Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7512 del 19/01/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 7512 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Macripò Fernando, nato a Fragagnano 1’11/05/1955

avverso la sentenza del 23/02/2015 della Corte Appello di Lecce, Sez. dist. di
Taranto

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi
Orsi, che ha concluso chiedendo la declaratoria dell’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Giovanni Percolla, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 febbraio 2015, la Corte Appello di Lecce, Sezione
distaccata di Taranto, riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di
Taranto del 29 ottobre 2012 che aveva dichiarato Fernando Macripò responsabile
dei reati di cui agli artt. 81, secondo comma, 314 e 459 cod. pen. (commessi

Data Udienza: 19/01/2016

fino al 17 giugno 2009), riducendo la pena inflittagli, previa concessione della
circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4 cod. pen.
In sede di merito era stato accertato che l’imputato, responsabile comunale
dei servizi sociali e cimiteriali, si era impossessato di blocchetti di buoni per la
refezione scolastica e di somme versate dai privati per il servizio scuola-bus e
per l’acquisto di marche da bollo da applicare a richieste di servizi cimiteriali.
In particolare, era emerso che l’imputato, nello svolgimento dei suoi compiti
istituzionali, tratteneva dai privati il danaro necessario per i versamenti a favore

curato egli stesso il relativo pagamento con bollettino postale o l’apposizione
sulle istanze delle dovute marche da bollo. L’imputato, invece, allegava alle
pratiche solo fotocopie delle ricevute alterate di pagamento postale e delle
marche da bollo, appropriandosi così delle somme versate dai privati e
sottraendole alla loro pubblica destinazione.
In sede di appello, l’imputato aveva chiesto un più mite trattamento
sanzionatorio, invocando in particolare l’applicazione delle circostanze attenuanti
di cui agli artt. 62, primo comma, n. 4, e 323-bis cod. pen.
I Giudici dell’appello ritenevano applicabile soltanto la prima delle suddette
attenuanti, in considerazione della tenuità del danno e del lucro della più grave
delle singole condotte appropriative contestate, mentre escludevano la ricorrenza
dell’attenuante speciale, in ragione della sistematica reiterazione degli episodi di
appropriazione e delle circostanze con cui l’imputato aveva realizzato le condotte
(approfittando della fragilità di persone colpite da un lutto), valutando non
rilevanti le argomentazioni addotte dall’imputato (nella specie, il profondo
disagio psicologico causato dalla malattia della figlia).
La Corte inoltre riteneva che il pentimento personale dell’imputato per
l’accaduto fosse già stato valutato con la concessione delle attenuanti generiche
e che il trattamento sanzionatorio in primo grado fosse già stato mite, essendo
stata determinata la pena base nel minimo edittale.

2. Avverso la suddetta sentenza ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo
del suo difensore, affidandosi a sei motivi di annullamento.
Nei primi quattro lamenta, sotto vari profili, la violazione di legge ed il vizio
di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza
attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen.
A tal fine rappresenta che la sentenza impugnata: avrebbe erroneamente
escluso la concessione dell’attenuante speciale, limitandosi a valutare solo le
circostanze relative al fatto, tralasciando di considerare — benché ne abbia
riconosciuto la sussistenza — gli elementi legati alla persona del suo autore e
quindi ai motivi di ispirazione soggettiva della condotta; avrebbe ritenuto

2

della pubblica amministrazione per i suddetti servizi, con l’intesa che avrebbe

ostativa la circostanza dell’aver l’imputato approfittato degli utenti del cimitero in
condizioni di fragilità, benché le pratiche avessero riguardato riesumazioni di
salme tumulate decenni addietro e la condotta contestata non avesse cagionato
alcuna lesione agli utenti e un danno economico modesto alle casse comunali;
non avrebbe preso in considerazione la indifferenza o quantomeno la tolleranza
dimostrata dal contesto ambientale verso la condotta contestata; avrebbe
erroneamente escluso la concessione dell’attenuante speciale, in virtù del
riconoscimento della circostanza di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen.

in relazione alla riduzione della pena per la circostanza di cui all’art. 62, primo
corna, n. 4, cod. pen.: la sentenza impugnata avrebbe applicato una riduzione
della pena inferiore al terzo, senza motivare e comunque in modo irragionevole,
tenuto conto che l’appropriazione più grave era pari a solo a 103,29 euro.
Si duole altresì della violazione di legge e del vizio di motivazione in
relazione all’aumento per la continuazione per il reato di cui all’art. 459 cod.
pen.: la sentenza impugnata avrebbe determinato l’aumento di ben otto mesi di
reclusione per la continuazione con il reato cui all’art. 459 cod. pen., senza
alcuna motivazione e nonostante la non configurabilità del reato (si trattava di
fotocopie di valori bollati).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. E’ principio più volte affermato in sede di legittimità e che questo Collegio
condivide quello secondo cui la speciale attenuante prevista dall’art. 323-bis cod.
pen. per i fatti di particolare tenuità ricorre quando il reato presenti gravità
contenuta nella sua globalità, dovendosi allo scopo considerare ogni
caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e
dell’evento da questi determinato. Pertanto, per il diniego della concessione delle
attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti,
purché la valutazione di tale rilevanza tenga obbligatoriamente conto, a pena di
illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto
dall’interessato (tra le tante, Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio, Rv.
259501; Sez. 6, n. 1898 del 29/09/2004 – dep. 2005, Nicolosi, Rv. 231444).
E’ pertanto legittimo il diniego dell’attenuante previsto dall’art. 323-bis cod.
pen. nel caso in cui sia stata riconosciuta quella di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen.,
in quanto mentre la prima si riferisce al reato nella globalità, la seconda prende

3

Il ricorrente lamenta inoltre la violazione di legge ed il vizio di motivazione

in considerazione il solo aspetto del danno o del lucro, che deve essere
connotato da particolare tenuità (tra le tante, Sez. 6, n. 7919 del 22/02/2012,
Cinardo, Rv. 252432).
Nel caso in esame, i Giudici di merito hanno fatto buon governo dei principi
ora richiamati, in quanto, dopo aver valutato le doglianze difensive versate nei
motivi di appello, hanno ritenuto – con motivazione priva di illogicità censurabili
in questa sede – che la condotta contestata all’imputato, valutata nella sua
globalità, non presentasse quei connotati di «particolare tenuità» richiesti dalla

sistematicamente dall’imputato).
Quanto in particolare alla pretesa «tolleranza» da parte del contesto
lavorativo, le doglianze sono del tutto infondate, posto che nell’atto di appello si
era lumeggiata una tolleranza dei colleghi in ordine all’attività non del tutto
legittima di assistenza effettuata dall’imputato nei confronti dei privati, ma non
certo per le appropriazioni di denaro pubblico, oggetto di contestazione.

3. Non possono essere accolte le critiche del quinto motivo di ricorso, in
quanto la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo
edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito e non è
necessaria una specifica motivazione nel caso di riduzione della pena, per effetto
dell’applicazione di un’attenuante, prossima alla misura massima di un terzo
(Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583).
Quanto all’aumento per la continuazione (nella misura già riconosciuta in
primo grado) e alla configurabilità del reato previsto dall’art. 459 cod. pen., va
evidenziato che il ricorrente non aveva presentato sul capo e sul punto motivi di
appello (limitati al solo riconoscimento delle attenuanti in relazione al reato di
peculato), ragion per cui non sono ammissibili in questa sede i relativi motivi di
annullamento.

4. Conclusivamente, per le ragioni ora esposte il ricorso deve rigettato con
le conseguenze di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 19[01/2016

norma in esame (nella specie, la condotta appropriativa era stata attuata

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