Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7540 del 10/10/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7540 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) OCCIONI GIAN PAOLO N. IL 15/12/1953
avverso la sentenza n. 233/2007 CORTE APPELLO di MILANO, del
05/10/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/10/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Or. ( .9 f04.C-s”-E’LL/
che ha concluso per -&
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Udito, per

arte civile, l’Avv

Udit i difensor Avv. C P-0-4:3 N(0 1-1-1 j

Data Udienza: 10/10/2012

RITENUTO IN FATTO
1. GIAN PAOLO OCCIONI, quale amministratore prima di diritto, poi di fatto, della Nuova
Futura sas, dichiarata fallita il 3-8-2000, era ritenuto responsabile, con sentenza della Corte
d’Appello di Milano del 5-10-2010, in parziale riforma di quella del Tribunale di Monza in data
20-12-2005 (in quanto era dichiarata la prescrizione del reato, di cui al capo B, di emissione di
fatture per operazioni inesistenti), del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e
documentale, per aver distratto la somma di oltre tre miliardi e mezzo di lire dai conti correnti

e del movimento degli affari, annotando fatture per operazioni inesistenti per oltre 700 milioni
di lire nel 1998 ed omettendo di registrare rilevanti operazioni commerciali, tra le quali gli
acquisti per oltre 700 milioni di lire dalla società Gardoni e dalla Cooperativa Agricola S.
Miguel.
2. La corte milanese sottolineava come, anche dopo il periodo di gestione formale della
società, durato fino al 12-10-1998, l’imputato avesse continuato ad esercitare funzioni
direttive, anche se nella formale veste di dipendente della società -della cui quota di
maggioranza era comunque rimasto intestatario fino all’aprile 1999, quando l’aveva ceduta a
persona della famiglia, mentre la madre era rimasta nella compagine sociale-, affiancando
negli ultimi mesi prima del fallimento il nuovo amministratore Roberto Dalla Valeria. Inoltre era
stato lui a prelevare dai conti sociali, negli anni dal 1998 al 2000, oltre due miliardi di lire,
nonché 90 milioni di lire nel gennaio/febbraio 2000, e 300 milioni nell’aprile dello stesso anno,
essendo tra l’altro procuratore ad operare sui conti nel periodo di gestione Dalla Valeria.
Ricorre l’imputato tramite il difensore avv. C. Bonomi, con nove motivi.
1) Nullità della sentenza per violazione del divieto di reformatio in peius, in quanto, a
seguito della dichiarazione di prescrizione del reato sub B), la corte aveva ridotto la
pena in misura inferiore (mesi quattro) all’aumento per la continuazione operato in
primo grado per il reato satellite (anni uno).
2) Nullità per manifesta illogicità della motivazione sul punto della registrazione di fatture
tanto attive che passive per operazioni inesistenti, trattandosi di operazioni che si
annullano reciprocamente.
3) e 7) Violazione di legge penale e civile e vizio totale di motivazione sul punto del
riconoscimento della qualifica di amministratore di fatto sulla base delle dichiarazioni
della dipendente Lonni e dal coimputato Dalla Valeria, le prime indicanti l’esercizio di
funzioni proprie di un socio dirigente, le seconde inattendibili perché animate da rancore
del dichiarante verso il prevenuto, il quale, da quando era divenuto dipendente della
società, non aveva commesso ammanchi né irregolarità contabili.
4) Vizi di cui all’art. 606 cod. proc. pen. lett. b), c), e), in relazione agli artt. 216, 219 e
223 legge fall. in quanto durante la sua amministrazione le scritture erano state
regolarmente tenute, mentre nel periodo di gestione Dalla Valeria non erano state
registrate fatture di acquisto ed erano state esportate somme di denaro in Romania.
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della società e tenuto le scritture contabili in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio

5) e 6) Gli stessi vizi erano dedotti in ordine alla bancarotta documentale per la
ricostruzione dell’elemento costitutivo della quale si assumevano recuperati fatti
oggetto del reato prescritto. In conseguenza non sussisteva l’aggravante dei più fatti di
bancarotta e anche il giudizio di comparazione, così come la determinazione della pena,
dovevano essere riformati.
8) Violazione degli artt. 29 cod. pen. e 216, ult. comma, legge fall. sul punto della durata
delle pene accessorie.
qualifica di amministratore di fatto nonostante le movimentazioni bancarie non
registrate si riferissero al prevenuto soltanto per due modeste somme (90 e 300
milioni), che risultavano entrate nelle casse sociali.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va disatteso.
1. Il primo motivo, inerente alla determinazione della pena, sarà trattato per ultimo per ovvi
motivi di ordine logico-sistematico.
2. Il secondo motivo, mentre è privo di fondamento in quanto l’emissione e la ricezione di
fatture per operazioni inesistenti non necessariamente sl annullano a vicenda restando
penalmente irrilevanti, ma rispondono alle esigenze di evasione fiscale di chi di volta in volta
figura come acquirente, non tiene comunque conto del fatto che l’accusa mossa all’Occioni
riguarda soltanto l’annotazione delle fatture per operazioni inesistenti in uscita verso la società
Le Bon, per consentire a questa l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non
già anche l’annotazione di fatture per operazioni inesistenti emesse da tale società, essendo
anzi contestato al prevenuto, sempre nell’ambito della bancarotta documentale, di non aver
registrato operazioni di acquisto da altre società, quali la Gardoni e la Coop. Agricola S. Miguel.
3. I motivi terzo, settimo e nono, che possono essere esaminati unitariamente in quanto
attinenti all’affermazione di responsabilità per bancarotta fraudolenta patrimoniale in veste di
amministratore di fatto, in concorso con l’amministratore formale Dalla Valeria (mentre non è
attinto dalla doglianza il periodo fino all’ottobre 1998, nel quale Occioni era stato socio
accomandatario della società), sono privi di fondamento.
3.1 La sentenza impugnata si sottrae alle censure di violazione di legge civile e penale e di
difetto di motivazione avendo la corte territoriale, con motivazione coerente e logica, esente da
vizi e conforme ai principi affermati da questa corte in tema di amministratore di fatto,
attribuito tale qualifica al prevenuto sulla scorta, prima ancora che della chiamata di correo da
parte del Dalla Valeria, della storia della Nuova Futura. Storia che vede l’Occioni dapprima
amministratore, quindi socio di maggioranza, in seguito cedente la propria quota a persona di
famiglia, mentre la madre aveva continuato, con altri parenti, a far parte della compagine
sociale. Da ciò il giudice di secondo grado ha logicamente desunto che Occioni, sia
direttamente che per interposta persona, era stato sempre l’eminenza grigia della società, da

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9) Vizi sub b), c), e) art. 606 cod. proc. pen., ancora sul punto dell’attribuzione della

ultimo significativamente ceduta, tre mesi prima del fallimento, al Dalla Valeria, già esposto
nella carica di amministratore.
3.2 Con ragione, dunque, la corte milanese ha valorizzato in senso accusatorio, alla stregua di
quanto sopra, le dichiarazioni testimoniali della dipendente Lonni e del chiamante in correità
Dalla Valeria, ritenendole riscontrate dal rilascio all’imputato di procura speciale ad operare sui
conti correnti della società, rilascio la cui attribuzione da parte dell’Occioni a mera comodità
logistica (asseritamente non accompagnata da autonomia gestionale), è stata motivatamente
3.3 Vano quindi lo sforzo del ricorrente di parcellizzare e sminuire il quadro istruttorio,
declassando il suo ruolo descritto dalla Lonni (che lo ha indicato come colui che l’aveva assunta
con mansioni di ragioneria e dal quale soltanto aveva ricevuto tutte le direttive in ordine al
settore commerciale al quale era addetta, parificandone la figura, sul piano gerarchico, a quella
del Dalla Valeria) a quello di un dirigente della società e attribuendo la chiamata di correo del
Dalla Valeria a sentimenti di rivalsa, ma trascurando che questi, dopo un iniziale, insostenibile
tentativo di autodifesa, aveva ammesso anche le proprie responsabilità, patteggiando la pena,
e aveva confessato di essere stato nominato amministratore conoscendo lo stato di decozione
della società e le modalità operative dell’imputato, in particolare sotto il profilo delle
movimentazioni bancarie che avevano portato negli anni 1998/2000 a prelievi dai conti sociali
per oltre due miliardi di lire, così attirando l’attenzione dell’UCI. Sistema di poi replicato, sotto
la gestione Dalla Valeria, con ulteriori prelievi, per 90 e poi per 300 milioni di lire, a mezzo di
questi o direttamente da parte dell’Occioni grazie alla procura speciale ad operare sui conti
della società.
3.4 Poco conta che Dalla Valeria abbia ammesso di aver operato il 90% delle distrazioni, dal
momento che la sentenza, dopo averne dato atto, ha tuttavia evidenziato che il 10% di esse,
per dichiarazione del chiamante, era stato effettuato dall’Occioni, e che comunque i proventi
delle distrazioni messe a segno direttamente dal Dalla Valeria erano stati oggetto, sempre
secondo quanto da questi riferito, di spartizione con il prevenuto.
3.5 Irrilevante è quindi il rilievo del ricorrente secondo cui le movimentazioni bancarie non
registrate si riferivano a lui soltanto per due, asseritamente modeste, somme (90 e 300 milioni
di lire), in quanto, da un lato, non considera il periodo precedente all’amministrazione Dalla
Valeria, non oggetto di ricorso, dall’altro ignora la spartizione, appena ricordata, tra i due
coimputati del provento delle distrazioni operate in proprio dal predetto Dalla Valeria.
Mentre è del tutto assertivo che le due somme di cui sopra sarebbero rientrate nelle casse
sociali.
Le doglianze si risolvono quindi in un tentativo, che reitera quello già effettuato con l’atto di
appello, di rivisitazione, non consentita in questa sede, di un solido ed inattaccabile quadro
probatorio a carico dell’imputato.
4. In fatto, assertivo e frutto di ricostruzione alternativa delle risultanze è poi il quarto motivo
che addebita alla sentenza i vizi di cui all’art. 606 cod. proc. pen. -lett. b, c, e-, in relazione
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reputata del tutto inverosimile.

agli artt. 216, 219 e 223 legge fall. per non aver tenuto conto che, durante l’amministrazione
Occioni, le scritture erano state regolarmente tenute, mentre nel periodo di gestione Dalla
Valeria non erano state registrate fatture di acquisto ed erano state esportate somme di
denaro in Romania. Al contrario la sentenza non manca di evidenziare (a pag. 7) che già prima
dell’avvento del Dalla Valeria la tenuta della contabilità era apparentemente regolare ma in
effetti del tutto inveritiera, come era emerso dagli accertamenti del curatore fallimentare e
della Guardia di Finanza.
ravvisabile nell’utilizzo, al fine di comprovare la sussistenza della bancarotta fraudolenta
documentale, dell’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, oggetto del reato
dichiarato prescritto, essendo l’annotazione di dette fatture indubbiamente rilevante sotto il
profilo della tenuta delle scritture contabili in modo da non rendere ricostruibile il reale
movimento degli affari. Resta in conseguenza assorbita l’ulteriore doglianza, e quelle collegate,
circa la sussistenza dell’aggravante dei più fatti di bancarotta.
6. Il primo e l’ottavo motivo, inerenti al trattamento sanzionatorio, sono manifestamente
infondati.
Non è ravvisabile violazione del divieto di reformatio in peius laddove in sentenza, a seguito
della dichiarazione di prescrizione del reato sub B), la pena è stata ridotta di mesi quattro di
reclusione. Tale era infatti l’aumento operato in primo grado sulla pena base per quel reato
satellite, ancorché a pag. 1 della sentenza impugnata si legga, per evidente errore materiale,
che il tribunale aveva condannato l’Occioni alla pena di anni quattro di reclusione ‘di cui tre per
il reato di bancarotta … ed anni uno per il reato continuato di cui al capo B)’. Infatti dall’esame
della decisione di primo grado (pag. 13) risulta che la pena base per la bancarotta era di anni
tre e mesi otto di reclusione e l’aumento per il capo B) di mesi quattro.
6.1 La questione della commisurabilità alla pena principale della durata delle pene accessorie
previste dall’art. 216, ult. comma, legge fall., prospettata con l’ottavo motivo, risulta
affrontata e risolta, in senso contrario a quello auspicato dal ricorrente, dalla Corte
Costituzionale con ordinanza di inammissibilità n. 38/2012. La relativa doglianza è quindi priva
di fondamento.
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 10.10.2012

5. Il quinto ed il sesto motivo sono del pari senza fondamento in quanto nessun vizio è

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