Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7519 del 10/02/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 7519 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CAPOZZI ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASTRO GIUSEPPE N. IL 23/11/1969
avverso la sentenza n. 1219/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
11/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI
ELIA)
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ik ok,,d+.
che ha concluso per j jg
eRa in te( 5.9 .

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 10/02/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 11.10.2013 la Corte di appello di Brescia a seguito di gravame interposto dal Procuratore generale della
Repubblica

avverso la sentenza emessa dal locale Tribunale il

26.11.2012 nei confronti di Giuseppe CASTRO -, in riforma della

reato di cui agli artt. 110,81,629/2 cod. pen. ai danni di Damiano
GARDONI, ha dichiarato l’imputato responsabile del reato di cui all’art.
393 cod. pen., così riqualificata l’originaria imputazione, condannandolo
a pena di giustizia.
2. Avverso la sentenza propone personalmente ricorso per
cassazione l’imputato che deduce:
2.1. Violazione della legge penale in relazione alla affermazione di
responsabilità – a seguito di derubricazione della originaria ipotesi
procedibile di ufficio – in relazione ad ipotesi procedibile a querela senza
che la querela risulti essere stata proposta, in quanto l’atto di denuncia
del 9.8.2010 proposto dal GARDONI non esprimeva la volontà di dare
avvio ad un procedimento nei confronti degli autori del reato.
2.2. Violazione della legge penale o di altra norma di cui si deve
tener conto nell’applicazione della legge penale in relazione alla riforma
in pejus

della prima decisione senza provvedere ad una nuova

escussione di testi decisivi, dando luogo ad una rivalutazione meramente
cartolare delle medesime testimonianze assunte in primo grado.
2.3. Violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità in
relazione alla operata riqualificazione giuridica del reato senza il previo
contraddittorio, non potendosi l’imputato rappresentare un mutamento
del titolo di reato e, conseguentemente, difendersi sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile per genericità in quanto non si
confronta con la specifica duplice indicazione (pgg. 2 e 15) emergente
dal testo della sentenza impugnata secondo la quale il GARDONI in data
1

decisione che aveva assolto perché il fatto non sussiste il predetto dal

9.8.2010 sporse denuncia-querela, in ordine alla quale è stata verificata
anche la tempestività, avente ad oggetto le illecite pressioni subite da
un gruppo di individui, tra i quali l’attuale ricorrente.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
3.1.11 giudice di appello che intenda riformare in “peius” la
pronuncia assolutoria di primo grado ha l’obbligo – in conformità all’art.
6 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU nel caso Dan c/ Moldavia – di

direttamente la deposizione del teste ritenuto inattendibile in primo
grado, le cui dichiarazioni siano decisive per l’affermazione della
responsabilità dell’imputato (Sez. 5, n. 25475 del 24/02/2015,
Prestanicola e altri, Rv. 263903) e non è tenuto alla rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale qualora approdi, in base al proprio libero
convincimento, ad una valutazione di colpevolezza attraverso una
rilettura degli esiti della prova dichiarativa (di cui non ponga in
discussione il contenuto o l’attendibilità), valorizzando gli elementi
eventualmente trascurati dal primo giudice, ovvero evidenziando gli
eventuali travisamenti in cui quest’ultimo sia incorso nel valutare le
dichiarazioni (Sez. 2, n. 41736 del 22/09/2015, Di Trapani Antonino e
altri, Rv. 264682).
3.2. Pertanto, del tutto generica è la deduzione difensiva mossa dal
ricorrente che non individua specificamente alcuna ragione in relazione
all’obbligo di nuova audizione dei testi escussi in primo grado, tenuto
anche conto che – nella specie – alla base della sentenza impugnata è
posta una diversa qualificazione giuridica del fatto.
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
4.1.11 principio di correlazione tra contestazione e sentenza è
funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato; ne
consegue che la violazione di tale principio è ravvisabile quando il fatto
ritenuto nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in rapporto
di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contiene
l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né
consente di ricavarli in via induttiva (Sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015,
Bossi e altro, Rv. 262802); inoltre, il rispetto del diritto al contraddittorio
è assicurato anche quando il giudice di appello provveda alla
riqualificazione del fatto direttamente in sentenza, senza preventiva
interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato può comunque
2

disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per assumere

pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo ricorso per
cassazione (Sez. 2, n. 12612 del 04/03/2015, Bu e altro, Rv. 262778).
4.2. Nella specie, pertanto, non solo si versa in fattispecie ritenuta
che non risulta eterogenea rispetto a quella originariamente contestata conservandone gli elementi costituitivi attraverso i fondamentali
elementi di fatto della violenza e della minaccia e della pretesa
economica esercitata – ma è salvaguardato il diritto di difesa in rapporto
alla deducibilità delle questioni sulla nuova qualificazione attraverso il

5. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equa
di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in
favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 10.2.2016.

ricorso in sede di legittimità.

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