Mancuso Cosmo cl.
1940, due dei figli del capostipite Mancuso Giuseppe, classe 1909, a fianco dei quali si sarebbe
schierato l’ odierno imputato per l’appunto, Mancuso Pantaleone cl. 1961 detto “Scarpuni. Sulla
esistenza della cosca Mancuso, sulle varie fazioni, anche in lotta tra loro, i giudici di merito
richiamano, oltre che la sentenza nel procedimento cd. Dynasty passata in giudicato, una serie
imponente di circostanze costitutive di conversazioni intercettate, di sequestri di armi e munizioni..
Da un tale coacervo di fatti si trae la esistenza di una consorteria di ndrangheta impegnata, con varie
articolazioni, a realizzare un programma criminoso finalizzato a delitti di usura, di estorsione nei
confronti dei commercianti e degli imprenditori del vibonese.
La collocazione dell’ indagato, sorvegliato speciale, quale promotore ed organizzatore del gruppo,
con compiti decisionali,di pianificazione e di individuazione delle azioni omicidiarie da compiere
nell’ interesse dell’ organizzazione, veniva desunta in forza di una serie di elementi indizianti
costituiti da dichiarazioni, ritenute affidabili perché autonome, puntuali, coerenti e circostanziate,
di collaboratori di giustizia, Bono Daniele e Patania Loredana, che descrivono i forti legami del
Mancuso con la famiglia Patania e del suo sostegno con la fornitura di armi- la carabina 30/06
Winchester per il primo omicidio tentato di tale Giuseppe Scrugli- e di soldi , nello scontro con il
gruppo contrapposto, caratterizzato dall omicidio, poi consumato, del predetto Scrugli, nonchè di
Battaglia e Moscato, i quali si opponevano al predominio dei Mancuso sul territorio vibonese,
rifiutandone apertamente la supremazia, occupandosi autonomamente delle estorsioni nella città di
Vibo Valentia. Valorizzavano ancora i giudici di merito una conversazione registrata intervenuta
tra lo stesso imputato e l’avvocato Galati Antonio Carmelo, difensore dei più importanti esponenti
della cosca, nella quale quest’ ultimo riportava al suo interlocutore i consigli che aveva avuto modo
di dare proprio all’ imputato sulla necessità di evitare il ricorso ad omicidi e ad altri crimini violenti
che attiravano l’attenzione sull ‘imputato e sugli associati delle forze di polizia. Ed ancora
rimarcavano l’ importanza di altre conversazioni intercettate in cui gli interlocutori, facendo
riferimento a reati commessi ai loro danni o a familiari, ovvero a controversie civili con altri,
divisavano di rivolgersi all’ imputato, o a persone a lui vicine per conoscerne i responsabili ovvero
per comporre e risolvere le liti.
Con riferimento, poi, ai delitti di interposizione fittizia di persone nella proprietà e nella
disponibilità dei beni i giudici di merito riportavano poi i passi più significativi delle conversazioni
intercettate tra l’imputato, altro coindagato Callà Nunzio Manuel ed altri ancora da cui traevano la
convinzione della gestione diretta da parte del primo di due ditte individuali, la ditta Buccafusca
Santa e la pescheria della famiglia omonima, quindi ricollegavano la effettività proprietà degli
esercizi al Mancuso, e 1′ intestazione fittizia alla finalità di eludere le disposizioni di legge in
materia di prevenzione patrimoniale.
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Letti gli atti, la ordinanza impugnata, il ricorso;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Fulvio Baldi, per l’ inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore, avv. Sergio Rotundo, quale sostituto processuale dell’avv. Francesco Calabrese,
che ne chiede l’ accoglimento.

-4- Il ricorso non può accogliersi perché manifestamente infondato.
Non è fondato ed al limite inammissibile nella parte in cui svolge il tentativo di depotenziare di
valore le circostanza valorizzate dai giudici di merito per trarre la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza in ordine alla partecipazione qualificata alla associazione di `ndrangheta. Invero i
giudici di merito hanno tratto il convincimento, sul piano dei valori della probabilità propri della
fase procedimentale de qua, del pieno inserimento dell’ imputato nell’ organizzazione di
`ndrangheta operante nella provincia di Vibo Valentia, in base al contenuto non equivoco delle
menzionate conversazioni inter alios. Da queste emergeva, secondo il loro giudizio, il ruolo dell’
imputato a difesa degli interessi facenti capo alla cosca impegnata a ripartirsi 1′ influenza illecita
sulle attività economiche del territorio vibonese. In proposito è pur vero che non è possibile non
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-3- Con il richiamo all’art. 606 lett.b), c) ed e) c.p.p.il ricorrente muove tre ragioni di doglianza al
provvedimento impugnato, deducendo manifesta illogicità della motivazione: a) in punto di
valutazione della gravità degli indizi e di partecipazione, con ruolo dirigenziale, al sodalizio
criminoso denominato ” cosca Mancuso”, b) sul versante dell’ intestazione fittizia di beni al fine di
eludere gli accertamenti finalizzati all’avvio di un procedimento, di prevenzione e quindi al
sequestro di beni; c) infine in punto di condotte finalizzate ad agevolare il riciclaggio di denaro
proveniente dalla partecipazione alla associazione di cui si intendeva agevolare l’espansione nel
territorio e nei circuiti economici leciti.
In particolare dall’analisi del contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Bono
Daniele e Patania Loredana, si trarrebbe solo un interesse dell’ imputato a seguire da spettatore le
vicende relative alla faida in corso che vedeva protagonista la famiglia Patania impegnata ad
eliminare persone operative nello stesso territorio di influenza dell’ imputato. Il che si tradurrebbe
sul piano indiziario, al più, nella possibilità di desumere una generica partecipazione al sodalizio
criminoso, non certo un compendio indiziario grave tale da giustificare la misura restrittiva. Una
partecipazione organica, poi, non potrebbe trarsi, come in effetti lo è stata, rilevando che 1′ auto
appartenente ai Patania era stata riscontrata parcheggiata nelle vicinanze della abitazione dell’
imputato, in mancanza di qualsiasi elemento di prova dei contatti tra le persone. Ed ancora la
conversazione intercettata tra il 20 e il 21 Agosto che vede impegnato l’ avv. Galati non potrebbe
essere richiamata a titolo di indizio grave, perché da essa si potrebbe trarre solo la considerazione
che il professionista attribuiva un ruolo di rilievo al prevenuto nel comprensorio territoriale, ma
non certo la sua organica partecipazione ad un sodalizio mafioso strutturato ed operativo. Il che
sarebbe avvalorato dal fatto che le vicende omicidiarie a cui aveva riferimento il Galati non si
sarebbero collocate in un contesto mafioso e comunque ad esse sarebbe stato estraneo il Mancuso.
Parimenti dalla conversazione intercettata tra Lojacono Francesco ed il cognato Perfidio David non
sarebbe possibile trarre, con linearità e chiarezza, concretezza ed effettività la partecipazione dell’
imputato ad un consorzio di `ndrangheta: invero da quelle conversazioni si trarrebbe solo il fatto
che Mancuso era ritenuto in grado dai predetti Lojacono e Perfidio di poter conoscere i responsabili
dei danneggiamenti subiti dai due interlocutori o dai loro familiari ma non necessariamente in
forza dei suoi ritenuti presunti collegamenti con associati .
Per altro verso, con riferimento ai reati di intestazione fittizia di beni, la difesa tecnica dell’
imputato sostiene che gli elementi indiziari, se sono sufficienti ad indicare la solo formale
intestazione a terze persone delle due aziende menzionate, le imprese individuali di Buccafusca
Santa e di Buccafusca Francesco Federico, non lo sono ove da essi si pretendesse di logicamente
dedurre la specifica finalità richiesta per l’ integrazione del reato ex art. 12 quinquies cit: il fine
specifico, precipuo ed esclusivo, di eludere un eventuale provvedimento ablativo in seguito
all’avvio di un procedimento di prevenzione.
Da ultimo la critica di omessa motivazione viene indirizzata per dimostrare l’ insussistenza della
finalità costituita della aggravante contestata di cui all’art. 7 1. n. 203 del 1991: la correlazione cioè
tra la condotta gestionale di fatto delle imprese intestate, in tesi, a terze persone e la cosciente ed
univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale.

-5- E nemmeno colgono nel segno le doglianze che denunciano l’ omessa motivazione in ordine
alla sussistenza del dolo specifico dei reati di intestazione fittizia di valori ai sensi dell’at. 12
quinquies cit., nonché in ordine alla aggravante ex art. 7 1 n. 203/1991.
Invero il delitto di trasferimento fraudolento di valori previsto dalla prima disposizione integra sì
un’ipotesi di reato a forma libera, il cui tratto fondamentale è la consapevole determinazione di una
situazione di difformità tra titolarità formale, meramente apparente, e titolarità di fatto di un
determinato compendio patrimoniale, ma qualificata dalla specifica finalizzazione. Il dolo specifico
si traduce nella finalità di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale,
per la cui prova in giudizio non è sufficiente dar conto della fittizia attribuzione della titolarità o
disponibilità di denaro, beni o altre utilità, ma occorre dar conto, per evitare che la prova relativa sia
affidata a mere congetture o collegata alla mera condotta materiale del reato che è la fittizia
intestazione, della sussistenza di elementi di fatto che evidenzino in concreto l’oggettiva capacità
elusiva dell’operazione patrimoniale. Parimenti chiare le caratteristiche della condotta e delle
finalità richieste dall’art. 7cit : avvalersi da un lato delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.
conciate alla condotta costitutiva di reato di intestazione fittizia di valore ovvero, al di là delle
modalità della condotta come indicata dall’art. 416 bis, perseguire il fine di agevolare l’ attività
delle associazione, nel caso di specie, di `ndrangheta.
Vi è da precisare, in proposito, che nella particolare fase investigativa, laddove l’obiettivo di verità
perseguito non è certo quello della verità processuale, racchiuso nella statuizione definitiva che non
consente correzioni se non via straordinaria, il thelos dei provvedimenti incidentali si rivolge verso
obiettivi di verità approssimativa supportati da presunzioni serie ed affidabili, fondate su oggettive
circostanze indizianti. E presunzioni serie ed affidabili, perché fondate su circostanze oggettive,
devono considerarsi massime di esperienza alla cui stregua colui che partecipa ad una associazione
di ‘ndrangheta, in una posizione peraltro di direzione ed organizzazione, ove intesti beni ed attività
fittiziamente ad altre persone, rimanendone effettivo gestore e dominus, persegue finalità intranee e
coordinate alla sua attività di “ndranghetista. Peraltro deve rilevarsi che dal contesto fattuale non
emerge alcuna circostanza o fatto che valga a giustificare la falsità delle intestazioni formali. Nel
caso di specie poi vi è di più: i giudici della cautela hanno segnalato che il 9.12.201 all’ interno di
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condividere la regola richiamata dalla difesa tecnica del ricorrente, nel senso che plurime,
attendibili e convergenti dichiarazioni di collaboranti di giustizia che si limitino ad affermare la
generica appartenenza di un soggetto ad un’associazione di stampo mafioso non sono idonee a
configurare i gravi indizi di colpevolezza necessari per l’emissione di una misura cautelare, ed
invece lo sono solo quando almeno una di esse indichi specifici atti o comportamenti che, se pure
non necessariamente forniti di autonoma rilevanza penale, comunque siano indicativi del
consapevole apporto dell’accusato al perseguimento degli interessi della consorteria. Ma nel caso le
ragioni di doglianza omettono di rappresentare che dalle conversazioni captate emergono concreti
atti non equivoci posti in essere dall’ imputato, quali la fornitura di armi e l’aiuto economico dato
dall’ imputato nella lotta tra gruppi contrapposti al fine proprio di costituire una situazione di
monopolio delle attività criminose nella zona di influenza. Omettono, ancora, i motivi di ricorso di
rilevare la concreta implementazione del coacervo indiziario in forza delle ammissioni intercettate
dell’avv. Galati, difensore nei procedimenti contro appartenenti alla cosca in posizione verticistica,
quale Mancuso Luigi: il difensore, rilevano i giudici della cautela, contatta proprio il Mancuso
Pantaleone per avvertirlo della pericolosità di continuare a compiere azioni illecite che si rivolgono
in danno della cosca per l’attenzione sollevata presso gli organi inquirenti. Peraltro vi è osservare
che le conversazioni intercettate, ad eccezione dei quelle dell’avv. Galati, provengono da persone quali Patania Loredana, Bono Daniele ed altri- intranee alla cosca, che riferiscono di notizie che
solo impropriamente si possono qualificare de relato perché assunte nell’ambito associativo tanto
da costituire un patrimonio comune in ordine ad associati, ad attività proprie della consorteria di
`ndrangheta ed al ruolo dell’ imputato, chiamato ad intervenire per risolvere, proprio in forza della
sua autorevolezza nel contesto, questioni di interesse civilistico tra le persone.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende. Si
provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp.att. c.p.p.
Così deciso in Roma il 20.12.2013

un magazzino dell’ impresa individuale di Buccafusca Francesco Federico, una delle attività gestite
dal prevenuto, e di un monolocale attiguo erano stati sequestrati, tra l’altro, circa 4.000 proiettili per
pistola di ben sette calibri diversi, il che serve a confermare, sempre nella prospettiva di una verità
tendenziale, il ruolo strumentale delle imprese individuali nel contesto della associazione
criminosa: il ruolo finalizzato ad eludere le disposizioni di legge in materia di misure di
prevenzione patrimoniale e ad agevolare l’attività della associazione di `ndrangheta.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato
che lo ha proposto, deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché,
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a
favore della cassa delle ammende della somma di mille euro così equitativamente fissata in ragione
dei motivi dedotti.

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