Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7517 del 21/01/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 7517 Anno 2016
Presidente: CITTERIO CARLO
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Porretta Domenico, nato a Rosarno (RC) il 24.12.1975
avverso la sentenza n. 3549/2015 pronunciata dalla Corte d’Appello di Milano il
6.5.2015
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Mogini;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Giovanni Di Leo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
della sentenza impugnata;
udito l’avv. Giovanni Sisto Vecchio, difensore di fiducia del ricorrente, che ha
insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Porretta Domenico ricorre per mezzo del suo difensore di fiducia avverso
la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte d’Appello di Milano, decidendo in
sede di rinvio e in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata nei suoi
confronti dal Tribunale di Lodi il 31.5.2007, lo ha condannato, a lui concesse le
attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, alla pena di anni
quattro e mesi sei di reclusione e Euro 1.000 di multa per il reato di rapina
continuata e aggravata ai sensi dell’art. 628, comma 3, n. 1 e 2 cod. pen. in
danno dell’ufficio postale di Villanova del Sillaro.

Data Udienza: 21/01/2016

2. Il ricorrente deduce vizio di motivazione, in quanto la sentenza impugnata
non confuterebbe specificamente le ragioni poste a fondamento della decisione
riformata, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico
degli argomenti più rilevanti ivi contenuti e non sarebbe corredata di una
motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata,
dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad

avrebbe inoltre ignorato i principi indicati dalla decisione di questa Corte che
aveva annullato la prima sentenza di condanna pronunciata in grado d’appello
nei confronti del ricorrente. Illogici sarebbero in particolare i passaggi del
provvedimento impugnato in cui vengono disconosciuti elementi di prova
favorevoli al ricorrente – quale il suo mancato riconoscimento da parte dei
testimoni oculari del fatto – e vengono invece valorizzati elementi di prova a
carico in realtà inesistenti, afferenti in particolare alla indimostrata presenza sui
luoghi di commissione del delitto e durante la fuga dell’autovettura del
ricorrente. A tale ultimo riguardo, la Corte territoriale avrebbe inoltre dovuto
rinnovare l’istruttoria dibattimentale per escutere nel contraddittorio con
l’imputato-ricorrente le prove orali aventi carattere di decisività e di cui avvertiva
la necessità di valutare diversamente l’attendibilità rispetto a quanto ritenuto dal
giudice di primo grado. La sentenza impugnata darebbe infine un’erronea
valutazione della ritenuta non credibilità dell’alibi fornito dall’imputato. Solo l’alibi
falso potrebbe infatti avere valenza probatoria sfavorevole all’imputato, dovendo
peraltro equipararsi ad un indizio, bisognevole come tale di essere corroborato
da altri indizi a carico dotati dei requisiti di cui all’art. 192, comma 2, c.p.p.
Il ricorso contesta inoltre la valutazione operata dalla Corte territoriale del
contatto telefonico tra il ricorrente e il cugino – condannato per il medesimo fatto
– intercorso due giorni prima della rapina, sicché la motivazione della sentenza
impugnata sarebbe complessivamente illogica e non si confronterebbe in modo
specifico e completo con le argomentazioni della sentenza di primo grado,
lasciando residui ragionevoli dubbi sull’affermazione di colpevolezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato. Il Collegio osserva in primo luogo che il giudice di
appello per riformare in “peius” una sentenza assolutoria è obbligato – in base
all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei
diritti dell’uomo nel caso Dan c/Moldavia – alla rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale solo quando intende operare un diverso apprezzamento di
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elementi di prova diversi o diversamente valutati. La sentenza impugnata

attendibilità di una prova orale ritenuta in primo grado non attendibile, ma non
anche quando fonda il proprio convincimento su altri elementi di prova, in
relazione ai quali la valutazione del primo giudice è mancata o è travisata (Sez.
6, n. 36179 del 15/04/2014, Rv. 260234; Sez. 2, n. 13233 del 25/02/2014, Rv.
258780; Sez. 5, n. 16975 del 12/02/2014, Rv. 259843; Sez. 5, n. 14040 del
22/01/2014, Rv. 260400). Nel caso di specie può escludersi che l’impugnata

inattendibili dal primo giudice fossero invece attendibili per il giudice d’appello. Al
contrario, nel procedimento in esame, il risultato oggettivo delle deposizioni non
è stato in alcun modo posto in discussione dalla Corte territoriale. Quest’ultima si
è infatti basata sulle testimonianze acquisite senza mutarne la valutazione ad
esse singolarmente riconosciuta dal giudice di primo grado. Ma ha altresì
valorizzato ulteriori elementi di prova di carattere non dichiarativo, quali le
risultanze del telepass dell’autovettura del ricorrente, da cui deduce – mediante
una valutazione globale e unitaria di tutti gli indizi a carico del ricorrente che si
sottrae a ogni censura di illogicità – come inequivocabilmente accertato l’uso
della vettura del ricorrente (che ha dichiarato di non averla prestata ad altri il
giorno del fatto) per la fuga successiva alla rapina e, quindi, la partecipazione
concorsuale del ricorrente al delitto a lui contestato.
In tale complessiva valutazione del materiale probatorio, la Corte territoriale
si confronta esplicitamente ed esaustivamente, come richiesto dal principio posto
da questa Corte con la decisione di annullamento della prima sentenza d’appello,
con la motivazione della sentenza assolutoria di primo grado, dimostrandone
l’irrimediabile illogicità laddove ipotizza che la Golf targata Alessandria utilizzata
dai rapinatori per la fuga potesse essere vettura diversa da quella del ricorrente,
transitata in entrata e in uscita dal casello autostradale di Lodi in perfetta
corrispondenza temporale con la commissione della rapina in questione. A tal
proposito, del tutto adeguato e corretto è il ragionamento probatorio esposto
nella sentenza impugnata (pp. 2 e 3) in riferimento all’alibi fornito dal ricorrente
(che la stessa sentenza di primo grado definisce come risibile e che
correttamente la Corte territoriale ritiene del tutto inidoneo a fornire una
spiegazione alternativa della presenza di Domenico Porretta nel luogo della
rapina e unicamente nell’orario di consumazione del delitto) e a tutti gli altri
indizi dei quali il ricorrente contesta, senza ragione, la concludenza ai fini
dell’accertamento della sua penale responsabilità in ordine al reato contestato.
In definitiva, la sentenza impugnata perviene alla riforma della sentenza
assolutoria di primo grado, in assenza di elementi sopravvenuti, non già sulla
base di una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado
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sentenza condanna sia fondata sull’assunto che testi dell’accusa ritenuti

caratterizzata da pari (o anche maggiore) plausibilità rispetto a quella operata
dal primo giudice, bensì mediante puntuali rilievi di contraddittorietà della
motivazione assolutoria, fondati su una piattaforma valutativa più ampia di
quella presa in esame dal giudice di prima cura, così determinando il venir meno
di ogni ragionevole dubbio circa la colpevolezza del ricorrente (Sez. 6, n. 1215
del 1.10.2015, Dei). Così facendo, la Corte territoriale mostra di aver fatto buon

di questa Corte nel solco tracciato dalle Sezioni Unite (SU, n. 33748 del
12/07/2005, Mannino).

Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 21/1/2016.

governo dei principi costantemente affermati a tale riguardo dalla giurisprudenza

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