Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7523 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7523 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– MORABITO GIOVANNI n. 5/07/1971 ad AFRICO

avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di CAGLIARI in data 12/07/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Vito D’Ambrosio che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. Francesco Calabrese del Foro di Reggio Calabria,
che ha chiesto accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 12/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12/07/2013, depositata in data 15/07/2013, il Tribunale del
riesame di CAGLIARI, decidendo sulla richiesta di riesame promossa dall’odierno
ricorrente, rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagato
avverso l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere emessa dal

a) per il reato di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309/1990 per avere, agendo
in concorso con Scordo Domenico, partecipato a un’associazione finalizzata al
traffico di sostanze stupefacenti con il ruolo abituale di fornitori, assieme
all’albanese Lukaj Kastriot, d’ingenti quantità di eroina e di altre sostanze
stupefacenti; fatto aggravato per essere il numero degli associati superiore a
dieci;
b) per il reato di cui agli artt. 110 c.p., 73, comma 1 e 1-bis ed 80, comma 2,
d.P.R. n. 309/1990, perché in concorso con Scordi Domenico, e con altri sei
indagati meglio identificati nel capo n. 2 della rubrica, senza l’autorizzazione di
cui all’art. 17 e fuori dall’ipotesi prevista dall’art. 75, realizzavano le seguenti
condotte, ferma restando la contestazione a ciascuno del concorso nella
detenzione e trasporto della sostanza stupefacente e in tutte le altre condotte
penalmente rilevanti a norme degli artt. 110 c.p. e 73, d.P.R. n. 309/1990,
ciascuno rafforzando comunque l’intento criminoso degli altri anche per la stabile
disponibilità al compimento delle attività illecite collegate al traffico di droga
manifestata nell’ambito della partecipazione all’associazione descritta nei capi a)
e b): Gigino Milia e Graziano Mesina, agendo in concorso con Corrado Altea che,
su incarico di Milia, provvedeva al trasporto del denaro a Milano, e con Domenico
Scordo e MORABITO GIOVANNI, che facevano da intermediari con il fornitore,
acquistavano dall’albanese Kastriot Lukaj una ingente quantità di eroina, pari a
circa 10 kg., che veniva affidata in custodia ad Antonio Mascia e
successivamente ritirata a fine di ulteriore spaccio da Graziano Mesina,
Francesco Piras ed altri; in Fluminimaggiore, Villanovafranca, Orgosolo ed altri
luoghi del distretto, in epoca prossima al 23 maggio 2009.

2. Ha proposto tempestivo ricorso l’indagato a mezzo del difensore – procuratore
speciale cassazionista, impugnando la predetta ordinanza e deducendo due
motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2

GIP presso il Tribunale di CAGLIARI in data 30/05/2013:

2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, la violazione dell’art. 606, comma
1, lett. c) ed e), c.p.p. in relazione all’art. 273 c.p.p. ed in relazione agli artt. 73
e 74 d.P.R. n. 309/1990.
Si duole, in sintesi, il ricorrente per aver il tribunale del riesame erroneamente
motivato il provvedimento impugnato quanto ai criteri adottati per addivenire
alla corretta identificazione del ricorrente come soggetto protagonista dei

particolare, quanto al percorso logico – motivazionale adottato dai giudici di
merito per avvalorare il criterio identificativo del ricorrente con soggetto
loquente. In sostanza, secondo il ricorrente, il giudizio d’identificazione espresso
risulterebbe essere ricondotto esclusivamente ad un mero giudizio di
accostamento, unico elemento che ha portato i giudici e gli inquirenti a ritenere
che il soggetto che colloquiava nel corso delle conversazioni si identificasse nel
ricorrente: in altri termini, poiché questi ebbe contatto con gli interlocutori

de

visu dovrebbe da ciò inferirsi che sia il medesimo soggetto che ebbe a
interloquire anche per via telefonica anche attraverso l’uso delle cabine
telefoniche.

2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. b), c) ed e), c.p.p. in relazione all’art. 273 c.p.p. ed in relazione
all’art. 74, d.P.R. n. 309/1990.
Si duole, in sintesi, il ricorrente per aver il tribunale ritenuto configurabile la
condotta partecipativa del ricorrente al sodalizio finalizzato al traffico di
stupefacenti, indicando due profili di censura: a) esistenza di una chiara stortura
di ordine logico – deduttivo, laddove i giudici hanno ritenuto di poter riferire al
ricorrente fatti e circostanze afferenti a soggetti completamente diversi dallo
stesso; b) completa disapplicazione dei criteri ermeneutici che governano la
materia e che impongono espresso divieto di poter configurare la fattispecie
associativa in ipotesi di rapporti tra fornitore ed acquirente, se non a
determinate, tassative e specifiche condizioni. Quanto, poi, al passaggio
motivazionale in cui il tribunale del riesame attribuisce al ricorrente un ruolo di
partecipazione nel sodalizio, si censura l’ordinanza impugnata (pagg. 47/48)
nella parte in cui individua un solo elemento dimostrativo della stabilità dei
rapporti, ossia la circostanza secondo cui il metodo, utilizzato per interloquire in
ordine alle transazioni illecite, sarebbe un metodo da esperti siccome consistito
nell’utilizzazione di una cabina telefonica pubblica. In realtà, sostiene il
ricorrente, tale elemento argomentativo sarebbe del tutto congetturale, in
quanto tali metodiche non sono di esclusiva ed assoluta pertinenza di coloro che
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colloqui oggetto di captazione ad opera della polizia giudiziaria nonché, in

fanno parte di un sodalizio finalizzato al traffico di stupefacenti, ma sono di
pertinenza di soggetti dediti, con carattere di abitualità o meno, a condotte
illecite nell’aspettativa di non essere individuati e perseguiti penalmente.
Infine, come ulteriore profilo di censura in ordine al secondo motivo, si duole il
ricorrente per non aver il tribunale fornito alcuna motivazione in ordine a quegli
elementi prospettati dalla difesa al fine di escludere che fosse in atto una

partecipazione in seno al predetto sodalizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

4. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione
di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee
direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio
prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una
sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure
presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli
elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte
Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent.
n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).
La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli
elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico
di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori
garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure
restrittive della stessa.
Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato
anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare.
L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta
ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di
merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della
cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di
indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo
della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni
per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque
a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

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stabilità di rapporti che potesse giustificare la configurazione del ruolo di

4.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure
cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli
elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce
tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non
valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato
e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la

responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza
(Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002,
e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995,
Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999,
Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000,
Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004,
Acanfora, Rv. 227511).
A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, nella valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le
altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n.
31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n.
29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n.
36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441
del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del
04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).
Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del
condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’art. 273 c.p.p., comma

1-bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il
richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un
espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

4.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando
sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla
peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del
contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza
del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del
17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del
5

futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale

12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del
22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del
22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500
del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa
integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre,

1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n.
6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331). Il detto limite del
sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro
delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della
cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata
e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998,
Martorana, Rv. 210019).
Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in
tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il
provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale
provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo
di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze
motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni
addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008,
Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998,
Panebianco R., Rv. 212685).

5. Tanto premesso è quindi possibile affrontare i due motivi di ricorso, essendo
possibile la loro trattazione unitaria, atteso che gli stessi, pur formalmente
denunciando, contestualmente, sia vizi motivazionali che di violazione di legge
(in particolare, lett. c), dell’art. 606 cod. proc. pen., quanto al primo; lett. b) e
c), quanto al secondo motivo), esprimono nella sostanza doglianze attinenti al
percorso logico – argomentativo che sostiene il provvedimento impugnato, più
che alla violazione di legge singolarmente ipotizzata.
Di tali motivi, ad avviso del Collegio, emerge, all’evidenza, sia la manifesta
infondatezza che la genericità.
Da un lato, infatti, il ricorrente si limita a riproporre le medesime
doglianze già espresse davanti al tribunale del riesame senza tener conto delle
argomentazioni offerte dal giudice del gravame a confutazione delle originarie
censure, apparendo dunque il motivo aspecifico, ossia generico ed
indeterminato, in quanto ripropone le stesse ragioni già esaminate e ritenute
6
h

Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez.

infondate dal giudice del riesame, risultando tale motivo carente della necessaria
correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’impugnazione, la quale non può ignorare le affermazioni
del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce,
ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso
(v. tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv.

Dall’altro lato, i motivi appaiono comunque manifestamente infondati.
Ed invero, l’impugnata ordinanza motiva adeguatamente circa l’insussistenza
della dette carenze motivazionali dell’ordinanza impositiva della misura
cautelare, dando atto di averne criticamente valutato le ragioni nel momento in
cui valorizzano quegli elementi che escludono il dedotto vizio motivazionale.

6. In particolare, per quanto concerne il primo motivo, l’ordinanza impugnata si
preoccupa, nell’indicare i criteri adottati per addivenire alla corretta
identificazione del ricorrente come soggetto protagonista dei colloqui oggetto di
captazione ad opera della polizia giudiziaria, non soltanto di ripercorrere
criticamente ed analiticamente le risultanze dell’attività d’indagine versate nel
provvedimento genetico che hanno portato all’identificazione del Morabito come
partecipe al sodalizio contestato al capo n. 1 e come compartecipe nella
consumazione dell’illecito di cui al capo n. 2 (pagg. 6/28, con particolare
riferimento, per quanto concerne l’acquisto di droga del 23/05/2009, quanto
esposto alle pagg. 12/18), ma anche di chiarire le ragioni che avvalorano il
criterio identificativo del ricorrente come soggetto loquente.
In particolare, è sufficiente richiamare, onde sottolineare lo scrupolo
motivazionale manifestato dai giudici del riesame, quanto esposto alla pag. 29
dell’ordinanza impugnata, in cui si da atto: a) che i carabinieri pervennero
all’identificazione del Morabito (e del concorrente Scordo) indagando sull’attività
di narcotraffico condotta dal Mesina e dal Milia, che acquistavano lo stupefacente
a Milano; b) che il Morabito fu il primo soggetto ad essere identificato, ma
soprattutto fotografato all’inizio dell’attività cygndagine che riguardava i
“calabresi” coinvolti nelle attività del sodalizio; c) che il Morabito aveva effettuato
due viaggi in Sardegna per motivi di traffico di stupefacenti, venendo in
particolare individuato e fotografato nel gennaio 2010; d) che, pertanto, alla luce
del compendio indiziario raccolto (in particolare, conversazioni intercettate tra
Milia e Morabito; accertamenti della polizia giudiziaria riguardanti i “calabresi”),
consentivano di ritenere con qualificato grado di probabilità, tale da superare la
soglia della gravità indiziaria richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen., che il
7

253849).

Morabito avesse posto in essere l’illecita condotta di traffico di stupefacenti
contestata, nonché di aver partecipato al sodalizio criminoso capeggiato da Milia
e Mesina.
Con particolare riferimento, poi, all’identificazione, la spiegazione fornita dai
giudici del riesame non lascia adito a dubbi; ed invero, basta richiamare quanto
esposto alle pagg. 30/31 per pervenire ad un rassicurante approdo, avendo

maggio 2009 tra Milia e Scordo in cui si fa riferimento (pur senza nominarlo
espressamente) alla persona del Morabito, ma soprattutto il contenuto della
successiva conversazione intercettata tra il Morabito ed il Milia, eseguita da una
cabina telefonica; che l’interlocutore fosse il Morabito, sottolinea il tribunale,
emerge: a) dal riconoscimento univoco della voce durante le telefonate
intrattenute con il Milia; b) dalla circostanza che il 7 gennaio 2010, questi veniva
pedinato da personale dei carabinieri all’arrivo all’aeroporto di Cagliari ove era
atteso dal Milia (come confermato dalla lista d’imbarco acquisita dalla PG); c) dal
controllo ed identificazione eseguito da parte della Polfer presso la stazione
centrale di Milano il 22 ottobre 2009, in occasione di un incontro con Milia; d)
dalle conversazioni intercettate dal 13 maggio 2009, dall’inequivoco tenore circa
l’oggetto illecito costituito dalla transazione di stupefacente, che verrà
perfezionata il 23 maggio 2009; e) dall’analisi del viaggio in Sardegna del
Morabito nel gennaio 2010, che conferma come questi abbia avuto un ruolo
fondamentale di ricevere parte del pagamento dello stupefacente, avvenuto con
denaro inviatogli da Milia e trasportato e consegnato dall’avvocato Altea; f) in
definitiva, dunque, appariva evidente come il ruolo del Morabito fosse – al pari di
quello del nipote Scordo – quello dell’intermediario che affianca il Lukaj da un
parte e Milia dall’altra, curando i rapporti e seguendo progressivamente le fasi
dell’esecuzione.
Nessuna violazione di legge né vizio motivazionale, dunque, si ravvisa nel caso in
esame, atteso che, come più volte ribadito da questa Corte, il giudice del
riesame non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento
indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in
luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai
fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. Sotto tale
profilo, dunque, la censura secondo cui il giudizio d’identificazione espresso
risulterebbe essere ricondotto esclusivamente ad un mero giudizio di
accostamento, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto
tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro
indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad
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evidenziato il tribunale non solo l’esito della conversazione intercettata il 13

altri (Sez. 5, n. 2459 del 17/04/2000 – dep. 08/06/2000, PM in proc. Garasto L,
Rv. 216367). Nel provvedimento impugnato, infatti, il giudice del riesame ha
sottoposto a verifica gli elementi emersi dalla attività di indagine, elementi in
base ai quali l’accusa aveva ritenuto che l’indagato fosse da identificare con il
Morabito nelle conversazioni intercettate, conclusione questa che, sfugge al

7. Passando, poi, all’esame del secondo motivo di ricorso, è sufficiente, al fine di
evidenziarne la manifesta infondatezza, richiamare quanto esposto nell’ordinanza
impugnata per ritenere configurabile la condotta partecipativa del ricorrente al
sodalizio finalizzato al traffico di stupefacenti (v. pagg. 46/48).
In particolare, dopo aver ricostruito l’obiettivo dell’associazione finalizzata al
traffico di sostanze stupefacenti e i ruoli di ciascun partecipe, l’ordinanza si
concentra sulla qualificazione del contributo partecipativo del Morabito,
sottolineando come uno degli elementi di grande rilevanza probatoria della
tendenziale stabilità del sodalizio riguardi proprio i “calabresi”, di cui il Morabito è
un importante esponente; si evidenzia, a tal proposito, nell’ordinanza impugnata,
come le modalità di comunicazione dei calabresi con i sardi sono altamente
indicative del fatto che, non trattandosi di contatti occasionali o sporadici, si
tratta di sistemi di comunicazione ben studiati e cautelati al fine di assicurare,
nel tempo, la riservatezza delle comunicazioni.
Quanto alla posizione del Morabito, si evidenzia in particolare, il fatto che egli
non fornisce mai il suo numero cellulare e preferisce chiamare i componenti del
sodalizio da cabine telefoniche pubbliche. La difesa ha contestato tale elemento
argomentativo qualificandolo come congetturale, in quanto tale comportamento
non sarebbe, per così dire, esclusivo di chi è parte di un associazione criminosa
ma, normalmente, impiegato da chi è dedito a condotte illecite nell’aspettativa di
non essere individuato e perseguito penalmente.
Appare evidente che tale profilo di doglianza, più che prospettare un vizio di
violazione di legge o un asserito difetto motivazionale, esprime in realtà un
dissenso sulla valorizzazione da parte del tribunale del riesame su un elemento
che colora la partecipazione al sodalizio, chiedendosi peraltro a questa Corte di
valutare anche una possibile opzione alternativa, ossia che l’uso di tale cautela
sia comune a chi è dedito, in genere, alla commissione di illeciti e non invece,
specifico, di chi è partecipe ad un’associazione criminosa, cautela – come intesa
dal tribunale – giustificabile da un vincolo stabile e protratto nel tempo che
prevede una serie indeterminata di operazioni di traffico di stupefacenti.

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sindacato di legittimità in quanto congruamente e logicamente motivata.

A tal proposito ricorda il Collegio come il sindacato della Corte di Cassazione non
involge la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa
l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, ove tale
apprezzamento – come nel caso in esame – sia espresso con motivazione
adeguata. Sono quindi improponibili quelle censure le quali, pur investendo nella
forma la motivazione del provvedimento impugnato o la conformità dello stesso

prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice
di merito (e qui, in sostanza, il ricorrente chiede di valutare alternativamente un
elemento ritenuto da egli ambiguo: v., tra le tante: Sez. 1, n. 2102 del
06/05/1994 – dep. 23/08/1994, Carlino, Rv. 198925).

7.1. Ad analoga conclusione, infine, deve pervenirsi, in relazione all’ulteriore
profilo di censura manifestato in ordine al secondo motivo, per non aver il
tribunale fornito alcuna motivazione in ordine a quegli elementi prospettati dalla
difesa al fine di escludere che fosse in atto una stabilità di rapporti che potesse
giustificare la configurazione del ruolo di partecipazione in seno al predetto
sodalizio.
Come più volte affermato da questa Corte, infatti, il vizio di mancanza o
manifesta illogicità della motivazione, a norma dell’articolo 606, lett.e), cod.
proc. pen., deve consistere, rispettivamente, nell’assenza di motivazione su un
punto decisivo della causa sottoposto al giudice di merito, non già nella mancata
confutazione di un argomento specifico relativo ad un punto della decisione che
pur è stato trattato, sebbene in un’ottica diversa, dal giudice, dando una risposta
solo implicita all’osservazione della parte (v., per tutte: Sez. U, n. 24 del
24/11/1999 – dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794).
E ciò è quanto avvenuto nel caso in esame, avendo infatti il tribunale espresso
una propria, logica ed adeguata, motivazione circa il ruolo di partecipe del
Morabito nel sodalizio, così rispondendo implicitamente alle argomentazioni
difensive a sostegno dell’asserita estraneità del ricorrente.

8. Alla stregua di quanto sopra, dunque, nessuna violazione di legge o vizio
motivazionale denunciato emerge dall’analisi dell’impugnata ordinanza.
Del resto, come già in precedenza evidenziato, l’ordinamento non conferisce alla
Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive degli indagati, ivi compreso
l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate,
10

Y(

ai presupposti giuridici che lo giustificano, si risolvono, in sostanza, nella

trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del
giudice cui è stata richiesta l’applicazione delle misura cautelare e del tribunale
del riesame. Il controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame
dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due
requisiti, uno di carattere positivo e l’altro di carattere negativo, il cui possesso
rende l’atto insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente

illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento.
E l’ordinanza gravata risponde ai predetti requisiti, così positivamente superando
il sindacato di questa Corte.

9. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma alla Cassa
delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, somma che si stima equo
fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed della somma di euro 1000,00 (mille/00) in favore della
Cassa delle Ammende.
Dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1
ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2013

Il Consigliere est.

Il PL dente

significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza nel testo dell’esposizione di

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