Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7525 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7525 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– COROSTENI ARJAN n. 4/06/1982 in ALBANIA

avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di ANCONA in data 20/08/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Vito D’Ambrosio che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv.

Data Udienza: 12/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 20/08/2013, depositata in data 21/08/2013, il Tribunale del
riesame di ANCONA, decidendo sulla richiesta di riesame promossa dall’odierno
ricorrente, respingeva l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagato
avverso l’ordinanza 23/07/2013 con cui il GIP presso il Tribunale di ASCOLI

nei confronti del ricorrente in quanto indagato:
a) del reato di cui agli artt. 81, cpv, 110 c.p. e 73, d.P.R. n. 309/1990, perché,
con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in tempi diversi,
gestiva un’illecita attività di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina con
un connazionale non identificato e, in particolare, faceva ospitare presso
l’abitazione dei tale NEZIRI in San Benedetto del Tronto i fornitori – corrieri, che
poi procedevano alla lavorazione della cocaina, il NEZIRI acquistava allo scopo
euro 350 di sostanze da taglio. Il COROSTENI incaricava poi il NEZIRI di
trasportare da San Benedetto del Tronto un quantitativo di cocaina destinato a
un loro connazionale non identificato; in Civitanova, Roma e San Benedetto del
Tronto dal dicembre 2012 al marzo 2013;
b) del reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 c.p. e 73, d.P.R. n. 309/90 perché, con
più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, si
approvvigionava di consistenti quantitativi di cocaina presumibilmente oscillanti
intorno al chilogrammo, dal connazionale non identificato, abitante in Gran
Bretagna, per poi cederli, nell’ordine di gr. 10 in su, a NEZIRI, ad un
connazionale abitante a Roma non identificato, ad AZIZ a TOSKA, a NUSHI, a
RENZI e ad altri soggetti non identificati; in Civitanova Marche e San Benedetto
del Tronto, dal febbraio 2013 all’aprile 2013.

2. Ha proposto tempestivo ricorso l’indagato a mezzo del difensore – procuratore
speciale cassazionista, impugnando la predetta ordinanza e deducendo due
motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce il ricorrente, con un primo motivo, l’incompetenza per territorio del
GIP di Ascoli in favore della competenza del GIP di Macerata nonché il vizio di
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sul punto.
Si duole, in sintesi, il ricorrente per aver il tribunale ritenuto la competenza
dell’A.G. di Ascoli e non quella di Macerata nonostante i contatti inerenti
l’organizzazione siano avvenuti per via telefonica o a mezzo
2

skype tra un

PICENO disponeva l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere

soggetto che vive in Gran Bretagna ed il ricorrente, che vive a Civitanova
Marche, donde il presunto reato si sarebbe consumato a Civitanova Marche,
luogo di residenza e/o domicilio del ricorrente.
Altro profilo di censura in relazione al primo motivo, attiene all’applicazione da
parte del tribunale del riesame del criterio della connessione ex art. 12, lett. b),
c.p.p., anziché di quello previsto dall’art. 9, comma 1, c.p.p.; poiché l’ultimo

(presunta cessione in favore di tale Renzi in data antecedente l’aprile 2013), vi
sarebbe dunque l’incompetenza del GIP di Ascoli e la competenza del GIP di
Macerata.

2.2. Deduce il ricorrente, con un secondo motivo, l’insussistenza del requisito
dell’urgenza ex art. 291, comma 2, c.p.p., con assenza di motivazione sul punto;
deduce, ancora, l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nonché
l’insussistenza delle esigenze cautelari e mancanza, illogicità, contraddittorietà
della motivazione sul punto.
Si duole, in sintesi, il ricorrente per aver il tribunale del riesame omesso di
motivare in ordine alla sussistenza di tale requisito, nonostante la misura
intervenga quando la condotta era cessata da diverso tempo (i fatti, in
particolare, riguardano un arco temporale tra il dicembre 2012 e l’aprile 2013).
In merito alla configurabilità dei gravi indizi, poi, il ricorrente censura l’ordinanza
impugnata per aver operato una disinvolta interpretazione del contenuto delle
conversazioni intercettate tra il ricorrente ed il connazionale Neziri. Allo stesso
modo, non sussisterebbero elementi per poter affermare, come invece fa
l’ordinanza, che i soggetti che vennero ospitati presso l’abitazione del ricorrente
fossero corrieri – fornitori di stupefacente; per poterlo provare sarebbe stato
necessario che la P.G. od il P.M. procedessero a perquisizione locale, cosa che
non è stata eseguita. Vengono, infine, individuati alcuni episodi nei quali
l’ordinanza si paleserebbe sotto il profilo motivazionale assolutamente illogica,
avendo fornito una libera interpretazione dei dati acquisiti quanto ai capi n) ed o)
della rubrica.
Ultimo profilo di censura, infine, investe la sussistenza delle esigenze cautelari.
Il ricorrente, a tal proposito, contesta l’esistenza del pericolo di fuga nonché del
pericolo di reiterazione del reato, esigenze sulle quali sarebbe assente qualsiasi
motivazione da parte del tribunale del riesame o comunque una sua
contraddittorietà, non essendo comprensibili le ragioni per le quali la pericolosità
sociale non possa ritenersi soddisfatta con misura meno afflittiva come gli arresti
domiciliari, magari affiancati da altre misure.
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luogo in cui l’azione o l’omissione sarebbe avvenuta è avvenuto a Civitanova

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

4. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione

direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio
prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una
sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure
presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli
elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte
Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent.
n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).
La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli
elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico
di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori
garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure
restrittive della stessa.
Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato
anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare.
L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta
ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di
merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della
cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di
indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo
della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni
per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque
a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

4.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure
cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli
elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce
tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non
valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato
e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la
futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale
responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza
4

di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee

(Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002,
e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995,
Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999,
Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000,
Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004,
Acanfora, Rv. 227511).

colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le
altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n.
31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n.
29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n.
36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441
del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del
04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).
Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del
condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’art. 273 c.p.p., comma
1-bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il
richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un
espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

4.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando
sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla
peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del
contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza
del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del
17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del
12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del
22/03/2000,

dep.

02/05/2000,

Audino,

Rv.

215828;

Sez.

2,

n.

9532

del

22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500
del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa
integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre,
Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez.
1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n.
5

A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, nella valutazione dei gravi indizi di

6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331). Il detto limite del
sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro
delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della
cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata
e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998,
Martorana, Rv. 210019).

tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il
provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale
provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo
di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze
motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni
addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008,
Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998,
Panebianco R., Rv. 212685).

5. Tanto premesso è quindi possibile affrontare il primo motivo, di cui emerge,
invero, all’evidenza, sia la manifesta infondatezza che la genericità.
Da un lato, infatti, il ricorrente si limita a riproporre le medesime
doglianze già espresse davanti al tribunale del riesame senza tener conto delle
argomentazioni offerte dal giudice del gravame a confutazione delle originarie
censure, apparendo dunque il motivo aspecifico, ossia generico ed
indeterminato, in quanto ripropone le stesse ragioni già esaminate e ritenute
infondate dal giudice del riesame, risultando tale motivo carente della necessaria
correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’impugnazione, la quale non può ignorare le affermazioni
del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce,
ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso
(v. tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv.
253849).
Dall’altro lato, il motivo appare comunque manifestamente infondato.
Principio generale in materia è quello secondo cui l’incompetenza per territorio
del giudice che ha disposto una misura cautelare è sindacabile in sede di
impugnazione (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994 – dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv.
199393); con particolare riferimento al settore dei reati riguardanti sostanze
stupefacenti, peraltro, le condotte tipiche previste dall’art. 73 del d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309 (acquisto, detenzione, raffinazione, trasporto, cessione),
ponendosi tra loro in rapporto di alternatività formale, perdono la loro
6

n

Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in

individualità quando si riferiscano alla stessa sostanza stupefacente e siano
indirizzate a un unico fine, senza un’apprezzabile soluzione di continuità.
Ne consegue che, per determinare, in tal caso, la competenza per territorio,
occorre fare riferimento al luogo di compimento della prima delle condotte
addebitate e, solo laddove tale luogo non sia identificato o identificabile la
competenza deve essere individuata facendo richiamo ai criteri suppletivi stabiliti

03/03/2010, Carbone e altro, Rv. 246851).
Sulla questione, l’impugnata ordinanza motiva adeguatamente circa le ragioni
per le quali il ha tribunale ritenuto la competenza dell’A.G. di Ascoli e non quella
di Macerata. In particolare, si legge nell’ordinanza impugnata (pag. 2) che la
condotta contestata si è svolta interamente a San Benedetto con riferimento al
luogo in cui giunge ed è lavorato lo stupefacente, sicchè per tale ragione è stata
ritenuta sussistere la competenza territoriale del tribunale di Ascoli Piceno.
La soluzione offerta dal giudice del riesame risponde ai criteri più volte affermati
da questa Corte con riferimento all’individuazione del giudice territorialmente
competente per i reati in materia di stupefacenti, atteso che qualora il reato
venga realizzato attraverso la consumazione di più condotte tra quelle
alternativamente previste dal primo comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990,
la competenza territoriale deve essere stabilita con riguardo al luogo in cui è
stata compiuta la prima di tali condotte (v., in termini: Sez. 6, n. 3882 del
04/11/2011 – dep. 31/01/2012, Annunziata, Rv. 251526). A ciò, peraltro, può
aggiungersi, che – come si rileva dall’imputazione sub n) – a San Benedetto del
Tronto risulta fossero ospitati i fornitori/corrieri e che da San Benedetto del
Tronto risulta avesse inizio il trasporto della cocaina verso Roma.
Quanto al secondo capo di imputazione, l’ordinanza motiva correttamente
applicando il combinato disposto dell’art. 12, lett. b) e 16, comma primo, cod.
proc. pen. (Sez. 1, n. 24718 del 22/05/2008 – dep. 18/06/2008, Confl. comp. in
proc. Molinaro e altro, Rv. 240806), evidenziando che in caso di connessione
dovuta alla sussistenza di un medesimo disegno criminoso, sussiste la
competenza del giudice del luogo in cui si è svolta la più grave condotta o in
mancanza, come nel caso in esame, del luogo in cui si è svolto il primo reato.
Il giudice del riesame, sul punto, respinge l’eccezione d’incompetenza chiarendo
che dalle intercettazioni telefoniche e da quanto motivato dal GIP, le cessioni nei
confronti del Neziri (abitante a San Benedetto del Tronto) sono quelle più
risalenti nel tempo, avvenute nel febbraio, donde la competenza di Ascoli Piceno.
Le ulteriori argomentazioni difensive a tal fine esposte nel primo motivo,
costituiscono inammissibili interpretazioni alternative di tipo soggettivo alla
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dall’art. 9 cod. proc. pen. (v. tra le tante: Sez. 4, n. 8665 del 22/01/2010 – dep.

soluzione offerta dai giudici del riesame nel caso di specie, le quali, peraltro,
sono fondate su elementi di fatto che imporrebbero valutazioni o ad
accertamenti, comunque inammissibili nel giudizio di legittimità.

6. Quanto, poi, al secondo motivo, lo stesso si articola in tre diversi profili di

6.1. Quanto al primo profilo (insussistenza del requisito dell’urgenza ex art. 291,
comma 2, c.p.p., con assenza di motivazione sul punto), secondo un primo
orientamento giurisprudenziale di legittimità, si ritiene che il giudice
dell’impugnazione cautelare “de libertate”, che rilevi l’incompetenza territoriale
del giudice che ha emesso il provvedimento, deve estendere il suo controllo
anche alle ragioni di urgenza che legittimano l’intervento cautelare del giudice
incompetente (v., tra le tante: Sez. 2, n. 2076 del 18/12/2009 – dep.
18/01/2010, PM in proc. Nikolic ed altri, Rv. 246258); diversamente, secondo
altro orientamento (v., da ultimo: Sez. 2, n. 48734 del 29/11/2012 – dep.
17/12/2012, Jelmoni, Rv. 254160) una volta riconosciuta in sede di riesame
l’incompetenza del giudice che ha adottato una misura cautelare, il Tribunale non
potrebbe invece pronunciare l’annullamento nè la riforma del provvedimento
impugnato, ma, dopo averlo confermato, dovrebbe provvedere, ai sensi dell’art.
27 cod. proc. pen.
Il contrasto, tuttavia, non rileva nel caso in esame, atteso che viene a mancare il
presupposto che, secondo ambedue gli orientamenti, legittimerebbe il giudice del
riesame alla valutazione del requisito di cui all’art. 291, comma secondo, cod.
proc. pen., ossia l’accertamento della incompetenza territoriale del GIP che ha
emesso la misura. Nel caso in esame, infatti, il tribunale del riesame ha
accertato la competenza territoriale del giudice di Ascoli Piceno, sicchè non ha
motivato in ordine al requisito dell’urgenza in quanto, solo in caso di accertata
incompetenza sussiste l’obbligo per il giudice del riesame di procedere alla
valutazione del requisito medesimo.
La doglianza, pertanto, appare manifestamente infondata; la stessa è, inoltre,
inammissibile in quanto – per ciò che risulta dall’impugnato provvedimento e dal
tenore del ricorso per cassazione (non avendo assolto il ricorrente all’onere di
allegazione e/o integrale trascrizione dei motivi di riesame, così da rendere il
ricorso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze: Sez. 2, n. 26725
del 01/03/2013 – dep. 19/06/2013, Natale e altri, Rv. 256723) – la stessa non
risulta dedotta con i motivi di riesame, atteso che il disposto dell’art. 606,
comma terzo, cod. proc. pen. che prevede l’inammissibilità del ricorso se
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censura che, per comodità espositiva, possono essere trattati separatamente.

proposto per violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, è applicabile
anche nel caso di mancata deduzione in sede di riesame poiché il relativo
procedimento, avendo carattere sostanziale di impugnazione del merito, si
presenta equiparabile all’appello (Sez. 4, n. 839 del 24/06/1993 – dep.
21/10/1993, Foti, Rv. 195324).

censura svolta dal ricorrente riguarda: a) l’interpretazione del contenuto delle
conversazioni intercettate tra il ricorrente ed il connazionale Neziri; b) la
mancanza di elementi che per poter affermare che i soggetti che vennero ospitati
presso l’abitazione del ricorrente fossero corrieri – fornitori di stupefacente (a tal
fine dolendosi del fatto che non fosse stata eseguita una perquisizione); c) alcuni
episodi nei quali l’ordinanza si paleserebbe sotto il profilo motivazionale
assolutamente illogica, avendo fornito una libera interpretazione dei dati acquisiti
quanto ai capi n) ed o) della rubrica.
Tale profilo di doglianza si appalesa, all’evidenza, generico e
manifestamente infondato, atteso che il ricorrente si limita a riproporre le
medesime doglianze già espresse davanti al tribunale del riesame senza tener
conto delle argomentazioni offerte dal giudice del gravame a confutazione delle
originarie censure, apparendo dunque il motivo aspecifico, ossia generico ed
indeterminato, in quanto ripropone le stesse ragioni già esaminate e ritenute
infondate dal giudice del riesame, risultando tale motivo carente della necessaria
correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’impugnazione, la quale non può ignorare le affermazioni
del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce,
ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso
(v. tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv.
253849).
In ogni caso, il motivo appare comunque manifestamente infondato.
Ed infatti, l’ordinanza impugnata dedica ampio spazio all’analisi delle ragioni che
giustificano la sussistenza dei gravi indizi di reato con riferimento sia al capo n),
come si legge alle pagg. 2/4, sia al capo o), come puntualmente e
dettagliatamente esposto alla pag. 4. In tale contesto, l’interpretazione del
linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto,
rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di
legittimità se motivata – come nel caso in esame – in conformità ai criteri della
logica e delle massime di esperienza (Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013 – dep.
12/03/2013, Melfi, Rv. 254439). Non deve, dimenticarsi, a tal proposito, che il
9

6.2. Quanto al secondo profilo (insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza), la

sindacato demandato alla Corte di legittimità deve essere esercitato sulle
proposizioni contenute nel testo del provvedimento e sulla coordinazione
argomentativa che rappresenta il tessuto logico della motivazione al fine di
verificare se le premesse scaturite dalle valutazioni di merito siano legate da un
nesso di consequenzialità logica con le conclusioni accolte, con esclusione della
possibilità, in assenza di vizi logici e giuridici, di prospettare soluzioni

intercettate) alternative a quella scelta dai giudici di merito. Quanto al resto, è
chiaro, dal tenore delle doglianze, che il ricorrente chiede a questa Corte di
legittimità di valutare elementi di fatto, operazione non consentita in questa
sede, donde l’inammissibilità della doglianza.

6.3.

Quanto al terzo ed ultimo profilo (sussistenza delle esigenze

cautelari), valgono le medesime argomentazioni già esposte a proposito della
questione dei gravi indizi. Tale profilo di doglianza si appalesa, all’evidenza,
generico e manifestamente infondato, atteso che il ricorrente si limita a
riproporre le medesime doglianze già espresse davanti al tribunale del riesame
senza tener conto delle argomentazioni offerte dal giudice del gravame a
confutazione delle originarie censure, apparendo dunque il motivo aspecifico,
ossia generico ed indeterminato, in quanto ripropone le stesse ragioni già
esaminate e ritenute infondate dal giudice del riesame, risultando tale motivo
carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, la quale
non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel
vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc.
pen. all’inammissibilità del ricorso (v. tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del
09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
In ogni caso, il motivo appare comunque manifestamente infondato.
Ed infatti, l’ordinanza impugnata dedica ampio spazio all’analisi delle ragioni che
giustificano la sussistenza delle esigenze cautelari con riferimento sia al capo n),
sia al capo o), come puntualmente e dettagliatamente esposto alla pag. 5.
Appare evidente dalla lettura dell’ordinanza come il tribunale del riesame si sia
attenuto, nello sviluppare il percorso argomentativo che ha condotto al rigetto
dell’istanza cautelare, ai principi più volte affermati da questa Corte in materia.
In particolare, l’ordinanza verifica l’idoneità della misura applicata a fronteggiare
le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio
della minor compressione possibile della libertà personale, come richiesto dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema, verificando la rispondenza della misura
10

interpretative (anche per ciò che concerne il significato delle conversazioni

nel corso della sua esecuzione (Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011 – dep.
22/04/2011, P.M. in proc. Khalil, Rv. 249324); esprime, poi, una valutazione
circa l’adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, per quanto specificamente
riguarda le esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, lett. c) cod. proc. pen.,
ritenendola sulla base di quegli elementi specifici, inerenti al fatto, alle
motivazioni di esso ed alla personalità del soggetto che indicano quest’ultimo

(v., tra le tante: Sez. 1, n. 30561 del 15/07/2010 – dep. 30/07/2010, Micelli, Rv.
248322); infine, ai fini dell’affermazione della sussistenza del pericolo di
reiterazione del reato, pone a fondamento della valutazione della personalità
dell’indagato le stesse modalità del fatto da cui ha dedotto anche la sua gravità,
come del resto ritenuto assolutamente legittimo dalla più recente giurisprudenza
di questa Corte (Sez. 5, n. 35265 del 12/03/2013 – dep. 21/08/2013, Castelliti,
Rv. 255763).
Alla stregua di quanto sopra, dunque, nessuna violazione di legge o vizio
motivazionale denunciato emerge dall’analisi dell’impugnata ordinanza.
Del resto, come già in precedenza evidenziato, l’ordinamento non conferisce alla
Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive degli indagati, ivi compreso
l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate,
trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del
giudice cui è stata richiesta l’applicazione delle misura cautelare e del tribunale
del riesame. Il controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame
dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due
requisiti, uno di carattere positivo e l’altro di carattere negativo, il cui possesso
rende l’atto insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza nel testo dell’esposizione di
illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento.
E l’ordinanza gravata risponde ai predetti requisiti, così positivamente superando
il sindacato di questa Corte.

7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma alla Cassa
delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, somma che si stima equo
fissare, in euro 1000,00 (mille/00).
11

come propenso all’inosservanza degli obblighi connessi ad una diversa misura

,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 (mille/00) in favore della Cassa
delle Ammende.

Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1
ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, 12 dicembre 2013

Il Pr

ente

Dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al

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