Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 756 del 14/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 756 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CAVALLO ALDO

Data Udienza: 14/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZANDOMENEGHI ANGIOLINO N. IL 16/09/1958
avverso l’ordinanza n. 3462/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di
VENEZIA, del 19/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/sentitc le conclusioni del PG Dott. 921-1„Atz. d-G.34.tx>rec2_
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Uditi difensor Avv.;

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Ritenuto in fatto

1.

Con ordinanza deliberata il 6 giugno 2012 e non impugnata

dall’interessato, il Tribunale di sorveglianza di Venezia revocava la misura
alternativa della detenzione domiciliare concessa a Zandomeneghi Angiolino condannato in via definitiva per i reati di associazione per delinquere (finalizzata
a commettere truffe ai danni dello Stato e della CEE) e truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche commessa anche mediante costituzione

comportamento contrario alla legge ed alle prescrizioni dettate, risultando sporta
una querela nei suoi confronti, in data 11 maggio 2012, da parte di tale
Franceschi Vasto, per il delitto di minacce, come da comunicazione dei carabinieri
di Castelbaldo.

2. Con istanza del 10 dicembre 2012 lo Zandomeneghi, deducendo che il
Giudice di pace di Verona, con provvedimento dell’8 ottobre 2012 aveva accolto
la richiesta del PM di archiviazione della notizia di reato esistente nei suoi
confronti, proponeva istanza di revoca della revoca della misura alternativa, con
conseguente ripristino della stessa.

3. L’adito Tribunale di sorveglianza di Venezia, con provvedimento del 19
febbraio 2013, rigettava l’istanza dello Zandomeneghi, avendo ritenuto che
l’avvenuta archiviazione del procedimento originato dalla querela sporta nei
confronti del condannato, anche in considerazione delle ragioni addotte in quel
provvedimento (genericità delle minacce formulate telefonicamente; inidoneità
del male prospettato a menomare la sfera della libertà morale del soggetto
passivo), non ridimensionava la portata del fatto storico così come apprezzata
dal Tribunale in sede di revoca e la sua negativa incidenza relativamente alla
valutazione circa l’affidabilità del condannato e l’effettiva idoneità di un
trattamento alternativo al carcere, rimarcando, al riguardo, che lo stesso
condannato aveva riconosciuto, nel corso dell’udienza, il contenuto ingiurioso del
colloquio telefonico avuto con il Franceschi Vasto e comunque che il suddetto
colloquio afferiva a questioni relative all’amministrazione di imprese societarie,
profilo questo non secondario, tenuto conto che i fatti per cui lo Zandonneneghi è
ristretto attengono a condotte consumate attraverso l’impiego delittuoso di
strutture aziendali e di compagini societarie, e che in un’imprescindibile ottica
socialpreventiva si richiedeva al condannato, durante l’esecuzione della pena,
come suo minimo impegno individuale, il completo disinteresse verso
problematiche, di qualsiasi sorta, legate all’amministrazione di imprese
commerciali.
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ed utilizzazione di società di comodo – per avere il predetto tenuto un

4.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione

Zandomeneghi Angiolino, personalmente, che dopo avere illustrato le circostanze
fattuali che avevano portato alla revoca della misura alternativa concessagli, ne
chiede l’annullamento.
4.1 Nel ricorso lo Zandomeneghi, denunzia:
– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di
motivazione in relazione alla decisione di confermare la revoca della misura

basato la propria decisione sul contenuto asseritamente ingiurioso della
telefonata avuta dal condannato con il querelante Franceschi, non avendo
adeguatamente considerato che il provvedimento di archiviazione del
procedimento penale promosso a carico dello Zandomeneghi, aveva escluso che
il comportamento dello stesso integrasse l’illecito penale di cui all’art. 594 cod.
pen., così indiscutibilmente “ridimensionando” il fatto storico originariamente
posto a fondamento del provvedimento di revoca; (b) che incongruamente il
tribunale aveva ricollegato il proprio giudizio in merito al carattere ingiurioso
della telefonata a delle pretese ammissioni del ricorrente, in quanto lo
Zandomeneghi non aveva mai ammesso l’addebito contestato, avendo
riconosciuto, soltanto, di aver avuto un colloquio telefonico concitato con persona
legata da antica amicizia che aveva sfogato il proprio rancore con la querela; (c)
che il provvedimento impugnato integrava una violazione del principio di
colpevolezza di cui all’art. 27 comma 1, Cost., vigente anche in materia
penitenziaria, posto che la revoca dei benefici penitenziari deve essere sempre
ancorata ad una condotta addebitabile al condannato, insussistente nel caso di
specie;
– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di
motivazione, per avere il Tribunale illegittimamente confermato la revoca della
misura alternativa, trattandosi di un provvedimento – preclusivo ex art. 58 Ord.
Pen. assolutamente “spropozionato” rispetto alla modesta gravità dell’unica
violazione concretamente addebitabile al condannato (comunicazione telefonica
non autorizzata) così violando il principio di proporzionalità di cui all’art. 27
Cost., che anche in materia di revoca dei benefici penitenziari deve trovare
puntuale e corretta attuazione.

5. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria
scritta ed ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, per avere il Tribunale
congruamente valutato la condotta del condannato e ritenuto, in modo logico e
coerente, che la stessa fosse incompatibile con la prosecuzione della misura e
sintomatica di un effettivo fallimento del processo educativo.
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alternativa, deducendo sul punto: (a) che illegittimamente il tribunale aveva

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta dallo Zandomeneghi è basata su motivi infondati
e va quindi rigettata.
Anche volendo ritenere, infatti, che la mancata impugnazione da parte del
ricorrente dell’originario provvedimento di revoca della misura alternativa, non
esplichi alcuna efficacia preclusiva ad una rivalutazione della fattispecie in
considerazione di fatti nuovi sopravvenuti quali l’archiviazione del procedimento

di illegittimità è comunque ravvisabile nella decisione impugnata.
1.1 Privo di pregio deve ritenersi, in primo luogo, l’argomento difensivo
secondo cui il Tribunale ha deciso di confermare la revoca della detenzione
domiciliare in quanto ha ritenuto che lo Zandomeneghi, durante la esecuzione
della misura, avrebbe commesso un nuovo fatto illecito (il reato di ingiurie in
danno del Franceschi).
Tale assunto, invero, travisa l’effettivo contenuto dell’articolato percorso
motivazionale sviluppato dal giudice di merito, il quale – preso atto del
sopravvenuto provvedimento di archiviazione – ne ha in primo luogo
approfonditamente esaminato il contenuto, evidenziando come nello stesso, non
si escludeva, intanto, il fatto storico dell’intervenuto colloquio telefonico
intercorso tra lo Zandomeneghi ed un terzo, il Franceschi, ma si riconosceva,
piuttosto, che gli elementi raccolti a carico del ricorrente in relazione al reato di
minacce, non consentivano di sostenere con serie possibilità di successo l’accusa
in giudizio, “per la mancanza di terze persone estranee alla vicenda che
potessero riferire in merito ai fatti di cui alla querela, avvenuti telefonicamente”.
1.2 II provvedimento impugnato, in altri termini, più che valorizzare il
carattere asseritamente ingiurioso delle frasi pronunciate dallo Zandomeneghi in
occasione di tale colloquio – che lo stesso ricorrente, per altro, riconosce essere
stato “particolarmente concitato” (espressione, questa, la cui utilizzazione in
ricorso è indicativa di come sia infondata anche la censura di travisamento del
fatto, mossa dal ricorrente ai giudici di merito) – ha ricollegato la conferma della
revoca della misura, non già alla commissione di un fatto penalmente rilevante
(ingiuria) quanto, piuttosto, ad una grave violazione delle prescrizioni imposte al
condannato, e segnatamente di quella che inibiva allo Zandomeneghi di avere
comunicazioni telefoniche con terze persone.
1.3 Nè hanno pregio le ulteriori censure prospettate in ricorso relativamente
alla ritenuta inadeguatezza ed eccessiva severità della decisione di revoca della
misura rispetto alla gravità del comportamento addebitato al condannato.
Ed invero, il Tribunale, (ri)valutando autonomamente il comportamento del
condannato anche in base al contenuto della querela e prescindendo dall’esito
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per minacce promosso nei suoi confronti, sta di fatto che nessun effettivo profilo

del procedimento penale promosso nei confronti del predetto (in ciò
conformandosi ai principi da tempo affermati da questa Corte regolatrice – da
ultimo Sez. 1, n. 25640 del 21/05/2013 – dep. 11/06/2013, Adelizzi, Rv. 256066
– secondo cui, ai fini della valutazione della compatibilità o meno dei
comportamenti posti in essere dal condannato con la prosecuzione della misura,
quando tali comportamenti possano dar luogo all’instaurazione di procedimenti
penali, non è necessario che il giudice tenga conto dell’esito di questi ultimi, non
essendo configurabile alcuna pregiudizialità, neppure logica, fra l’esito anzidetto

logicamente motivata, e per ciò incensurabile in questa sede, secondo cui la
violazione di una prescrizione che, in un’ottica specialpreventiva, richiedeva al
condannato il completo disinteresse verso problematiche, di qualsiasi sorta,
legate all’amministrazione di imprese commerciali, costituiva indice significativo
di un carente senso di responsabilità e di un’immaturità del condannato, che
giustificava una regressione sul piano trattamentale.

2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc.
pen. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2013.

e la valutazione in questione) – è pervenuto alla conclusione – adeguatamente e

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